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“Il terzo continente”
In viaggio alla ricerca delle motivazioni, delle aspettative e dello stile di vita dell’ “Essere” Educatore professionale

...Dedico questo “viaggio”ad Alberto, mio fratello -detto Ciccio-, per un milione di motivi diversiche non posso descrivere tutti,ma che si possono riassumere tutti invece, nelle descrizioni e nelle intenzioni in queste parole: «...a mio fratello Alberto»

“... e ricorda:
 quello che Sei risuona così forte
 da coprire quello che dici
 e quello che fai “.

Antico proverbio indiano

IL GIORNO DEL RINGRAZIAMENTO

I ringraziamenti e la ri-conoscenza non sono  per me una formalità, ma sono invece una necessità.

 Credo che se una persona è capace di ringraziare e di  ri-conoscere ciò e chi l’ha aiutata a crescere, può darsi l’opportunità di continuare a farlo perché è consapevole di ciò che ha ricevuto. Nella misura in cui si è capaci di ri-conoscere gli altri con ciò che rappresentano per noi, ri-conosciamo anche noi stessi, quello che abbiamo, le nostre appartenenze, i nostri legami con gli altri: la riconoscenza è legata a  un Ri-Conoscere ciò che  esiste, ciò che è ineluttabile e ha il sapore di una tenerezza, di  una cura verso sé stessi.

E’ per questi motivi che tengo in particolare considerazione i miei ringraziamenti  mettendoli in prima pagina: anche questi appartengono al mio “viaggio” di tesi.

Questa è stata la prima esperienza di tesi, non avevo idea prima d’ora in che cosa consistesse un lavoro di ricerca così grosso. Per farlo mi sono cimentata per la prima volta al computer, ho reimparato l’uso dei capitoli, dei paragrafi, dei caratteri, ho riscoperto il gusto per la ricerca: ho acquisito insomma nuove competenze tecniche, ma all’inizio del lavoro non sapevo nulla di tutto questo e non potevo certo pensare di fare solo l’autodidatta. Poi, come sempre mi accade, le cose sono venute da sé un po’ alla volta, man mano che mi si ponevano le difficoltà trovavo sempre qualcuno attorno a me disponibile e competente per darmi una mano.

E allora è successo che di mani ne ho trovate molte (come dimostrano le tracce alla fine del lavoro), mani preziosissime che voglio qui ringraziare, perché senza di loro non sarei riuscita sicuramente a fare tutto questo lavoro. Ancora una volta devo ri-conoscere che gli altri sono fondamentali e che non si va da nessuna parte da soli. Questo lavoro quindi appartiene anche a tutte le persone che mi hanno aiutata, in un modo o nell’altro e che “ci hanno messo le mani dentro”.

Innanzitutto  sono riconoscente a chi mi ha dato l’opportunità di partecipare a questo Corso di Riqualificazione per Educatori (la cooperativa per cui lavoro “Domus Coop”, i colleghi che mi hanno sostituita durante l’orario del corso e l’Azienda USL di Forlì), ne riconosco  la grande importanza sia per la mia formazione professionale che personale: sono nati tanti “viaggi”, tanti stimoli  dalla formazione.

Ringrazio poi le mani di Funny, la  mia insegnante, che in sintonia ha subito accolto con entusiasmo il mio argomento di tesi (è importante che qualcuno accolga con entusiasmo quello che fai), correggendomelo pazientemente nel breve tempo che le ho lasciato a disposizione.

Poi ci sono in grande rilievo le mani di Elisabetta, che ha sopportato le letture delle mie elaborazioni, le telefonate, i dubbi tecnici di percorso, e che ringrazio soprattutto per la precisa competenza tesistica e linguistica che mi ha offerto .

Ringrazio Diego - in arte Zorro - il mio personale “tecnico” di fiducia, che proprio come il suo omonimo supereroe, si è precipitato a “salvarmi” nei momenti critici al computer e ad erudirmi sui misteri dell’informatica: ha curato l’assistenza a “Gino” , il mio computer, per me ancora semisconosciuto; senza di lui avrei  sicuramente cancellato o distrutto inconsapevolmente parte del lavoro.

