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“Il terzo continente”(di Barbara Martini)
In viaggio alla ricerca delle motivazioni, delle aspettative e dello stile di vita dell’ “Essere” Educatore professionale

  PARTE PRIMA
La partenza: la figura dell’Educatore tra passato, presente e futuro...

PRIMA TAPPA- Alle origini: l’Educazione e la  figura dell’ Educatore nel passato

“L’educazione non dovrebbe essere una preparazione alla vita, ma la vita stessa”.

Anthony de Mello

1. Storia dell’educazione e della scienza dell’educazione:percorso storico del ruolo educativo.          

“ Educare, v. tr. ( io èduco, tu èduchi, ecc.; poet.  Edùco, ecc.).

1. sviluppare le facoltà intellettuali, fisiche e morali, spec. dei giovani, secondo determinati principi; 2. assuefare, avvezzare a qualcosa con un fine determinato; 3. (Poetico) coltivare, far crescere: a te cantando / nel suo povero tetto educò un lauro / con lungo amore, e t’appendea corone (Foscolo Sep. Vv.54-56). Dal latino [ sec. XIV ]  èducàre, intensivo di èdùcère ‘trarre fuori, allevare’, composto di  ex ‘fuori’ e  dùcère ‘trarre’. [1]

Con la parola ‘Educazione’, si fa generalmente riferimento a quel complesso processo di formazione, caratteristico dell’età evolutiva  (infanzia, adolescenza, giovinezza), - ma oggi  riguarda qualunque età - durante la quale si costituisce il sistema di valori, un’etica, che determina la personalità umana: si tratta  sia di un processo interno in termini di autoeducazione sia, e soprattutto, di uno esterno  e in tal caso riassume i principi (scienza dell’educazione) e i mezzi (didattica) con cui le generazioni adulte trasmettono a quelle giovani il loro patrimonio culturale e stabiliscono la continuità del gruppo sociale (famiglia, clan, tribù, Stato, ecc.).

L’educazione inizia pertanto con la vita stessa dell’essere umano e si prolunga anche oltre l’età evolutiva (educazione permanente), specialmente nelle società evolute a rapida trasformazione tecnologica, come la nostra ad esempio, dove già l’educazione scolastica  si è prolungata di molti anni in breve tempo per la maggior parte dei giovani (scuole superiori, università, specializzazioni, masters, tirocini vari...).

Fondamentalmente l’educazione è un processo di socializzazione in cui interagiscono l’azione dell’educatore (per primo il genitore, l’insegnante, l’educatore professionale, figure adulte di riferimento, ecc.), le condizioni ambientali (familiari, economiche, sociali, culturali, religiose) e la reazione attiva dell’educando: di qui l’importanza della conoscenza della psicologia nell’azione educativa.

 Nella storia dell’educazione, che è quanto dire la storia dell’umanità, si assiste a un’alternanza fra momento eteronomo in cui vi è la prevalenza dell’educatore (per esempio nelle società primitive o fortemente religiose come la civiltà ebraica o imperiali come quella romana) e momento autonomo nel quale viene dato maggior rilievo alla spontaneità dell’educando (per esempio nelle società razionalistiche e pluralistiche come la Grecia e la nostra). E’ comunque accertato che i due momenti non possono scindersi in un reale processo educativo e che comunque il discente influisce a sua volta sul docente.

 La prima fase dell’educazione avviene in ambito familiare ed è ormai noto a tutti , grazie agli studi psicologici e neurologici, che la mancanza o l’imperfezione dell’educazione familiare può causare l’origine di turbe e asocialità individuali, quindi si può dire che questa prima educazione costituisce il fondamento  su cui si andrà a  connettere tutto il resto dello sviluppo personale : si ritiene sia la  fase più determinante di tutte.

La prima educazione è essenzialmente materna, spesso con aiuti esterni, particolarmente negli ultimi anni, che hanno visto la donna essere sempre più protagonista del mondo del lavoro sottraendola a volte precocemente dalla sua funzione  di prima educatrice; anche il ruolo del padre, fondamentale nelle società agricole, appare pure ridotto nelle nuove civiltà industriali avanzate.

In queste società è nato anche il problema dell’educazione dei genitori , successivo a quello tipico dell’Ottocento dove iniziarono ad allestirsi i primi asili, nidi infantili, nurseries per la custodia appunto e l’assistenza dei figli dei genitori occupati. Al movimento delle “scuole dei genitori”, di origine anglosassone, poi esteso in Francia e anche in Italia (per iniziativa della Unione Femminile Nazionale, Milano, 1953) sono connessi anche l’accresciuto interesse per la psicologia infantile e il ruolo sempre più riconosciuto dei genitori nel corso dell’educazione  anche scolastica; infatti di seguito  la legislazione italiana inserisce, sulla gestione collegiale della scuola,  rappresentanze dei genitori a tutti i livelli degli organi amministrativi  (legge delega 477 del 1973), seguiranno poi inseguito anche le rappresentanze degli studenti stessi.

A questa prima fase fa seguito quella scolastica, dove diventano educatori a fianco dei genitori, gli insegnanti, che col tempo aumentano di numero e sono specifici per ogni materia.  Poi seguono gli insegnanti esterni alla scuola  pubblica che possono essere:  allenatori , insegnanti sportivi, di musica, di danza e man mano che si è ritenuta sempre più importante l’educazione e l’istruzione specifica, sono aumentate le figure di riferimento educative.

Inizialmente una sola antica figura  si occupava dell’intera educazione del ragazzo, ed era identificata per le classi abbienti  - solo per quelle - nella figura dell’istitutore  che si occupava in specifico   non solo dell’istruzione, ma anche  dell’educazione vera e propria: i valori, i principi, il comportamento da tenere, questo prima  nelle case signorili e nelle corti dei regnanti  e poi  molto più tardi nei collegi ( istitutore, dal latino ìnstitùtor -òris ‘fondatore’ e nel latino tardo ‘precettore’, derivato di ìnstituère,  v. Istituire.) [2] . Oggi questa figura non esiste più ed è sostituita da un numero quanto mai alto  di istruttori specifici alla disciplina scelta.

