Divagazioni sul futuro: ci sta dietro o ci sta davanti?
Andrea Sgarro, DMI, Università di Trieste, www.dmi.units.it/~sgarro/ (Fonte)
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Il futuro ci sta davanti o dietro? e il passato? Le metafore spazio-temporali non sono assolute, dipendono dalle epoche e dai luoghi. Lingue diverse si figurano il tempo in modi diversi. Una passeggiata tra le lingue indoeuropee, con qualche divagazione, ci offre esempi curiosi e stimolanti.

In una nota che ho letto sull’Ulisse di giugno si parla delle metafore spazio-temporali nell’aymara, una
lingua parlata da popolazioni andine. La nota mi ha fatto ricordare una conversazione di qualche anno fa, quando un amico grecista mi spiegò che per gli antichi greci il passato sta davanti ai nostri occhi, essendo tutto ciò che noi possiamo vedere, mentre il futuro ci sta dietro, in corrispondenza alla parte cieca e indifesa del nostro corpo. Per i greci come per gli aymara: passato = davanti, futuro = dietro. Tutto a rovescio rispetto alla nostra visione del mondo: è il futuro, verso cui siamo protesi, a starci davanti, mentre il passato non c’è più, è la parte di strada già percorsa: futuro = davanti, passato = dietro. La conversazione fra me e il grecista ebbe luogo a un’edizione dei Bozner Treffen - Incontri a Bolzano di qualche anno fa, incentrata appunto sul tema del futuro.

All’incontro io dovevo portare il punto di vista della matematica, o per meglio dire il punto di vista di un matematico - la matematica non è così noiosa che la si debba tener inchiodata a un unico punto di vista. Negli ultimi anni mi sono occupato di soft computing, ossia di calcolo flessibile, e in particolare di computing with words, che in italiano potremmo chiamare calcolo verbale. L’idea di fondo è semplice: gli umani risolvono problemi complessi in maniera estremamente efficiente e rapida tramite ragionamenti verbali del tipo: mi sto avvicinando troppo rapidamente al casello autostradale, devo fare una brusca frenata. Quando al volante c’è un robot, fargli copiare i nostri rozzi ma rapidi ragionamenti verbali invece di costringerlo a risolvere equazioni differenziali può essere decisivo: è vero che la matematica hard delle equazioni differenziali ci darebbe le soluzioni esatte, ma è anche vero che nel frattempo l’automobile e il povero robot si potrebbero già essere schiantati sul casello. Per l’esperto di soft computing il linguaggio naturale diventa un modello da studiare, da capire e imitare: l’obiettivo è affascinante e coinvolge matematici, logici, informatici, linguisti, neuroscienziati, psicologi, filosofi, e non credo di aver finito. A Bolzano, dopo qualche minuto dedicato a parlare di logiche temporali e di argomenti per me “professionali”, passai subito a un esame di come venga trattata la dicotomia passato-futuro nelle lingue naturali: non essendo un linguista, ciò mi consentì di abbandonare il tono professorale, il che dà sempre una sensazione di gran sollievo… Come ho anticipato, partiti dalle logiche temporali, si finì col discutere animatamente di antica Grecia e di visioni del mondo.

Vorrei entrare subito nel vivo mostrandovi un piccolo esempio:

Pensavo che tu fossi malato, col congiuntivo passato nella subordinata.
Penso che tu sia malato, col congiuntivo presente.
Penserò che tu … oddio, e il congiuntivo futuro? Che logica c’è a non avere il congiuntivo futuro? Le lingue neo-latine sono maestre nell’uso ed abuso del congiuntivo, e il congiuntivo futuro esiste in spagnolo, ma anche lì è solo di uso burocratico (1) o arcaico. Abbiamo già toccato un punto importante: forse le lingue naturali trattano il passato con maggior rispetto del futuro. Per tentare di convincervi che è proprio così, vi presenterò di seguito un piccolo “bestiario” di gusto medioevale, senza nessuna pretesa di significatività (2) statistica: userò solo lingue che conosco, alcune meglio alcune (molto) peggio, ma in ogni caso sufficientemente bene per capire come funzionino i loro congegni logici di fondo; qualche relata refero sarà confinato alle note a pie’ di pagina.Cominciamo da lingue usuali e simili all’italiano, come il francese o lo spagnolo, in cui i congegni logici sono sostanzialmente gli stessi – e se qualcuno trova questa mia affermazione esagerata, non dimentichi che parlo da matematico, e che sono portato all’astrazione per ragioni professionali. Basta un’occhiata alle tabelline dei verbi e delle loro coniugazioni per convincersi che, per esempio, il passato in italiano ha strutture più ricche di quelle del futuro: all’indicativo abbiamo dissi, dicevo, ho detto, avevo detto, ebbi detto contro dirò, avrò detto.
C’è però un punto che mi sembra ancora più significativo: il futuro può venir “schiacciato” sul presente,
il passato no:
Domani parto = domani partirò, mentre ieri parto non funziona, e si deve usare una forma passata,
come ieri sono partito; si arriva a dire fra vent’anni vado in pensione, con il presente. Ma allora il futuro serve davvero, o è una struttura ridondante? In inglese e in tedesco il futuro (3) è perifrastico, I will sing, ich werde singen, [io] canterò, e almeno in inglese l’ambiguità fra una volizione nel presente (io voglio cantare) e un accadimento nel futuro (io canterò) è ben percepibile; in tedesco si usa il verbo werden, il cui primo significato è quello di divenire. Senza dilungarmi, direi che da questo primo esame risulta che il futuro viene trattato in maniera più “economica” del passato; colpisce poi la possibilità di sostituirlo con il presente.

