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“Il terzo continente”(di Barbara Martini)
In viaggio alla ricerca delle motivazioni, delle aspettative e dello stile di vita dell’ “Essere” Educatore professionale

TERZA TAPPA - Viaggio nell’ ”iperspazio”: la figura dell’educatore professionale nel futuro

“Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei loro sogni” Eleanor Roosevelt

1. Il futuro dell’educatore tra etica e politica

Intraprendendo una riflessione  sulle prospettive future dell’educatore professionale si intuisce che lo spazio di sviluppo di questa figura è legato principalmente a due dimensioni: una politica e una etica.

Per quanto riguarda la dimensione politica, è sempre più evidente l’intreccio e la connessione tra il futuro della professione dell’educatore e quello delle politiche sociali.

Lo sviluppo quantitativo e qualitativo della figura dell’educatore è avvenuto in un periodo caratterizzato da forti riforme nel sistema dei servizi, passato progressivamente da una concezione assistenzialistica e custodialistica a una concezione di promozione sociale, prevenzione e integrazione socio-sanitaria nella prospettiva della deistituzionalizzazione e della territorialità.

A fronte di una prospettiva che vede nell’educatore professionale un possibile tutore dei diritti sociali (salute, gioco, tempo libero, istruzione, socializzazione, crescita), si pone l’esigenza di definire il percorso e le condizioni  necessarie per far si che ciò possa avvenire. Tale percorso appare, oggi, alquanto accidentato e difficile, in considerazione del fatto che, tuttora, l’educatore non riesce ancora a tutelare i propri diritti. Per quanto riguarda la dimensione etica , si tratta di considerare attentamente il fatto che allo sviluppo professionale (metodologico e tecnico) già avvenuto deve ora seguire, come già è stato per altre professioni sociali, un serio lavoro di costruzione di un codice deontologico, per poter rispondere non solo alle domande relative al “cosa” e al “come”, ma anche a quelle relative al  “perché”, al fine di delineare i limiti al di là dei quali un’azione educativa diviene eticamente incongrua da un punto di vista professionale.

Tutto ciò dovrà portare gli educatori (e non solo) a un consistente approfondimento sul piano dei valori e dei principi che orientano l’azione e i comportamenti professionali, al fine di offrire servizi nel pieno rispetto di se stessi, del “cliente-utente”, delle caratteristiche sociali e culturali del contesto territoriale in cui l’azione si svolge.

Queste considerazioni rilanciano in modo rilevante l’esigenza di una seria riflessione sulla figura dell’educatore: sul perché egli debba esistere, per chi, per quali bisogni, per quale modello di lavoro sociale, per quale sistema dei servizi, per quale futuro impiego.

“In realtà noi non impariamo niente dalla nostra esperienza. Noi impariamo soltanto dalla riflessione sulla nostra esperienza” Robert Sinclair

2. Un futuro preoccupante?

Le questioni sinora espresse trovano un altro motivo di urgenza nelle modificazioni in atto a livello di istituzioni pubbliche e del sistema dei servizi sociali e sanitari. In particolare, l’attenzione delle USL, sull’incertezza circa il futuro dei servizi sociali, sul fatto che l’educatore sia tuttora collocato in servizi a forte caratterizzazione sanitaria, in servizi a connotazione socio-assistenziale e in servizi al confine tra sanitario e sociale. Tali avvenimenti determinano il bisogno di un approfondimento circa le collocazioni dell’educatore negli scenari dei servizi che si configurano per il futuro. Si tratta di intravedere quali spazi, funzioni e collocazioni operative e organizzative gli educatori saranno chiamati a ricoprire nel prossimo futuro.

In particolare, e al solo scopo, in questa sede di evidenziare una questione essenziale, c’è da chiedersi se le attuali tendenze a un ridimensionamento del welfare non comportino una sostanziale riduzione delle potenzialità operative dell’educatore professionale e un suo confinamento in attività di tipo prettamente riparatorio-assistenziale.

I segnali in tal senso sono preoccupanti e si manifestano attraverso decisioni politiche e atti normativi e amministrativi volti a:

·   separare rigidamente il “sociale” dal “sanitario” (non solo negli aspetti finanziari, ma anche in quelli organizzativi e operativi) in nome di principi quali l’efficienza, l’economicità e l’aziendalizzazione;

·   sanitarizzare il sociale,  riducendo le risorse orientate alla prevenzione e alla promozione del benessere per concentrarle sulle dimensioni curative e sanitarie;

· ridurre il sociale e l’assistenziale, diminuendo l’incidenza e la consistenza dei servizi pubblici a favore di uno sviluppo del privato e del volontariato, peraltro considerati in modo del tutto strumentale.

Appare evidente che se tali tendenze dovessero essere confermate, l’apporto dell’educatore professionale verrebbe a mancare, soprattutto in quelle attività a elevata integrazione socio-sanitaria in cui la dimensione educativa, costitutiva dell’intervento stesso (si pensi alle aree quali la psichiatria, la tossicodipendenza, i minori, ecc.), non appare facilmente ascrivibile all’uno o all’altro comparto. In altri termini, l’assenza di una precisa classificazione (sociale o sanitaria), in un’organizzazione che separa nettamente i due aspetti, rischia di lasciare senza cittadinanza e copertura economica tali attività e gli operatori che le attuano.