 La storia dell’educazione, per quanto si è già citato sopra, non può essere quindi disgiunta dalla storia dell’istruzione e della pedagogia (che significa letteralmente ‘Scienza dell’educazione’); l’educazione presenta due aspetti principali, che sono:  un aspetto materiale, e uno formale, il primo fornisce dati conoscitivi e pratici e il secondo opera a trasformare soggettivamente il contenuto oggettivo dell’istruzione.

Il problema  dell’ educazione comunque, costituisce oggi ancor più di ieri forse, parte essenziale delle moderne  ideologie e quindi dei programmi politici; questo è dovuto anche al crescente interesse, alla sensibilizzazione  sociale verso il futuro delle nuove generazioni   e al conseguente sviluppo delle cosiddette “scienze dell’educazione” (pedagogia, psicologia, sociologia) e delle loro filiazioni (psicopedagogia, sociologia dell’educazione, ecc.).

 Della filosofia come concezione della vita, la scienza dell’educazione costituisce una specializzazione come riflessione filosofica sul momento educativo; la sua  caratteristica, (in connessione con le altre  sopracitate), è quella di elaborare i fondamenti teorici delle tecniche dell’istruzione, (in particolare una tecnica organica nei principi e nelle finalità dell’educazione e dell’insegnamento -metodologia-, sviluppando lo studio dell’impiego di appositi mezzi -didattica- secondo le discipline e le età), nonchè i principi e i valori generali della formazione  delle giovani generazioni.

La storia della scienza dell’educazione esamina le dottrine educative nella loro successione temporale, nella situazione geografica o storica e nel loro collegamento ideale. Si può parlare di scienza dell’educazione ovunque esista un processo educativo non occasionale.

“La città educa gli uomini”

Platone

Nell’antichità...

Anche se sono numerose le tracce di una precettistica educativa nell’Egitto dei faraoni, e nella Cina di Confucio, nei Bràhmana dell’antica India e nella Bibbia degli Ebrei, l’educazione come scienza nasce in Grecia (sec. VI -V a.C.) con l’affermarsi della polis e con l’estendersi all’intera cittadinanza di quell’agonismo che aveva informato, in senso individualistico e guerriero, il mondo omerico e che trova ora una sua applicazione pacifica in pubbliche competizioni come le olimpiadi. L’educazione fisica è al centro della rigida educazione spartana, finalizzata alla grandezza dello Stato, mentre un più maturo equilibrio tra individuo e collettività caratterizza  l’educazione ad Atene, dove la musica si colloca accanto alla ginnastica come disciplina fondamentale.

Un tentativo di oltrepassare i limiti di una concezione aristocratica dell’educazione è compiuto dai primi tecnici dell’arte di insegnare, i sofisti [3] , che,  negano l’esistenza, e quindi l’insegnabilità, di verità universali e affermano la possibilità dell’insegnamento-apprendimento di capacità utilitarie atte a dominare la natura: in tal modo la sofistica (Protagora, Gorgia, Trasimaco, ecc.), riflettendo sulla soggettività personale, fa appello alle energie spirituali individuali (puntando sulla dialettica e sulla retorica,  fornendo l’arma della parola  a tutti i cittadini che vogliono prendere parte attiva alla vita politica).

Al soggetivismo sofistico Socrate contrappone, pur adottandone la metodologia del dubbio metodico, la ricerca di valori oggettivi attraverso la scoperta di concetti universali per mezzo del dialogo (ironia); il suo metodo educativo, noto col termine di maieutica [4] , si differenzia da quello dei sofisti perchè non è limitato  all’acquisizione di abilità tecniche, ma tende alla formazione interiore della personalità, capace di autogenerazione della consapevolezza etica universale.

Una vera  e propria restaurazione aristocratica, su basi razionali, è quella di Platone, che, nella Repubblica, auspica audacemente l’abolizione della famiglia  e una comunità di beni, da limitare però alla classe dirigente dei politici  e dei guerrieri; per lui l’educazione tradizionale culmina nella dialettica, cioè nella contemplazione delle idee grazie alla reminescenza dell’originaria convivenza dell’anima con esse, processo riservato appunto a un’aristocrazia di reggitori assoluti (repubblica filosofica) senza evasioni soggettivistiche. L’educazione tuttavia, secondo Platone, deve essere impartita in misura eguale e senza differenza di sesso a tutti fino ai 17 anni: attraverso una rigida selezione e un lungo tirocinio di studi, dove occupa un posto privilegiato  la matematica, si imporranno i migliori, ai quali affidare la direzione dello Stato.

Anche per Aristotele l’educazione spetta allo Stato; il fine ultimo, tuttavia, non è la platonica rifondazione della polis, ma la cultura e la filosofia come ricerca disinteressata del vero, mira alla formazione di abitudini buone, etiche e intellettuali in tutti gli uomini. In piena aderenza alla realtà concreta della Grecia e rinunciando  all’utopia di Platone, Isocrate propone un ideale di formazione retorico-letteraria, fondato sull’oratoria, che avrà, nell’età ellenistica, una netta prevalenza sul piano platonico di studi matematico scientifici.

 Essenzialmente retorica è l’educazione impartita in Roma antica, i cui contributi, sul piano della formulazioni pedagogiche, sono scarsamente  originali e si collocano nel solco dell’ellenismo. Un’eccezione è costituita da Quintiliano che, nelle Institutiones oratoriae, anticipa alcune teorie moderne della didattica e traccia il profilo intellettuale e morale dell’oratore.

Con il cristianesimo l’educazione assume una finalità nettamente religiosa e anti-intellettualistica, fondata sulla carità e sull’amore, sulla trascendenza della verità e sulla ricerca di un rapporto con Dio, come risulta dal pensiero di Sant’Agostino (354-430), che concepisce il processo educativo come un itinerario dell’anima verso Dio.

