In una
nota che ho letto sullUlisse di giugno si parla delle
metafore spazio-temporali nellaymara, una
lingua parlata da popolazioni andine. La nota mi ha fatto
ricordare una conversazione di qualche anno fa, quando un
amico grecista mi spiegò che per gli antichi greci
il passato sta davanti ai nostri occhi, essendo tutto ciò
che noi possiamo vedere, mentre il futuro ci sta dietro, in
corrispondenza alla parte cieca e indifesa del nostro corpo.
Per i greci come per gli aymara: passato = davanti, futuro
= dietro. Tutto a rovescio rispetto alla nostra visione del
mondo: è il futuro, verso cui siamo protesi, a starci
davanti, mentre il passato non cè più,
è la parte di strada già percorsa: futuro =
davanti, passato = dietro. La conversazione fra me e il grecista
ebbe luogo a unedizione dei Bozner Treffen - Incontri
a Bolzano di qualche anno fa, incentrata appunto sul tema
del futuro.
Allincontro io dovevo portare il punto di vista della
matematica, o per meglio dire il punto di vista di un matematico
- la matematica non è così noiosa che la si
debba tener inchiodata a un unico punto di vista. Negli ultimi
anni mi sono occupato di soft computing, ossia di calcolo
flessibile, e in particolare di computing with words, che
in italiano potremmo chiamare calcolo verbale. Lidea
di fondo è semplice: gli umani risolvono problemi complessi
in maniera estremamente efficiente e rapida tramite ragionamenti
verbali del tipo: mi sto avvicinando troppo rapidamente al
casello autostradale, devo fare una brusca frenata. Quando
al volante cè un robot, fargli copiare i nostri
rozzi ma rapidi ragionamenti verbali invece di costringerlo
a risolvere equazioni differenziali può essere decisivo:
è vero che la matematica hard delle equazioni differenziali
ci darebbe le soluzioni esatte, ma è anche vero che
nel frattempo lautomobile e il povero robot si potrebbero
già essere schiantati sul casello. Per lesperto
di soft computing il linguaggio naturale diventa un modello
da studiare, da capire e imitare: lobiettivo è
affascinante e coinvolge matematici, logici, informatici,
linguisti, neuroscienziati, psicologi, filosofi, e non credo
di aver finito. A Bolzano, dopo qualche minuto dedicato a
parlare di logiche temporali e di argomenti per me professionali,
passai subito a un esame di come venga trattata la dicotomia
passato-futuro nelle lingue naturali: non essendo un linguista,
ciò mi consentì di abbandonare il tono professorale,
il che dà sempre una sensazione di gran sollievo
Come ho anticipato, partiti dalle logiche temporali, si finì
col discutere animatamente di antica Grecia e di visioni del
mondo.
Vorrei
entrare subito nel vivo mostrandovi un piccolo esempio:
Pensavo che tu fossi malato, col congiuntivo passato nella
subordinata.
Penso che tu sia malato, col congiuntivo presente.
Penserò che tu
oddio, e il congiuntivo futuro?
Che logica cè a non avere il congiuntivo futuro?
Le lingue neo-latine sono maestre nelluso ed abuso del
congiuntivo, e il congiuntivo futuro esiste in spagnolo, ma
anche lì è solo di uso burocratico (1) o arcaico.
Abbiamo già toccato un punto importante: forse le lingue
naturali trattano il passato con maggior rispetto del futuro.
Per tentare di convincervi che è proprio così,
vi presenterò di seguito un piccolo bestiario
di gusto medioevale, senza nessuna pretesa di significatività
(2) statistica: userò solo lingue che conosco, alcune
meglio alcune (molto) peggio, ma in ogni caso sufficientemente
bene per capire come funzionino i loro congegni logici di
fondo; qualche relata refero sarà confinato alle note
a pie di pagina.Cominciamo da lingue usuali e simili
allitaliano, come il francese o lo spagnolo, in cui
i congegni logici sono sostanzialmente gli stessi e
se qualcuno trova questa mia affermazione esagerata, non dimentichi
che parlo da matematico, e che sono portato allastrazione
per ragioni professionali. Basta unocchiata alle tabelline
dei verbi e delle loro coniugazioni per convincersi che, per
esempio, il passato in italiano ha strutture più ricche
di quelle del futuro: allindicativo abbiamo dissi, dicevo,
ho detto, avevo detto, ebbi detto contro dirò, avrò
detto.
