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Descolarizzare la società di Ivan Illich - 1970 p1 - p2 - p3

III - RlTUALIZZAZIONE DEL PROGRESSO

Il laureato è stato preparato dalla scuola per prestare servizio tra i ricchi del mondo. Quali che siano le sue simpatie verbali per il Terzo Mondo, ogni laureato americano ha avuto un'istruzione che è costata circa cinque volte di più di quello che è il reddito medio, in tutta la vita, di mezza umanità. Uno studente dell'America latina è ammesso in questa sceltissima confraternita solo dopo che per istruirlo sia stato speso in denaro pubblico almeno 350 volte di più che per i suoi connazionali di medio reddito. Tranne rarissime eccezioni, il laureato di un paese povero si sente più a suo agio con i colleghi europei o nordamericani che fra i compatrioti non scolarizzati, e in generale tutti gli studenti sono condizionati dal sistema universitario a trovarsi bene soltanto in compagnia di altri consumatori dei prodotti della macchina didattica.
L'università moderna concede il privilegio del dissenso a chi è già stato esaminato e catalogato come persona potenzialmente in grado di far quattrini o di occupare posizioni di potere. Nessuno che non sia stato riconosciuto ufficialmente capace di tanto può ricevere fondi pubblici per istruirsi disinteressatamente nel tempo libero o avere il diritto di istruire altri. La scuola seleziona a ogni livello coloro che, nelle fasi precedenti del gioco, abbiano dato prova di non rappresentare un rischio eccessivo per l'ordine costituito. L'università, avendo il monopolio sia delle risorse per l'istruzione sia dell'investitura per i ruoli sociali, coopta anche l'innovatore e il potenziale dissenziente. Una laurea lascia sempre l'indelebile segno del proprio prezzo sullo stato di servizio del suo utente. I laureati si trovano bene soltanto in un mondo che metta in evidenza il loro prezzo, dando loro in tal modo il potere di definire il livello al quale la società può aspirare. In ogni paese è la quantità dei loro consumi a indicare il modello da raggiungere; tutti gli altri, se vogliono essere persone civili sul lavoro o fuori, si porranno come meta lo stile di vita di chi possiede la laurea.
L'università finisce dunque per imporre modelli di consumo sul lavoro e a casa, e ciò avviene in ogni parte del mondo, sotto qualunque regime politico. Meno laureati ci sono in un paese, più le loro esigenze di persone colte vengono prese a modello dal resto della popolazione. In Russia, in Cina e in Algeria, il divario tra i consumi del laureato e quelli del cittadino medio è ancor maggiore che negli Stati Uniti. L'automobile, i viaggi in aereo e il registratore sono segni di distinzione più visibili in un paese socialista, dove è possibile procurarseli solo con un titolo di studio e non semplicemente con i soldi.
Questo potere dell'università di stabilire obiettivi di consumo è un fatto nuovo. In molti paesi data soltanto dagli anni sessanta, cioè da quando ha cominciato a diffondersi l'illusione di una uguaglianza di accesso all'istruzione pubblica. Prima d'allora l'università proteggeva la libertà di parola di un individuo, ma non trasformava automaticamente in ricchezza il suo sapere. Nel Medio Evo essere uno “scolare” significava anche essere un povero, o addirittura un mendico. In virtù della sua vocazione, lo scolare imparava il latino e diventava un emarginato, oggetto di disprezzo quanto di stima per li contadino come per il principe, per il borghese come per li prete. Per farsi strada nella società doveva anzitutto penetrarvi. arruolandosi in qualche organizzazione pubblica, preferibilmente la chiesa. L’antica università era una zona franca destinata all'elaborazione e al dibattito di idee, sia vecchie che nuove. Maestri e studenti vi si riunivano per leggere i testi di altri maestri morti da tempo, e le parole vive del passato schiudevano nuove prospettive sugli errori del presente. L’università era dunque una comunità di indagine intellettuale e di endemica irrequietezza.
Nella multiversity moderna, questa comunità è stata emarginata e ridotta a riunirsi in un appartamento nello studio di un professore o nella residenza del cappellano. Il fine strutturale dell'università moderna ha poco a che vedere con l'indagine tradizionale. Da Gutenberg in poi, il dibattito specializzato, critico, è passato in genere dalla “cattedra” alla stampa. L'università moderna ha rinunciato al compito di fornire una semplice cornice per incontri insieme autonomi e anarchici focalizzati ma nello stesso tempo ribollenti e non pianificati, preferendo invece gestire il processo mediante il quale si producono la cosiddetta ricerca e la cosiddetta istruzione.