Ultima componente, ma non meno importante, di questo team d’assistenza straordinario è Beatrice - detta “la Rossa”- che ha sacrificato le sue tonsille malate per dettarmi al momento della battitura, e che, con la sua esperienza di “vita vissuta”, ha rassicurato i  miei dubbi sulla tesi.

Altri ringraziamenti vanno a Caterina, per l’ispirazione, a Silvana per la vicinanza e per il libro regalatomi (fonte di tutto), a Mirella per il suo libro “in extremis”, a tutti quelli che mi hanno  rotto le scatole per crescere e a quelli che me le hanno rotte e basta.

Ringraziamenti speciali a tutti gli educatori intervistati che mi hanno concesso gentilmente non solo parte del loro tempo, ma soprattutto la disponibilità emotiva a raccontarsi e a raccontare i propri vissuti personali e professionali: per me è stato il momento più ricco e bello di tutto il lavoro di tesi: fosse stato anche solo per le interviste ne sarebbe valsa la pena . Rimpiango solo di non essere riuscita per mancanza di tempo a farne un numero maggiore...

Infine  ringrazio tutte le persone che ho “conosciuto” attraverso i libri letti per questo lavoro (molte mi hanno emozionato): conoscere il loro pensiero, le loro azioni è stato un po’ come incontrarle virtualmente, e ogni incontro -anche se virtuale- porta sempre qualcosa di nuovo, qualcosa in più...

PREFAZIONE

Questa tesi è nata dalla curiosità, dall’interesse e dal piacere che sento nell’incontrare gli altri (mondi diversi), e in questo caso particolare, ho sentito il bisogno, per confrontarmi, di  incontrare nei testi e nella realtà chi svolge come me la professione di educatore.

Infatti, non a caso la tesi porta il nome di un continente ed ha come sottotitolo le parole “ricerca” e “viaggio”; perché fondamentalmente è un viaggio alla ricerca - come suggerisce la favola nel prologo - del continente Essere, della parte autentica dell’uomo. Non ho la presunzione di pensare di aver trovato chissà quali significati o risposte bibliche e assolute, mi sono presa la libertà di aprire “una finestra”, finora chiusa per me, su una delle tante “piazze” di questo continente e di affacciarmici.

La ricerca del continente Essere per me,  si realizza offrendo anche uno spazio  d’incontro con l’altro e con sé stessi: uno spazio culturale, cognitivo, emotivo e motorio, della filosofia di vita, della creatività e dell’originalità di ciascuno.

 Il viaggio in fondo è sempre la ricerca di qualcosa, spesso di qualcosa che manca, che non è possibile trovare se non si “parte” e non ci si distacca da quanto già si conosce, lasciando qualcosa per fare spazio a qualcos’altro di nuovo. E’ anche un viaggio di ritorno “a casa”: si parte e poi si ritorna sempre. A casa però ci si ritorna sempre un po’ più ricchi, più saggi, più consapevoli della propria “casa” e del mondo che ci circonda.

Condizione indispensabile per partire è portare con sé l’essenziale ed essere disponibili a vivere le esperienze che  il viaggio stesso ti offre come possibilità di provarsi, di sfidarsi, di confrontarsi, per andare un po’ oltre alle colonne dei nostri affezionatissimi limiti. E’ nell’esperienza  del  lasciare la propria casa, del provarsi anche nei rischi che offre sempre il viaggio, che si sperimenta la propria appartenenza: ed è appartenendo a qualcuno che si possono affrontare  i rischi e i pericoli con la sicurezza di farcela, senza relegarsi alla paura (“Appartieni a chi ti attende”... dice una massima).

Per incontrare gli altri, il mondo fuori di noi, è indispensabile  muoversi e viaggiare, sia fisicamente che mentalmente, perché l’incontro avviene principalmente su tre livelli: quello fisico, quello culturale o cognitivo e quello emotivo.

Riassumendo possiamo dire che questo viaggio ha portato con sé alcune caratteristiche, che sono, oltre alla ricerca di uno spazio nuovo di confronto, la motivazione e l’aspettativa degli educatori verso questa professione, due elementi presenti  sempre in un viaggio, ovvero: quali sono i miei obiettivi, cosa mi spinge a fare quel che faccio, cosa voglio da questo lavoro e in che maniera, con quale “stile” realizzo tutto ciò.