Gli educatori potrebbero così progressivamente scomparire dalle aziende USL - che, soprattutto laddove sono state loro attribuite competenze sociali, avevano incrementato negli ultimi anni l’assunzione di tali figure professionali -, per concentrarsi soprattutto negli enti locali, ma , alla luce di quanto sopra indicato, con valenza più rieducativa che educativa in senso lato.

“L’esperienza non è ciò che accade a un uomo. E’ quello che un uomo fa con ciò che gli accade” Aldous Huxley

3. Condizioni per una utile e proficua formazione futura

Ritornando al discorso intrapreso nei capitoli precedenti sulla formazione è opportuno individuare anche, rispetto  alla stessa nel prossimo futuro, quali sono le caratteristiche utili e proficue che deve assumere per lo sviluppo della figura dell’educatore e dei servizi stessi in cui esso opera.

Innanzitutto per garantire un livello qualificato di servizio è necessario che le regioni:

· vincolino l’ingresso nei servizi a personale con la specifica qualifica di educatore professionale, sia nel settore pubblico, sia nel privato convenzionato;

·   promuovano la formazione in servizio per qualificare gli operatori assunti senza titolo ma con i requisiti di accessi ai corsi;

·   prevedano corsi specifici per il personale, in questo momento in servizio, privo dei requisiti di accesso alla professione, con la garanzia del mantenimento del posto di lavoro e della qualifica funzionale raggiunta.

La formazione permanente...

La formazione permanente è parte costitutiva di una professionalità che deve rispondere a situazioni particolarmente complesse, con bisogni in continua evoluzione.

Nella prospettiva sopra indicata è necessario che negli operatori una cultura orientata a considerare la formazione continua come costitutiva della  propria professionalità e che, nel frattempo, si sviluppino nei servizi una cultura e  le condizioni che ne consentano la realizzazione.

Si tratta di pensare ad un educatore molto collegato al contesto organizzativo e protagonista del suo processo formativo. In tal senso vanno favorite, da un lato, la formazione per acquisire nuovi saperi e abilità, dalll’altro la formazione mirata a far fronte ai cambiamenti organizzativi.

In sintesi , si tratta di permettere lo sviluppo di pratiche formative a servizi di obiettivi di sviluppo qualitativo dei sevizi. Questa prospettiva potrebbe garantire:

· una migliore articolazione del profilo professionale di fronte ai bisogni emergenti e alle nuove pratiche operative;

· nuove modalità operative, evitando la proliferazione di altre figure professionali e garantendo, nel frattempo, una figura flessibile e capace di ri-orientare se stessa, continuamente, nell’ambito dei servizi in cui opera.

 Ciò, concretamente, potrebbe tradursi in un’organizzazione sempre nuova delle proprie conoscenze, in una costante ridefinizione degli ambienti in cui si agisce, di se stessi (identità professionale), dei criteri per agire, dei  propri compiti e delle funzioni da esercitare, e nella capacità di cogliere i limiti dei propri saperi.

Le scuole potrebbero essere, nello stesso tempo, sedi di formazione di base e luoghi di formazione permanente, in modo da garantire un arricchimento reciproco fra operatori in servizio e operatori in formazione.

In questa direzione vanno costruite occasioni di formazione per porre gli educatori in una posizione di protagonismo, con situazioni di autoformazione e ricerca professionale finalizzate alla produzione di “sapere professionale” originale, a partire dall’analisi e dal confronto tra le prassi operative.

La supervisione  potrebbe invece essere orientata a riferita in modo prevalente alla riflessione sistematica sulla pratica professionale specifica.

In questo caso si dà  la necessità che si sviluppi e incrementi il coinvolgimeno di educatori professionali, opportunamente formati, nella realizzazione dell’attività di supervisione, interna alla professione, per garantire la possibilità di una riflessione e di una ricerca sulle  pratiche e sulle metodologie educative che attinga alle esperienze di educatori competenti, che abbiano avuto la possibilità di rivisitare a fondo il proprio lavoro, rielaborandone i significati, le prassi, gli orientamenti. Le sedi formative  per educatori professionali potrebbero offrire spazi formativi finalizzati alla graduale acquisizione di queste competenze.

“Non dobbiamo avere paura del futuro; è il futuro che deve tremare vedendoci arrivare” Alberto Martini

4. Educatori  professionali nell’Europa del 2000

 La conferenza di valutazione organizzata a Coblenza agli inizi del mese di luglio del 1996, ha visto riuniti numerosi fra gli Istituti di Istruzione Superiore ed Universitaria europei che si occupano della formazione di operatori sociali: educatori professionali ed assistenti sociali.

La valutazione concerneva gli esiti del programma Erasmus, in prospettiva dell’attuazione del nuovo programma comunitario Socrates-Erasmus, cioè di quelle tipologie di formazione che sono collocate a livello di istruzione superiore/universitaria di tre anni e più;  esistono tuttavia, tipologie di formazione nel settore dell’educazione non formale e professionale che si collocano a livelli inferiori.