A partire dallo Sputnik, l'università americana ha soprattutto cercato di ristabilire un equilibrio numerico con i laureati sovietici. Oggi i tedeschi stanno rinunciando alle loro tradizioni accademiche e costruiscono dei campus per mettersi alla pari con gli americani. Nel decennio in corso intendono aumentare da 14 a 59 miliardi di marchi gli stanziamenti per la scuola elementare e media e triplicare la spesa per l'istruzione superiore. I francesi si propongono per il 1980 di portare al 10 per cento del loro prodotto nazionale lordo la somma destinata alle scuole, e la Fondazione Ford preme perché i paesi poveri dell'America latina portino la spesa per ogni laureato “che si rispetti” a livelli il più possibile vicini a quelli nordamericani. Lo studente vede nei propri studi l'investimento finanziariamente più redditizio, mentre le nazioni li considerano un fattore chiave del loro sviluppo.
Per la maggioranza che cerca soprattutto una laurea, l'università non ha perso il proprio prestigio, ma dal 1968 non ha fatto che perdere credito fra coloro che in essa veramente credevano. Gli studenti si rifiutano di prepararsi per la guerra, l'inquinamento e la perpetuazione dei pregiudizi. E gli insegnanti li aiutano a contestare la legittimità del governo, la sua politica estera, il suo sistema educativo e la stessa american way of life. Non pochi rifiutano la laurea e scelgono di vivere in una controcultura, fuori della società ufficiale, seguendo le orme di quegli hippies e dropouts che furono i Fraticelli medievali e gli Alumbrados della Riforma. Altri, rendendosi conto che la scuola detiene il monopolio delle risorse necessarie per l'edificazione di una controsocietà, si assoggettano al rituale accademico cercando tuttavia di aiutarsi reciprocamente a condurre una vita integra. Formano, per così dire, dei focolai eretici all'interno stesso della gerarchia.
Vasti strati della popolazione guardano però allarmati questi mistici ed eresiarchi moderni, perché minacciano l'economia consumistica, i privilegi democratici e l'immagine che l'America ha di se stessa. Ma per eliminarli non bastano le buone intenzioni, e sono sempre meno quelli che si riesce a riconvertire con la pazienza o a cooptare con l'astuzia, incaricandoli per esempio di insegnare le loro eresie. Di qui la ricerca di mezzi che permettano o di sbarazzarsi dei singoli contestatori o di ridurre l'importanza dell'università che serve da base per la loro protesta.
Gli studenti e gli insegnanti che, con notevole rischio personale, contestano la legittimità dell'università non pensano certamente di fissare dei modelli di consumo o di favorire un sistema di produzione. Quelli che hanno fondato gruppi come il Committee of Concerned Asian Scholars o il North American Congress on Latin America (NACLA) hanno contribuito con estrema efficacia a modificare radicalmente le idee di milioni di giovani sulle realtà di certi paesi stranieri. Altri invece hanno cercato di interpretare in termini marxiani la società americana o sono stati all'origine della fioritura delle comuni. I risultati da essi raggiunti rafforzano la tesi secondo la quale l'esistenza delle università è necessaria a garantire la sopravvivenza della critica sociale. Non si può negare che oggi l'università presenti un complesso unico di circostanze che permette ad alcuni suoi membri di svolgere una critica globale della società. Offre infatti tempo, mobilità, accesso a colleghi e a informazioni, e anche una certa impunità, tutti privilegi che non sono concessi in eguale misura ad altri settori della popolazione. Ma, questa libertà, l'università la fornisce soltanto a chi è già stato profondamente iniziato alla società dei consumi e alla necessità di una qualche forma di scolarizzazione pubblica obbligatoria.