Molto profonda è la tesi agostiniana, avanzata nel De magistro, secondo cui l’acquisizione della verità è frutto di una ricerca interiore e non dell’opera, utile ma non essenziale, del maestro: una tesi che verrà  modificata da San Tommaso,  per il quale è invece il maestro la causa  motrice  del processo educativo, in quanto consente,  nel discente, il passaggio dalla potenza all’atto.

Con Tommaso e con la scolastica si verificano un grandioso  e drammatico tentativo di conciliare fede e ragione; ma fondamentalmente pessimistica rimane la concezione pedagogica medievale nei riguardi della natura umana decaduta, con la conseguente identificazione del corpo come sede del male: ne derivano la svalutazione dell’educazione fisica e il ripudio, sotto questo riguardo, dell’educazione dell’antichità classica.

“ Parla all’uomo di lui stesso e ti ascolterà per ore”

B. Disraeli

Nell’umanesimo e nel rinascimento...

Nel quattrocento gli umanisti ritornano a una concezione armonica della formazione dell’uomo nel corpo e nell’anima: Vittorino da Feltre è, in questo senso , il più tipico  esponente dell’Umanesimo in campo educativo. Successivamente si restaura il piano di studi della pedagogia classica secondo il modello di Isocrate, il quale  auspica alla formazione dell’oratore, limitata però, a una ristretta élite.

Se per Erasmo [5] , la classicità è un paradigma ideale, e, per Castiglione [6] , il  cortigiano è un modello di perfezione, Rabelais [7] e Montaigne [8] polemizzano contro il pedantismo e l’abuso dei libri: sono le due facce in sede pedagogica, del Rinascimento. La pedagogia della  Riforma protestante (1519)  da un lato proclama la libertà dello spirito  suscitando  l’educazione popolare, dall’altro reagisce al laicismo rinascimentale. Viceversa, nella Controriforma, i gesuiti, con i loro famosi collegi, trascurano di proposito l’istruzione elementare per puntare esclusivamente sulla formazione delle élite

Sintesi del pensiero pedagogico del Rinascimento e della  Riforma è l’opera di Comenio [9] , che precorre la psicologia dello sviluppo con il metodo ciclico e con il principio “pansofico” in base al quale si può insegnare tutto a tutti.

Nel seicento il Discorso sul metodo di Cartesio (filosofo francese, 1596-1650) esercita un profondo influsso sia sull’indirizzo scientifico degli oratoriani sia sulla ricerca della chiarezza nelle “piccole scuole” giansenistiche [10] ,mentre i pietisti [11] accentuano l’importanza educativa del lavoro. Segue l’idea di Locke (filosofo inglese 1632-1704) che, preoccupato soprattutto della formazione del gentleman, armonizza mirabilmente autorità e libertà, facendo appello all’esperienza e al senso dell’onore.

Educazione “naturale” ed educazione “negativa” sono i fondamentali motivi della pedagogia di Rousseau (filosofo e pedagogista svizzero; 1712-1778) che , pur avendo messo in rilievo la centralità del fanciullo nel processo educativo, promuovendo così una “rivoluzione copernicana” dell’educazione, non sfugge però a profonde contraddizioni, per il rischio di accentuare con la tecnica dell’intervento dissimulato il tanto  detestato principio di autorità e per il ritorno velleitario, pur di sfuggire alle conseguenze della divisione del lavoro, a un artigianato di tipo medievale. L’idea rousseauiana, secondo cui il fanciullo non è un adulto imperfetto, era già stata anticipata da G. B. Vico (filosofo e precettore italiano 1668- 1744), che auspicava però una dottrina uniforme, imposta autoritariamente dall’alto; profondo è inoltre l’influsso di Rousseau su Kant ( filosofo, precettore privato, docente tedesco 1724-1804) che pone le basi di una pedagogia come scienza della personalità autonoma, destinata a diventare, in Hegel (filosofo, precettore, docente tedesco, 1770-1831) , dottrina dell’autoeducazione.  L’antitesi rousseauiana tra libertà e autorità si ripresenta, in Italia, nella educazione cattolica di R. Lambruschini (pedagogista, sacerdote italiano, 1788-1873) e di G. Capponi (storico, politico e pedagogista 1792-1876), come tentativo di conciliare il dogma con l’autonomia della coscienza.

“Il compito principale nella vita di un uomo è di dare alla luce se stesso”

E. Fromm

Nell’era moderna...

Pioniere della scuola moderna è J. H. Pestalozzi (educatore e pedagogista svizzero, 1746-1827), che, applicando sperimentalmente la lezione di Rousseau, pone le basi di una pedagogia dell’educazione popolare fondata sulla spontaneità antilibresca e sullo sviluppo del metodo intuitivo. Secondo Pestalozzi l’ambiente educativo per eccellenza è la famiglia, che assicura, grazie soprattutto alla presenza della madre, una formazione spontanea e naturale. Cardine di tale educazione è lo sviluppo armonico e graduale delle tre facoltà del cuore, dell’arte, e della mente. Soprattutto importante è in Pestalozzi , l’analisi dell’educazione intellettuale, che deve seguire il metodo “intuitivo” od “oggettivo”, fondato sulla persuasione che le leggi della psicologia sono uguali a quelle della natura.

Discepolo di Pestalozzi e tipico esponente, con  J.P. Richter (scrittore, pedagogista, precettore tedesco, 1763-1825) e F. Schleiermacher (filosofo e teologo tedesco 1768-1834), del Romanticismo in campo pedagogico è F. Fröbel (pedagogista, precettore ed educatore tedesco,1782-1852), il creatore dei “giardini d’infanzia”,  che scopre la fondamentale importanza e serietà del gioco, come rivelazione della vita interiore del fanciullo, il quale viene proposto, con evidente atteggiamento irrazionalistico, come modello perfetto dell’umanità.  Il Giardino  generale dell’infanzia tedesca (1840), segnò l’inizio di una concezione educativa prescolastica su un piano non puramente assistenziale. La dottrina del “gioco” di Fröbel trova il suo coronamento  in quella del lavoro, concepito come l’attività in cui si esprime, estrinsecandosi in modo chiaro e determinato, l’interiorità dell’uomo, lo spirito (ossia la scintilla divina), attraverso un’opera che lo accomuna al resto dell’umanità e che è quindi “sociale” nel senso più completo del termine.