Appare evidente che questo lavoro non vuole e non può essere di tipo prettamente scientifico, o perlomeno, lo è parzialmente per quel che riguarda la parte teorica. Infatti per realizzarlo si è diviso il lavoro in una parte teorica ed in una pratica.

 La parte teorica comprende il percorso storico evolutivo della figura dell’educatore, l’evoluzione del concetto e della dimensione educativa nell’uomo, confrontando le ultime più autorevoli ricerche e correnti di  pensiero rispetto al tema delle motivazioni e delle aspettative nel lavoro sociale e in particolare a questo dell’educatore; la parte pratica investe la sua attenzione  su ciò che pensano, credono e sentono i protagonisti, gli educatori, e si è ritenuto interessante intervistarne qualcuno per capire meglio il  proprio stile professionale; è una parte sperimentale.

E’ chiaro che la ricerca compiuta, specialmente quella pratica, ha un valore opinionistico, umanistico, interessante per conoscere nei dettagli, anche e soprattutto emotivi, l’esperienza di questa categoria professionale.

 L’intento è quello di offrire uno spazio di riflessione, senza chiudere  o dare risposte definitive al tema trattato, ma  semmai  stimolare altro e proporre nuove domande, un confronto tra elementi interni ed esterni, tra ciò che emerge dalla ricerca scientifica e ciò che racconta l’esperienza, il vissuto personale.

Mi sembra comunque di aver individuato almeno due fili conduttori ideali, che hanno guidato tutto il lavoro: uno di questi penso possa risiedere nella convinzione della grande importanza, anche se non esclusiva, dell’opera di assistenza alle tante categorie di persone che si trovano in condizioni di bisogno e della dimensione educativa, attenta, anzitutto, ai valori morali e spirituali dell’uomo (verso i quali l’educatore si fa attento promotore); un secondo filo conduttore sussiste invece nella convinzione che la cura degli altri è imprescindibile dalla cura di sé, e per cura di sé si intende la capacità di distacco e, allo stesso tempo, di accettazione con una punta di sorriso delle peculiarità e dei limiti relativi al proprio modo di relazionarsi emotivamente con gli altri e di organizzarsi mentalmente di fronte ai problemi e alle sfide variegate del lavoro sociale, riguarda l’interesse per la propria formazione professionale e personale.

Spero che questo lavoro possa essere piacevole e interessante per chi lo leggerà e come ho già detto, possa soprattutto offrire spunti di riflessione.

L’idea di poter stimolare anche il più piccolo movimento interno di riflessione, di  confronto, con la possibilità di lasciare qualcosa di nuovo e anche qualcosa di me, è la più grossa gratificazione che possa desiderare da questa tesi. Quindi credo possa essere utile  soprattutto a chi in qualche modo svolge attività dentro il sociale, soprattutto per gli educatori stessi come me.

E’ evidente che la prima utilità di questo lavoro è per me, il primo fruitore sono io, e l’importanza che rappresenta sta nell’esperienza vissuta nel costruire tutto questo.

Mi sono divertita, ma ho anche faticato, ho dedicato molto tempo e denaro nella realizzazione e nella progettazione del lavoro, è stato un buonissimo investimento perché ha “fruttato”, ha fatto guadagnare molto a me stessa e questo mi ripaga di tutti gli sforzi compiuti.

L’esperienza è stata il vero guadagno e il vero obiettivo, il processo d’esecuzione è stato altrettanto importante del risultato finale; la cosa veramente rilevante di tutta la tesi risiede in  quello che è successo dentro di me mentre ho realizzato tutto questo, e adesso...  mi riposo un po’.

PROLOGO

“ IL TERZO CONTINENTE “ [1]

di

Lucy e Heinz Körner

C’era una volta un’epoca di cui ormai non sa più niente nessuno. In quell’epoca c’erano solo due continenti sulla terra e si trovavano abbastanza vicini. Su entrambi i continenti vivevano essere umani, anche se fondamentalmente diversi gli uni dagli altri. Correva voce che da qualche parte in mezzo al mare, esistesse un altro continente ancora e che tutti provenissero originariamente da questa terra circondata dal mistero, da cui un giorno erano stati scacciati.