Che cosa può rappresentare per l’Europa la professione di educatore professionale-sociale-operatore per la gioventù e la comunità?

La risposta che viene dai lavori della conferenza sottolinea innanzitutto  uno stile di vita e di relazioni interpersonali, un metodo d’azione che sia democratico: l’aggettivo appare come abusato dal punto di vista della verbalità. La questione è di passare dalle affermazioni avulse dell’esistenzialità ad una concettualità implicata nel modo di essere, nell’esistenzialità, cosicché la vera democraticità sia assicurata più che dalle parole e dalle affermazioni, dal modo di essere che il concetto fa esistenza e vita: fare e vivere il concetto di democraticità.

In secondo luogo è stato detto, che la formazione deve avere come centro, come focalità la persona umana nella complessa unità della sua individualità corporea, psicologica, psichica, sociale. Questa concezione dell’uomo e della formazione permette di risolvere, cogliendo dell’uomo le caratteristiche essenziali, molti dei problemi e delle difficoltà posti dalle differenze razziali e culturali.

Infine, la coscienza di operare, sia pure con fisionomia e ruolo specifici, all’interno dell’ampio settore del lavoro sociale che raggruppa ed impegna con obiettivi comuni più professioni, fra cui, non ultima, quella dell’educatore professionale.

Se ciò sembra essere il contributo dell’educatore per l’Europa, vi possono essere anche aspetti di  confronto dell’educatore con l’Europa o, piuttosto, con la concezione che nell’europa ha ampio spazio circa i servizi di aiuto sociale ai cittadini ed ai giovani in particolare.

Il senso della positività e dell’ottimismo che dovrebbe caratterizzare l’attività educativa, nel campo dell’educazione non formale, dovrebbe sempre più spingere in alcune direzioni specifiche, anche se non sempre accolte e favorite, certamente non per motivi educativi, quanto piuttosto per motivi utilitaristici:

·   la tendenza a risolvere nell’ambiente di vita, il territorio, i problemi connessi all’educazione non formale superando il più possibile formule collegiali e residenziali ancorché di limitate  entità quantitative;

·     la tendenza a risolvere in tale situazione anche l’intervento educativo nei confronti dei soggetti e dei giovani in difficoltà troppo spesso. Infatti, si constata una censura fra l’aiuto educativo,  le politiche giovanili  in generale e l’aiuto educativo e le politiche a favore dei giovani in difficoltà, una censura talora dovuta alla attribuzione delle competenze a differenti entità ed organismi pubblici a livello centrale e/o decentrato;

·    la riconversione degli interventi in uno sforzo maggiore per l’utilizzazione della professione in termini di intervento promozionale e non esclusivamente o prevalentemente riparativo, come contributo specifico al miglioramento della qualità della vita.

Si tratta di tendenze che in alcuni paesi sono pienamente in atto come nella Repubblica Federale di Germania o nel Regno di Danimarca e nel Regno di Spagna, mentre altrove, nella stessa Repubblica Francese, rivalità fra professioni, molteplicità di livelli professionali e concorrenza fra poteri ministeriali, nonchè fra poteri periferici (fra Dipartimenti e Comuni), impediscono (pur in un sistema di servizi piuttosto valido) questi ulteriori avanzamenti e completamenti.

Un ultimo aspetto non va trascurato: quello relativo alla “circolazione” dei diplomi sotto due aspetti, quello professionale e quello accademico.

Per il primo aspetto le due risoluzioni specifiche della Comunità europea hanno definito la questione suddividendo i diplomi in due grandi settori: il primo quello dei diplomi di livello superiore/universitario di tre o più anni, il secondo quello dei diplomi di livello superiore/universitario di due anni, dei  diplomi di livello secondario superiore universitario e i certificati e gli attestati di varia estrazione.

Questo riconoscimento reciproco  da parte dei vari stati dell’Unione Europea concesso per l’esercizio della professione, non per il proseguimento degli studi, richiede alcune condizioni specifiche (conoscenza della lingua, della legislazione e dell’organizzazione dei servizi locale, eventuale stage di inserimento, eventuale integrazione della formazione).

Ma soprattutto è richiesta una regolamentazione della professione che nel nostro paese, per l’educatore professionale, inizia appena a delinearsi ora , ma che rimane ancora incerta per l’aspetto formativo (a differenza della professione dell’assistente sociale e che  potrebbe essere raggiunta mediante l’approvazione dalla proposta di legge n.1504 del 13 giugno 1996: Disciplina della professione di educatore professionale, ad iniziativa dell’On. Augusto Battaglia, p.d.l. che rifacendosi al D.P.R. 162/82 ripropone il recupero anche sul piano accademico degli attestati rilasciati dalle scuole regionali o promosse dalle UUSSLL.

Il riconoscimento accademico è, invece, oggetto del progetto ECTS: trasferimento di crediti, del programma Socrates-Erasmus ed interessa le formazioni che sono di livello superiore universitario.

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