L’educazione nel Risorgimento italiano è fondamentalmente spiritualistica e si esprime nel cattolicesimo liberale come tentativo di conciliazione della dogmatica cattolica con l’autonomia del discente e nello spiritualismo attivistico del Mazzini, che formula il concetto dell’educazione trasformatrice del mondo in ogni suo aspetto (politico, economico , sociale) grazie alla scoperta del compito (“missione”) di ogni individuo e di ogni popolo per il progresso indefinito dell’umanità.

L’esigenza di una pedagogia scientifica è viceversa rivendicata sia da J. H. Herbart (filosofo e precettore tedesco,1776-1841), che introduce i principi della gradualità e della pluralità degli interessi, sia dal positivismo che, ricollegandosi alla psicologia e alla fisiologia, accentua l’importanza delle discipline fisico-matematiche a scapito di quelle umanistiche. L’accentuazione del metodo e il culto delle scienze positive, propri del positivismo, vengono combattuti nei Paesi latini e anglosassoni dalle filosofie attivistiche (H. Bergson, Blondel, W. James), che nell’educazione rivendicano la personalità e l’autonomia del discente e mettono in luce l’unilateralità del metodo scientifico.

La reazione allo scientismo è particolarmente vivace in Italia, dove l’idealismo assoluto (B. Croce, G. Gentile, G. Lombardo Radice) rivaluta la fantasia creatrice e quindi l’importanza dell’educazione estetica figurativa e musicale. La pedagogia  idealista nella riforma della scuola sostituisce quella positivistica e costituisce il fondamento della educazione del periodo fascista (riforma Gentile, 1923), che subisce tuttavia prima del suo crollo l’influsso  della pedagogia del lavoro di . m. Kerschensteiner (Carta della scuola Bottai,1939).

Il neoidealismo italiano ha poi identificato l’educazione con la filosofia dello spirito, esaltando il primato del maestro, ma il cammino della pedagogia, nel novecento, è proseguito sia nella direzione antiautoritaria di matrice rousseauiana,  con Ferrer, Tolstoj, Gandhi e Capitini (dottrina della “non violenza”), con il movimento delle “scuole nuove”, sia verso la conquista di una  propria identità scientifica: e in questa seconda direzione una tappa fondamentale è segnata dal pensiero di J. Dewey ( filosofo e pedagogista statunitense, 1859-1952).

Il fondamento  della pedagogia deweyana è quello  di un’educazione intesa come ricostruzione dell’esperienza e quindi incentrata sulla correlazione dell’interesse e dello sforzo; e poichè individuo e società sono inseparabili, l’educazione deve riferirsi  costantemente sia alla psicologia, sia alle scienze sociali e deve sanare, nel quadro di una società democratica, la frattura tra la cultura liberale delle classi egemoni e la cultura  tecnico-professionale delle classi subalterne.  Sempre secondo Dewey,  nella scuola l’individuo, non deve ricevere passivamente un sapere già precostituito, ma deve essere educato all’abito critico della scienza e alla libera estrinsecazione di tutte le sue facoltà; infatti per lui la filosofia  è la teoria generale dell’educazione, è tale in quanto  rappresenta al tempo stesso , etica della libertà democratica e teoria dell’indagine scientifica, giacchè i principi dell’educazione, non possono essere diversi dai quei principi stessi del vivere, che sono ragione ed esperienza unite nella continuità interrotta dell’indagine umana. Il suo pensiero  ha largamente  ispirato la scuola americana e ha influenzato anche la pedagogia europea.

Tra i problemi fondamentali della pedagogia contemporanea si presenta con particolare risalto  quello dell’apprendimento, per la soluzione del quale si è affermato il globalismo di O. Decroly (medico, psichiatra e pedagogista belga, 1871-1932).

Con il termine di “attività di globalizzazione”, Decroly indica quell’aspetto dell’attività mentale per cui il soggetto coglie il reale nella globalità delle situazioni concrete, in cui entrano in gioco non solo elementi sensoriali e mentali, ma altresì le sua emozioni e tendenze. Nella scuola le scienze si svilupperanno in occasione della necessità di apprendere “le cause e le conseguenze dei fenomeni in rapporto con la vita umana” ; Decroly  promosse inoltre l’inserimento nella pratica educativa, delle varie tecniche di misurazione psicologica.

                               “Educare significa far  crescere la persona”

Nell’era contemporanea...

Accanto a Decroly, fondamentale rilievo hanno le esperienze di Maria Montessori (pedagogista italiana,1870-1952); nel suo metodo  va sottolineato l’importante sviluppo dell’autoeducazione e dell’individualizzazione dell’insegnamento, motivi fondamentali delle “scuole nuove”.  Nella “Casa dei bambini” da lei fondata, il bambino  ha facoltà di muoversi, di scegliere l’attività e l’occupazione preferita, si ordina spontaneamente, con l’uso dei materiali didattici.  Realizzando questa atmosfera di libertà, il metodo Montessori ha mirato a promuovere, attraverso l’educazione innanzitutto sensoriale, il profondo sviluppo del bambino; in tale quadro l’opera dell’educatore si qualifica come quella di un osservatore scientifico, esperto del mondo psichico infantile, che non interviene direttamente sul bambino, ma si limita a predisporre , nonchè mediare e controllare, il materiale e l’ambiente adatto. 

Tale tesi , secondo cui si apprende più con l’azione che col pensiero, è stata sviluppata da J. Piaget (psicologo svizzero,1896-1980), particolarmente noto per i suoi studi sulla psicologia dell’età evolutiva.