Ma nessuno ci credeva fino in fondo perché nessuno poteva raccontare di esserci stato davvero. Così, già allora si riteneva che la storia del continente Essere fosse una favola, come adesso gli uomini credono sia una favola la storia dei continenti Prendere e Dare.

Sul continente Prendere ognuno doveva cercare di realizzare se stesso prendendo il più possibile: era necessario quindi imparare ad imporsi, a sfruttare costantemente gli altri e a pensare soltanto alla carriera. Prendi” era la parola più utilizzata, così anche il continente si chiamò Prendere. Nel continente vivevano tre ragazze che, sulla linea dell’educazione ricevuta, decisero di prendersi qualcosa, realizzando il loro sogno: partire alla ricerca di Essere. Dopo la partenza decisero però di fare una tappa nel continente Dare.

Era cosa risaputa che là vivessero dei pazzi che non solo non conoscevano alcuna forma di proprietà, ma provavano persino gioia a dividere con gli altri quel poco che avevano e a dare in continuazione qualcosa agli altri. Le ragazze furono molto ben accolte dagli abitanti di Dare, che  si prodigarono a mettere a loro disposizione qualsiasi cosa di cui avessero bisogno; infatti per questi abitanti, la vita come si conduceva su Prendere era un enigma e ritenevano, senza alcuna cattiveria, che gli uomini di Prendere fossero stupidi.

Dopo il primo entusiasmo, le ragazze si accorsero che gli abitanti di dare erano come quelli della loro patria Prendere: a un primo sguardo sembravano contentissimi, ma ad un esame più approfondito non risultavano per niente felici. Fu incomprensibile la partenza delle ragazze da Dare: tutti davano qualche cosa e tutti si aspettavano qualche cosa in cambio. Così anche le ragazze diedero qualche cosa: diedero a loro stesse la libertà di realizzare i propri sogni.

Incredibilmente le ragazze un giorno videro innalzarsi dal mare davanti a loro il leggendario continente Essere. Una volta approdate incontrarono i primi uomini: in loro non c’era nulla di misterioso, erano uomini come quelli di Prendere e di Dare. Furono da loro accolte in modo molto amichevole e vennero invitate a fermarsi a Essere come ospiti.

Dopo un breve periodo passato a Essere, le ragazze  si resero conto che gli abitanti qui erano davvero felici, vivendo semplicemente. A Prendere gli uomini vivevano per uno scopo, di cui nessuno dubitava: riuscire a prendere quanto più possibile, qualsiasi cosa, la loro vita era rivolta solo a questo. Tutti gli uomini credevano  che sarebbero stati veramente felici se un giorno avessero preso abbastanza, ma quel giorno  non era ancora giunto per nessuno, dato che sembrava sempre che mancasse qualcosa.

A Dare il fine degli uomini era completamente diverso, ma le conseguenze simili: ognuno  viveva per dare quanto più possibile e quindi sentirsi bene. Tutti credevano di poter essere felici se avessero dato abbastanza, anche se fino ad allora veramente felice non lo era mai stato nessuno.

A Essere nessuno si preoccupava se uno prendeva o dava qualcosa. Gli uomini trovavano ciò indifferente. Chi voleva prendere molto e credeva  che fosse giusto per lui faceva come voleva. Quello che otteneva senza danneggiare gli altri poteva tranquillamente prenderselo. Chi credeva di realizzarsi solo donando agli altri, aveva  il diritto di cercare di farlo. Prima o poi  ognuno capiva che nè l’una nè l’altra cosa procurano  la soddisfazione che aveva sperato all’inizio.

A Essere  tutti vivevano con amore, riguardo e senso di immedesimazione, non si distruggeva nulla neanche la tenerezza con le parole...era un paradiso in terra; l’importante non era prendere o dare, ma essere e vivere.

Le  tre ragazze vissero a lungo su Essere , passarono ore felici e anche ore tristi, ma poi un giorno si ricordarono del loro continente Prendere e decisero di ritornarvi solo per una visita; una di loro  rimase a Essere , le altre due partirono.