Rimaniamo a lingue geograficamente europee e tipologicamente indoeuropee: abbiamo trascurato il grande gruppo delle lingue slave, un gruppo abbastanza compatto, a prescindere dalle riserva sulle lingue balcaniche cui accennerò fra poco. La coniugazione slava è decisamente povera di tempi, ma si rifà a iosa perché a un verbo italiano nelle lingue slave ne corrispondono di solito due, uno di aspetto perfettivo (compiuto), l’altro di aspetto imperfettivo (incompiuto). Per esempio comprare si dice in sloveno kupiti, verbo perfettivo, fare una compera, o comunque un numero ben definito di compere, ma anche kupovati, verbo imperfettivo, far compere, star comprando, e magari alla fine non comprare un bel niente. In sloveno la simmetria fra passato e futuro è lodevole, e si adoperano in entrambi i casi forme perifrastiche: on je kupil, on je kupoval, per il passato perfettivo e imperfettivo (comprò, comprava), e on bo kupil, on bo kupoval per il futuro perfettivo e imperfettivo. L’ausiliare è il verbo biti, essere: al presente je = è, al futuro bo = sarà; il verbo principale è in una forma di participio passato attivo, che ha comprato (il futuro del verbo biti eccezionalmente non è perifrastico, ma il filologo farebbe subito notare che la contrapposizione originaria non era fra presente e futuro, ma fra la forma imperfettiva e quella perfettiva). In russo la simmetria si rompe, e guarda caso senza danni per il passato ma con la perdita del futuro perifrastico dei perfettivi (cui si supplisce con il presente perfettivo, che in russo ha forma di presente ma significato di futuro - una mescolanza fra presente e futuro che non dovrebbe più stupirci).
Un gruppo di lingue indoeuropee estremamente interessante è costituito dalle lingue balcaniche: si tratta di lingue non necessariamente affini ma che condividono tratti comuni: il nucleo forte delle lingue balcaniche è costituito dal rumeno (una lingua neo-latina), dal bulgaro (una lingua slava) e dall’albanese (una lingua indoeuropea isolata, come il greco moderno); un po’ ai margini stanno il greco e il serbo, altra lingua slava (4) .

Continua ------->

1 Esiste anche in portoghese, dove mi si dice che sia vivo.
2 Nella tipologia linguistica, anche in quella dei tecnici che si possono permettere il lusso di citare le lingue etniche dell’America e della Polinesia, la significatività statistica è un concetto a dir poco sfuggente. Per capire i meccanismi linguistici di fondo dovremmo studiare le lingue del passato, quelle del futuro e forse anche quelle che, per ragioni solo accidentali che nulla hanno a che vedere con le potenzialità linguistiche del nostro cervello, non si sono mai formate e mai si formeranno.
3 Eviteremo il terreno minato della dicotomia diacronico/sincronico: per il filologo il futuro italiano proviene da un antico futuro perifrastico del latino volgare, che ovviamente oggi non viene più percepito come tale. Forse il lettore non condividerà il nostro punto di vista che una forma perifrastica “valga meno” di una forma semplice, ma è il punto di vista della linguistica tradizionale che siano le forme semplici a descrivere l’articolazione fondamentale dei verbi.
4 Non voglio entrare nelle querelles balcaniche: accanto al bulgaro avrei dovuto citare il macedone, che peraltro i nazionalisti bulgari considerano un dialetto, per tacere dell’antica lingua serbo-croata ormai spezzata in vari e assai simili rami; per inciso il croato si distingue dal serbo anche per un minor uso dei balcanismi. Sempre per inciso, il bulgaro (con il macedone) possiede una caratteristica eccezionale nel coro tipologico delle lingue slave: al posto della declinazione dei nomi c’è l’articolo determinativo posposto. L’articolo determinativo posposto è una caratteristica balcanica: in rumeno lup, lupo, un lup, un lupo, lupul, il lupo. La declinazione in rumeno c’è, ma si limita di fatto a due soli casi, diretto e indiretto.