 Legata agli ultimi decenni, è la straordinaria esperienza pedagogica di Don Lorenzo Milani (sacerdote, educatore italiano, 1923-1967), che nel 1957, aprì a Barbiana nel Mugello, una scuola di avviamento professionale per i ragazzi del luogo, figli di semplici operai; la sua esperienza pedagogica era fondata su una critica radicale dell’impostazione classista del sistema scolastico, che ebbe un peso  determinante sulle proposte di riforma didattica scaturite dal movimento di contestazione studentesca degli ultimi anni sessanta.

Infatti, Don Milani lottò molto per una pari opportunità di studio  tra ragazzi agiati e figli di operai  e insieme a questa critica classista  promosse nei giovani una  concezione nuova della scuola,  volta alla riflessione sociale e politica, puntando soprattutto all’uguaglianza sociale e di sesso per un’educazione dedita alla crescita  e alla cura della persona:

I care ( mi interessi, ho cura di...) [...]. Ragazzi, non potete farvi educare da uno che non pensi a voi, da uno che non pensi al vostro bene [...]. Io voglio aiutarvi a ragionare, a prendere la vostra vita sul serio; purtroppo la vostra libertà è di scegliere entro i limiti delle poche possibilità che vi danno, cioè, in questo caso, di ballare un twist o una madison. Ma non di ballare o  regnare e essere padroni del vostro voto, del vostro pensiero. Non  di ballare oppure vincere discussioni. Non di ballare o convincere le persone con cui  parlate.

Purtroppo la mia previsione è che sarete pecore, che vi piegherete completamente alle usanze, che vi vestirete come vuole la moda, che  passerete il tempo come vuole la moda. Ma mi dite che soddisfazione ci trovate ad accettare una simile situazione? Ribellatevi, ne avete l’età. Studiate, pensate, chiedete consiglio a me, inventate qualcosa per sortire da questa triste situazione in cui siete e poter arrivare al punto di fare realmente, con una libera scelta vostra, le cose che vi par giuste fare. Per me sarebbe una umiliazione tremenda se uno mi domandasse: ‘Cosa stai facendo? Perchè lo stai facendo?’ e dovessi restare a bocca aperta senza rispondere. Educo i miei ragazzi così, a saper dire in qualunque momento della loro vita, cosa fanno e perchè lo fanno “. [12]

Fino alla fine degli anni Ottanta, nei paesi del socialismo reale era  diffusa un’educazione di ispirazione marxista che guardava con particolare attenzione alle esperienze collettivistiche e alla unità fra sapere tecnico e mondo del lavoro. Influssi deweyani si trovano nella pedagogia internazionale avallata dall’azione dell’U.N.E.S.C.O. che si rifà ai principi della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” (Parigi, 1948) fondando l’educazione sul pacifismo, sulla comprensione internazionale e sulla cooperazione mondiale. Una particolare applicazione come “civismo europeo” è evidente nell’azione pedagogica del “Consiglio d’Europa” di Strasburgo che ha ispirato la “Carta europea dell’educazione” (Bruxelles,1968) e ha suggerito la pedagogia  di partecipazione, che è in realtà una metodologia (scuola del dialogo, lavori di gruppo, condirezione delle “tre componenti” insegnanti,  genitori, alunni, ecc.).

Ormai il termine ‘scienza dell’educazione’ sembra oltrepassare il significato etimologico per estendersi a ogni dottrina educativa: si parla perciò di pedagogia dell’educazione ricorrente o intervallata con periodi lavorativi, di  educazione permanente o degli adulti, cioè estesa a tutto il corso della vita umana.

Oggi il problema dell’educazione ha assunto  forme diverse, non più legate prevalentemente all’ambito scolastico, come è stato fino  agli anni sessanta, ma si presenta invece unito  alle problematiche proprie dello sviluppo della nostra società: come la crescita della disoccupazione, della criminalità e dei suicidi giovanili, lo svilupparsi crescente della tossicodipendenza e poi di seguito dell’uso saltuario di  nuove droghe, delle patologie legate ad esse, all’emarginazione degli anziani; in generale, riassumendo, lo si può definire come un nuovo disagio di vivere che colpisce prevalentemente i giovani, legato  alla nuova crisi di valori, di ideali, di un progetto di vita per l’uomo fattibile, certo, auspicato, condiviso e promosso dalla collettività. Rispetto a  queste nuove problematiche, grosse e recenti riflessioni sono state fatte dal sociologo e psichiatra Paolo Crepet , che è considerato uno dei più autorevoli esperti  sui disagi  giovanili (si è occupato  del problema dei suicidi giovanili e di ragazzi  “violenti” in genere).

 Il pensiero di Crepet  si muove radicalmente  verso una critica del sistema scolastico ritenuto non a “misura di ragazzo” , e una contestazione dei valori comuni condivisi dalla società, nonchè una disgregazione affettiva della famiglia .

 Secondo Crepet,  una delle cause  di questo nuovo disagio, è data dalla perdita nel tempo , della capacità di comunicare emozioni,  cosa che ai giovani manca  in maniera così forte da essere ricercata nell’uso delle droghe e  nel vissuto di  pericolose situazioni (la nuova tendenza a fare esperienze al limite della sopravvivenza, illegali, e che mettono a repentaglio la propria vita -furti, jumping, ecc.). 