 Una si fermò a  Dare  e trovò una  grande confusione tra gli abitanti, perché dopo la partenza delle ragazze si erano formati dei movimenti di contestazione, e loro  ne erano divenute  gli idoli: i giovani erano stanchi  di dare solamente, era giunto il momento di prendere qualcosa, ma questo creava grossi conflitti tra i giovani e i vecchi che continuavano a pensare  che non fosse buono cambiare. Alla fine tutti erano più infelici di prima e malgrado i racconti della ragazza sulla vita a Essere,  nessuno ne aveva capito il vero significato , che veniva invece travisato.

La terza ragazza tornò a Prendere e con grande sorpresa scoprì che anche lì stava accadendo la stessa cosa  che a  Dare. La partenza delle tre ragazze aveva dato origine a violente discussioni. Qui la gioventù aveva riconosciuto che solo prendere non rende felici, circolavano parole come amore per il prossimo e dare. Anche qui il significato dei racconti veniva travisato. I vecchi osteggiavano le idee  e i movimenti giovanili, il malcontento crebbe così tanto da far scatenare l’idea che la colpa  di tutto questo fosse degli abitanti di Dare, e la ragazza fu considerata una pazza e venne segregata dagli uomini.

Fu così che si giunse alla prima guerra della storia dell’umanità: Prendere mosse guerra a Dare per mettere fine a quel dilemma e riportare l’ordine costituito. A Dare gli abitanti pensavano la stessa cosa nei confronti di Prendere, così la guerra si scatenò ancora più violenta.

Dopo lunghe settimane di scontri si comprese che nessuna delle due parti avrebbe mai potuto vincere, così i signori della guerra si sedettero attorno ad un tavolo  a discutere sul da farsi: non si poteva  certo porre fine a quella che era stata una guerra santa e continuare come prima.

Alla fine fu deciso che erano state le idee delle due ragazze a dare origine al caos e che di conseguenza non erano  nè Prendere, nè Dare a dover essere distrutte, ma quello strano continente di Essere.

Fu stipulata la pace e i signori  della guerra dissero ai popoli che  la colpa di tutto  era delle due donne e del continente Essere, che doveva essere immediatamente distrutto. I due popoli si affratellarono e nell’ebbrezza della pace gli uomini non distinsero più tra Prendere e Dare e si mischiarono, nei due continenti, d’altra parte, i modi di vita erano ormai diventati molto simili.

I soldati dei due continenti si imbarcarono alla ricerca di Essere  e quando vi arrivarono lo attaccarono. Gli abitanti di Essere colti di sorpresa, senza opporre resistenza cercarono di spiegare ai soldati che la guerra era una cosa senza senso, ma  fu invano. I pacifici abitanti di Essere furono uccisi  quasi tutti, il paese venne raso al suolo finchè non ci fu più nulla che lo ricordasse. Poi una tremenda esplosione, provocata da un vulcano emerso  dalle acque, sconvolse l’intero continente che s’inabisso  nel mare. In verità esiste  ancor oggi la leggenda  di un meraviglioso  continente che s’inabisso ,ma nessuno finora  lo ha mai trovato.

La terribile esplosione aveva spinto Prendere e Dare  in due direzioni opposte e tuttora questa spinta continua costantemente. I soldati sopravvissuti non riuscivano a capire perché  fosse finita così; molti persero la ragione per questo e alcuni  si tolsero la vita, altri andarono di paese in paese a parlare alla gente di Essere e di amore. Costoro portarono in giro per il mondo l’idea dell’amore e piantarono  il seme dell’amore in molti cuori.

Ma in generale la vita degli uomini continuò ad essere quella di sempre, si continuò  a dare  importanza al prendere e al dare e a tutti  i problemi connessi  a ciò.  Adesso c’erano molti continenti e numerose lingue. Gli uomini avevano imparato a far la guerra e ne avrebbero  condotte ancora troppe altre.

Tuttavia, nel segreto dei loro cuori, gli uomini non perdettero mai la nostalgia di  Essere, la nostalgia dell’amore, di un paradiso che per colpa loro un giorno si era inabissato. Lo sapranno gli uomini che ciascuno di loro  porta Essere e con esso l’amore nel proprio cuore?

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[1] Tratto da: I colori della realtà, fiabe per adulti, Autori vari tedeschi, , Firenze, Adriano Salani editore,1993.        

                                                                         

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