Cè però un punto che mi sembra ancora
più significativo: il futuro può venir schiacciato
sul presente,
il passato no:
Domani parto = domani partirò, mentre ieri parto non
funziona, e si deve usare una forma passata,
come ieri sono partito; si arriva a dire fra ventanni
vado in pensione, con il presente. Ma allora il futuro serve
davvero, o è una struttura ridondante? In inglese e
in tedesco il futuro (3) è perifrastico, I will sing,
ich werde singen, [io] canterò, e almeno in inglese
lambiguità fra una volizione nel presente (io
voglio cantare) e un accadimento nel futuro (io canterò)
è ben percepibile; in tedesco si usa il verbo werden,
il cui primo significato è quello di divenire. Senza
dilungarmi, direi che da questo primo esame risulta che il
futuro viene trattato in maniera più economica
del passato; colpisce poi la possibilità di sostituirlo
con il presente.
Rimaniamo
a lingue geograficamente europee e tipologicamente indoeuropee:
abbiamo trascurato il grande gruppo delle lingue slave, un
gruppo abbastanza compatto, a prescindere dalle riserva sulle
lingue balcaniche cui accennerò fra poco. La coniugazione
slava è decisamente povera di tempi, ma si rifà
a iosa perché a un verbo italiano nelle lingue slave
ne corrispondono di solito due, uno di aspetto perfettivo
(compiuto), laltro di aspetto imperfettivo (incompiuto).
Per esempio comprare si dice in sloveno kupiti, verbo perfettivo,
fare una compera, o comunque un numero ben definito di compere,
ma anche kupovati, verbo imperfettivo, far compere, star comprando,
e magari alla fine non comprare un bel niente. In sloveno
la simmetria fra passato e futuro è lodevole, e si
adoperano in entrambi i casi forme perifrastiche: on je kupil,
on je kupoval, per il passato perfettivo e imperfettivo (comprò,
comprava), e on bo kupil, on bo kupoval per il futuro perfettivo
e imperfettivo. Lausiliare è il verbo biti, essere:
al presente je = è, al futuro bo = sarà; il
verbo principale è in una forma di participio passato
attivo, che ha comprato (il futuro del verbo biti eccezionalmente
non è perifrastico, ma il filologo farebbe subito notare
che la contrapposizione originaria non era fra presente e
futuro, ma fra la forma imperfettiva e quella perfettiva).
In russo la simmetria si rompe, e guarda caso senza danni
per il passato ma con la perdita del futuro perifrastico dei
perfettivi (cui si supplisce con il presente perfettivo, che
in russo ha forma di presente ma significato di futuro - una
mescolanza fra presente e futuro che non dovrebbe più
stupirci).
Un gruppo di lingue indoeuropee estremamente interessante
è costituito dalle lingue balcaniche: si tratta di
lingue non necessariamente affini ma che condividono tratti
comuni: il nucleo forte delle lingue balcaniche è costituito
dal rumeno (una lingua neo-latina), dal bulgaro (una lingua
slava) e dallalbanese (una lingua indoeuropea isolata,
come il greco moderno); un po ai margini stanno il greco
e il serbo, altra lingua slava (4) .
Continua
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1 Esiste
anche in portoghese, dove mi si dice che sia vivo.
2 Nella tipologia linguistica, anche in quella dei tecnici
che si possono permettere il lusso di citare le lingue etniche
dellAmerica e della Polinesia, la significatività
statistica è un concetto a dir poco sfuggente. Per
capire i meccanismi linguistici di fondo dovremmo studiare
le lingue del passato, quelle del futuro e forse anche quelle
che, per ragioni solo accidentali che nulla hanno a che
vedere con le potenzialità linguistiche del nostro
cervello, non si sono mai formate e mai si formeranno.
3 Eviteremo il terreno minato della dicotomia diacronico/sincronico:
per il filologo il futuro italiano proviene da un antico
futuro perifrastico del latino volgare, che ovviamente oggi
non viene più percepito come tale. Forse il lettore
non condividerà il nostro punto di vista che una
forma perifrastica valga meno di una forma semplice,
ma è il punto di vista della linguistica tradizionale
che siano le forme semplici a descrivere larticolazione
fondamentale dei verbi.
4
Non voglio entrare nelle querelles balcaniche: accanto al
bulgaro avrei dovuto citare il macedone, che peraltro i
nazionalisti bulgari considerano un dialetto, per tacere
dellantica lingua serbo-croata ormai spezzata in vari
e assai simili rami; per inciso il croato si distingue dal
serbo anche per un minor uso dei balcanismi. Sempre per
inciso, il bulgaro (con il macedone) possiede una caratteristica
eccezionale nel coro tipologico delle lingue slave: al posto
della declinazione dei nomi cè larticolo
determinativo posposto. Larticolo determinativo posposto
è una caratteristica balcanica: in rumeno lup, lupo,
un lup, un lupo, lupul, il lupo. La declinazione in rumeno
cè, ma si limita di fatto a due soli casi,
diretto e indiretto.
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