Questa incapacità a comunicare e a manifestare le emozioni, trova origine spesso, da  un reale disinteresse  e da una mancanza di ascolto  dei giovani da parte del mondo adulto,  che pone i propri valori nel successo e nel denaro.  In particolare  i giovani vivono una solitudine terribile, e non basta per loro il benessere materiale offerto dalla società per avere quello auspicato, cioè quello spirituale:

 “ Oggi compriamo videocassette ai bambini con i cartoni animati di Walt Disney per educare i nostri figli, stacchiamo assegni per comprare il motorino, ma non ci pensa la Disney, e neanche la Piaggio ad educarli...non basta , è come dirgli: - Sii felice con quel motorino, con quella cassetta - [...] ...La solitudine di cui soffriamo noi è quella di abbandono, non è una scelta, allora potrebbe anche avere un senso creativo. La creatività come l’emotività sono trasgressive, è necessario essere educati all’educazione, un popolo può rinascere solo attraverso l’educazione; si deve ascoltare il dolore dei giovani, [...] la scuola dovrebbe essere un luogo dove si ascolta; l’intelligenza è la nostra capacità d’ingegno, il nostro talento sta nella nostra capacità, nella nostra creatività di comunicare, di far conoscere chi siamo. Ricominciamo dal caffè, dalle piccole cose da fare con gli altri per imparare ad ascoltare [...] La relazione come la cosa più importante: relazione e ascolto [...] La nostra è una  società senza padri, manca la figura del maschio...L’appartenenza si realizza in un progetto educativo, e l’insegnamento è seduzione (è un condurre verso di sè e non si fa se non si danno emozioni) [...]. Le fiabe sono la pedagogia delle emozioni... perchè la fiaba va narrata, gli autori presi a sè sarebbero dei sadici, perchè molto spesso le fiabe hanno momenti tragici, terribili, ma perchè è pedagogica ? Perchè mentre la si narra si consola il bambino, lo si protegge con la propria sicurezza di adulto, con le proprie emozioni che vengono passate, si affrontano i pericoli insieme... insieme li si supera. E’ così che si diventa ricchi, che si dormono sonni tranquilli e sereni perchè c’è sempre la compagnia di qualcuno che ti è vicino, che ti rassicura, che fa vincere il Bene insieme a te [...]. E’ L’autorevolezza contro l’autoritarismo, ...Ora si dice che ci sia una grande immaturità sociale...perchè i giovani si devono  prendere delle  responsabilità quando noi per primi non riconosciamo loro il proprio ruolo?. Molti anni fa a 20-25 anni al massimo si aveva  sicuramente un lavoro, la possibilià di creare un proprio progetto di vita, una casa, una famiglia... ora riconosciamo ai giovani  una grossa  competenza cognitiva, ma non riconosciamo  loro un ruolo , un posto definito nella società, non riusciamo a garantire un  lavoro a alla stessa età  i giovani di oggi sono  ancora dipendenti  dalle famiglie [...]. C’è una educazione alla disistima, (‘Ti amo solo se prendi il massimo’), un passaggio della stessa verso l’integrità ad amare il proprio progetto di vita”. [13]

L’esigenza  di un’attenzione profonda e completa verso le persone che si trovano in situazioni di difficoltà e disagio, sotto l’aspetto fisico, oppure sotto l’aspetto psicologico e sociale, si è venuta chiarendo appunto, nel corso di  questi ultimi decenni, in seguito  proprio alle nuove problematiche ,- specie quelle giovanili  citate sopra -,  come una delle esigenze primarie in una società che voglia essere veramente giusta e solidale.

Il riconoscimento di questa esigenza ha portato con sè anche l’approfondirsi delle ricerche teoriche e sperimentali, e delle iniziative operative - compresa in misura rilevante quella legislativa - volte a dare concretezza al sostegno delle persone in difficoltà. 

E’ stato molto importante lo sforzo  compiuto nel settore dell’assistenza sociale, psicologica e pedagogica a molte categorie bisognose : ci si è mossi  così con molte iniziative  per rispondere ai nuovi e vecchi disagi, offrendo soluzioni  diverse, nuove, molte in via sperimentale che in breve tempo hanno riscosso molto successo; come le  soluzioni di risposta  a favore dei minorenni bisognosi di rieducazione, ai tossicodipendenti, ai portatori di handicap, con la nascita delle Comunità residenziali o semiresidenziali ad esempio; e a  risposte diverse con aiuti alle persone anziane,  ai carcerati e così via.

Essendo categorie molto diverse tra loro, sono intervenute risposte  diverse: di carattere pedagogico e psicologico, altre di carattere economico, altre di carattere assistenziale, così in seguito a  questi nuovi bisogni e servizi ci si è andati interrogando sulle nuove figure  professionali  che si stavano creando per rispondere adeguatamente  a questi nuovi bisogni di assistenza, di formazione, di cura, molto complessi, richiedenti  qualificazioni professionali molto finalizzate.

E’ proprio in questo contesto che si inserisce una riflessione sull’evoluzione umana e professionale di quella figura che in passato è stata priva di un nome specifico, oppure associata per lo più a figure religiose, e  che oggi invece è socialmente riconosciuta e definita col nome di  “educatore professionale”.

Il percorso storico di questa figura è stato molto interessante perchè si è trasformato gradualmente  nella misura in cui è cresciuto nella nostra società l’interesse per la  dimensione educativa, quindi per i  valori morali e spirituali dell’uomo (secondo i più autorevoli filosofi e sociologi, a partire dagli albori della polis, l’evoluzione e l’appartenenza ad una società si realizzano in un progetto educativo). Così dalla vecchia figura che si occupava spontaneamente, - spesso per sensibilità, ricettività e buon cuore (o buon senso) - o per dovere religioso ai bisogni immediati dei  disagiati, col tempo e il  progressivo riconoscimento collettivo, si è trasformata da figura spontanea e casuale, spesso religiosa, a figura istituzionalizzata laica, professionalmente riconosciuta e cercata, che opera  e collabora sulle basi di un progetto d’intervento,  all’interno di   una complessa rete  sociale.

Si può trarre da questa riflessione , una conclusione: una società è tanto più evoluta, vivibile e quindi umana, cioè a misura d’uomo, quando la sua crescita coinvolge in prima istanza un’attenta considerazione dell’uomo nella sua globalità, e in particolare, dei suoi bisogni , ma non in una emergenza del fare, del contenere, del prevenire, ma  in una necessità dell’Essere.

“Ognuno di noi quando è adulto fa l’educatore, perchè ha sempre ragazzi che lo guardano”

Paolo Crepet

2. Com’è nata la figura dell’educatore professionale

Nel percorso storico evolutivo del ruolo educativo, si possono individuare alcune tappe particolarmente importanti che hanno gradualmente definito l’attuale profilo professionale dell’educatore, demarcando e diversificando in modo formale le sue competenze.

Esistono delle strette relazioni con l’immagine dell’educatore presente nella cultura classica, - come si già trattato nel paragrafo precedente - dove questa figura viene rappresentata e utilizzata come colui che è dedito all’istruzione e al governo dei fanciulli, è colui che ‘conduce fuori’ le potenzialità del minore, le guida e le indirizza sia attraverso un contributo di formazione teorica che di esperienza di vita.

Questa prima interpretazione ha inizialmente indotto l’utilizzo dell’educatore in modo simile all’insegnante, impiegandolo in prevalenza  per interventi istituzionali a favore dei minori;  ma proprio per il significato che il termine ‘educazione’ offre ( “si fa riferimento a tutte le pratiche che influiscono sul  modo di essere dell’individuo, non solo  quelle relative all’istruzione...” ), le attività di un educatore sono infatti qualcosa di più complesso di quelle istruttivo-didattiche.

Solo nell’ultimo secolo si è andata delineando quella che possiamo  identificare come la competenza maggiormente utilizzata negli ultimi anni:  quella di riabilitatore, cioè  come colui che è impegnato a ricreare le condizioni per rendere nuovamente abili le persone che si trovano in condizioni di difficoltà psicologiche, sociali, sanitarie.

Risalgono all’epoca dell’unità d’Italia i primi  impieghi ufficiali in questa direzione, anche se con un taglio nettamente  di carattere assistenziale: si parla più di cura e di contenimento, oppure di supporto nelle attività scolastiche.

Sono stati gli istituti totali di assistenza ai minori orfani o devianti, fondati quasi sempre da religiosi, a richiedere i primi interventi di personale  educativo non docente. In questo periodo  specifico, le competenze professionali degli educatori sono  quelle di contenimento e di punizione, più che rieducative, ma d’altro canto non era richiesta una formazione specifica e ci si affidava  al buon senso personale. Non esisteva una cultura della salute come troviamo ora : lo Stato  non si interessava del benessere del cittadino, ma questo lo facevano solo le istituzioni di carità religiose, le uniche ad interessarsi di fornire un aiuto alle persone in difficoltà.

Negli anni Sessanta nasce  la prima associazione di educatori, l’ANEGID (Associazione nazionale degli educatori per la gioventù disadattata), centrata solo sull’assistenza ai minori in difficoltà. Gli operatori erano inseriti presso gli istituti gestiti da enti nazionali e locali, quali il Ministero di Grazia e Giustizia. L’ANEGID è stata la prima associazione ad avere un gruppo di operatori impegnato a riflettere sulle esperienze riabilitative realizzate, al fine di ricercare una omogeneità di interventi e individuare nuovi ambiti di attività.

La sempre maggior attenzione alla prevenzione, alla necessità di offrire servizi non frammentati alla persona, ha consentito di avviare la sperimentazione di attività legate anche  al tempo libero (cntri ricreativi, estivi, laboratori, ecc.). Dopo gli anni Settanta inizia una ristrutturazione dei servizi e vengono adottate modalità di intervento sul disagio che prevedono  sempre più competenze educative. A seconda dei tipi di interventi, si configurano  diverse tipologie di operatori, che assumono definizioni  varie: educatore, educatore professionale, educatore di comunità, operatore dell’area pedagogica, animatore, animatore socio-educativo, riabilitatore e altri simili.

Nasce una nuova associazione che si pone l’obiettivo di ricercare e definire un unico profilo professionale, l’ANEOS (Associazione nazionale degli educatori e degli operatori sociali), così la spinta verso il riconoscimento della professione e la definizione dei confini professionali si fa sempre più pressante, anche se non produce nell’immediato  risultati  considerabili.

“ La maggior felicità del maggior numero di uomini

è il fondamento della morale e della legislazione”

J.Bentham

3. La politica sociale in Italia: gli sviluppi che hanno favorito

l’inserimento dell’educatore nel sociale

L’intervento educativo o riabilitativo si inserisce sempre dentro la dinamica complessiva della politica sociale di un paese, intesa come l’istituzione di controllo che eroga i beni e i servizi sociali da parte di organi pubblici e/o privati.  In tempi  relativamente recenti si è modificata la modalità d’intervento ai problemi della salute e questo è molto interessante per valutare in progressiva conseguenza l’evoluzione della figura  dell’educatore professionale.

L’art. 32 della nostra Carta costituzionale sancisce che la «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratutite agli indigenti». Con questo presupposto, lo Stato si incarica di realizzare una serie di servizi per  realizzare quanto esplicitato dall’articolo.

Resta il fatto che a tutela della salute del cittadino non è sufficiente attivare un sistema solo di tipo sanitario, ovvero un sistema che privilegi la cura e/o il contenimento delle persone, ma è necessario che questo tipo di assistenza sanitaria venga correlato da un’assistenza di  carattere psico-sociale., perchè non è possibile definire i confini tra malattie vere e proprie e gli stati di disagio, difficoltà che non riescono a far emergere tutte le risorse sociali del proprio organismo nel rapporto con gli altri.

La nascita del Welfare state ha introdotto un  modo nuovo di concepire la funzione dei serviozi assistenziali come risposta ai bisogni delle fasce emarginate della popolazione  (anche se ora anche il  Welfare State è in crisi e  le ultime ricerche confermano che  non riesce più a garantire il benessere collettivo), considerando per la prima volta lo stato di  diritto all’assistenza sia sociale che sanitaria del cittadino e rivalutando il concetto di coscienza stessa. Quindi i servizi da attivare vanno ben oltre al rispondere alla malattia fisica. Sono ancora gli anni rivoluzionari Sessanta-Settanta, che segnano la tappa decisiva per le trasformazioni nell’ambito d’intervento alla salute. Si definiscono alcuni criteri d’intervento nonchè  si attribuiscono chiari significati ai termini in uso rispetto alla risposta ai disagi. Si definisce:

la beneficenza, quando si intende dare ai bisognosi aiuti economici o beni materiali attraverso il volontariato; non è diritto di nessuno ricevere beneficenza;

la previdenza sociale, quando ci si riferisce agli aiuti erogati al cittadino in quanto lavoratore; fa parte del sistema di protezione sociale;

 la sicurezza sociale, quan ci si riferisce all’insieme di aiuti volti  a proteggere tutti i cittadini in qualità di uomini;

l’assistenza sociale, quando si fa riferimento all’insieme di aiuti offerti al cittadino in quanto essere umano in situazione di necessità; è un diritto di ogni persona riceverli quando  è in stato di difficoltà; [14]

In questa nuova politica sociale si sono tracciate delle nuove linee di tendenza generali da seguire, e sono:

1. si privilegiano gli interventi di prevenzione rispetto a quelli che offrono solo la cura;

2. indipendentemente  dalle categorie sociali, si offrono  servizi uguali a tutti i cittadini;

3. si compiono interventi globali e non settoriali, atti a far evolvere l’individuo  assistendolo nella risoluzione dei propri problemi;

4.   promuovere il processo di deistituzionalizzazione;

5. favorire interventi di aiuto economico non discriminanti.

Per attuare queste linee di tendenza, sono stati istituiti in quasi  in tutto il territorio nazionale, diversi servizi  territoriali come  consultori familiari, servizi per l’età evolutiva, servizi di igiene mentale, centri per la salute e la tutela dei tossicodipendenti ecc, (anche se ora la crisi del pubblico con  i tagli alle spese della sanità ha visto il fiorire di strutture private, convenzionate o in appalto alla Stato), in questi centri collaborano operatori con diverse competenze e professionalità e negli ultimi quindici anni si è inserita anche la figura dell’educatore professionale.

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[1] voce del Dizionario  Garzanti della Lingua Italiana, Milano,Aldo Garzanti editore, 1990,pag.589.

[2] voce dal Dizionario Garzanti della Lingua Italiana, Milano, Aldo Garzanti editore, 1990, pag.913.

[3] “nel mondo greco del v sec. A.C., ciascuno di quei maestri di retorica, filosofia e politica che ebbero notevole influenza sulla vita intellettuale dell’epoca, costituendo un importante movimento filosofico culturale; dal latino sophistes, dal greco sophistè’s,  derivato di sophìzesthaicavillare, valersi di sottili argomentazioni’ ”, voce  dal Dizionario Garzanti  della Lingua Italiana, Milano, Aldo Garzanti editore,1990, pag.1659.

51. (Lett.) l’arte della levatrice, 2. Per anal., il metodo di insegnamento socratico consistente nell’aiutare il discepolo, sapientemente interrogandolo, a mettere in luce la verità latente nel suo spirito. Dal greco maieutikè’ (tèchnè) ‘ (arte) ostetrica, ostetricia’, derivato di  mâia ‘mamma, nutrice’ “, ibidem, pag.987.

[5] Umanista olandese (Rotterdam,1466-Basilea,1536),si ricorda che durante la Riforma (1519), si fa assertore del valore dell’uomo come natura libera, distaccandosi da essa.

[6] Letterato italiano (Casatico, Mantova, 1478-Toledo 1529); raffinato umanista che aveva  fede nella vita cortigiana, intesa come la più aristocratica ed equilibrata manifestazione dell’umana socievolezza; idealizzazione dell’uomo come assoluto protagonista di una vicenda solo terrena: espressione del suo pensiero, è il trattato  Il cortegiano  che ha scritto nel 1528.

[7] Scrittore francese (1494-1553) criticò nei suoi libri la gerarchia cattolica e fece satira sulla giustizia e l’insegnamento.

[8] Scrittore francese (1533-1592), giunge ad una filosofia personale dove le uniche realtà accessibili alla nostra conoscenza di esseri vari, mutevoli, inafferrabili sono quelle che ci riguardano più da vicino e altro non sono che aspetti, momenti, proiezioni del nostro io.

[9] Pedagogista e poligrafo ceco (1592-1670). Può esere considerato  l’iniziatore del metodo pedagogico nel suo tentativo di trasferire la dimensione empirica dell’educazione a un livello  di riflessione sistematica e perciò scientifica. Fu anche un utopista politico, che aspirò a un mondo fondato su un supergoverno pacifico con una cultura unificata e per tutti valida (ideale della “pansofia”), con una religione conciliatrice e una scuola unica per tutti.

11 Scrittore francese (1533-1592), giunge ad una filosofia personale dove le uniche realtà accessibili alla nostra conoscenza di esseri vari, mutyevoli, inafferrabili sono quelle che ci riguardano più da vicino e altro non sono che aspetti, co, con una cultura unificata e per tutti valida, con un a religione conciliatrice e una scuola unica per tutti.

[10] Scuole seguaci del Giansenismo, iniziato dal teologo olandese Giansenio (1585-1638), che affermava l’assoluta necessità della grazia per la salvezza, concessa da Dio solo ad alcuni eletti.

[11] Sono i seguaci del pietismo che era una corrente religiosa protestante del sec.XVII, tendente ad una rigida moralità e all’interiorizzazione del sentimento cristiano. Voce dal Dizionario Garzanti della Lingua Italiana, Milano, Aldo garzanti editore, 1990, pag.1263.

[12] Don Lorenzo Milani, Anche le oche sanno sgambettare, a cura di Carlo Galeotti ,Viterbo, Millelire Stampa alternativa,1995,pgg.34-35.

[13] Paolo Crepet, tratto dal suo intervento al convegno “Prevenzione del disagio giovanile e Aids” , tenutosi a Cesena il 15 novembre 1996 presso il Palazzo del Ridotto.

[14] definizioni tratte dal testo di Stefania Miodini e Maria teresa Zini,L’educatore professionale,Roma, La Nuova Italia Scientifica,1992, pag.19.

 

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