Il sistema scolastico svolge oggi la triplice funzione che nella storia fu sempre prerogativa delle chiese più potenti. È insieme il depositario del mito della società l'istituzionalizzazione delle contraddizioni del mito e la sede del rituale che riproduce e maschera le discordanze tra mito e realtà. Oggi il sistema scolastico, e l'università in particolare, offre ampie possibilità di criticare il mito e di ribellarsi alle sue perversioni istituzionali. Ma il rituale che impone la tolleranza delle contraddizioni fondamentali tra mito e istituzione è ancora largamente incontestato, in quanto ne la critica ideologica ne l'azione a livello sociale possono produrre una società nuova. Solo spezzando l'incantesimo del rituale fondamentale della società e distaccandosene e riformandolo si può arrivare a un cambiamento radicale.
L'università americana è oggi la fase conclusiva del rito d'iniziazione più onnicomprensivo che mai il mondo abbia conosciuto. Non c'è società nella storia che sia potuta sopravvivere senza un mito o un rituale, ma la nostra è la prima che abbia avuto bisogno di un'iniziazione al mito così lunga, noiosa, costosa e distruttiva. La civiltà mondiale contemporanea è inoltre la prima che abbia creduto necessario razionalizzare il suo rituale d'iniziazione fondamentale chiamandolo educazione. Non possiamo neanche pensare a una riforma dell'istruzione se non ci rendiamo conto che il rituale della scuola non favorisce ne l'apprendimento individuale ne l'eguaglianza sociale. E non possiamo superare la società dei consumi se non cominciamo col comprendere che, qualunque cosa in esse si insegni, le scuole pubbliche obbligatorie riproducono inevitabilmente quella stessa società. Il progetto di smitizzazione che io propongo non si può limitare alla sola università. Un tentativo di riforma dell'università che lasci intatto il sistema di cui essa è parte integrante equivarrebbe a un risanamento urbanistico di New York che agisse soltanto dal dodicesimo piano in su. Di fatto le riforme universitarie di oggi assomigliano quasi sempre alla costruzione di tuguri a molti piani. Solo una generazione cresciuta senza scuole obbligatorie sarà in grado di ricreare l'università.

Il mito dei valori istituzionalizzati
La scuola inizia, inoltre, al mito del consumo illimitato. Questo mito moderno si fonda sulla convinzione che il processo debba inevitabilmente produrre cose di valore e che la produzione produca quindi necessariamente una richiesta. La scuola ci insegna che l'istruzione produce l'apprendimento. L'esistenza delle scuole produce la richiesta di scolarizzazione. Una volta che abbiamo imparato ad aver bisogno della scuola, tutte le nostre attività tendono ad assumere la forma di un rapporto clientelare con altre istituzioni specializzate. Una volta screditato l'autodidatta, ogni attività non professionale diventa sospetta. A scuola ci insegnano che un'istruzione valida è il risultato della frequenza; che il valore dell'apprendimento aumenta proporzionalmente all'input, alla quantità di nozioni immesse e, infine, che questo valore può essere misurato e documentato da voti e diplomi.
In realtà l'apprendimento è l'attività umana che ha meno bisogno di manipolazioni esterne. In massima parte, non è il risultato dell'istruzione, ma di una libera partecipazione a un ambiente significante. Quasi tutte le persone imparano meglio “stando dentro” le cose, eppure la scuola le porta a identificare l'accrescimento della propria personalità e delle proprie conoscenze con una elaborata pianificazione e una complessa manipolazione.
Una volta che ha accettato la necessità della scuola, un uomo, o una donna che sia, diventa facile preda altre istituzioni. Una volta che hanno permesso che la loro immaginazione venisse plasmata da un insegnamento rigidamente pianificato, i giovani sono inevitabilmente condizionati ad accettare qualsiasi forma di pianificazione istituzionale. La cosiddetta istruzione soffoca gli orizzonti della loro immaginazione. Non è neppure da dire che vengano traditi, ma semplicemente sono defraudati, perché gli è stato insegnato a sostituire le aspettative alla speranza. Non avranno più sorprese, buone o cattive, dagli altri, perché gli è stato insegnato che cosa possono aspettarsi da qualunque persona che abbia ricevuto il loro stesso insegnamento. Da qualunque persona come da qualunque macchina.
Questo trasferimento di responsabilità dall'individuo all'istituzione, specie quando lo si è accettato come un obbligo, è una garanzia di regresso sociale. Così, coloro che si ribellano alla propria Alma Mater vi fanno spesso carriera come insegnanti anziché trovare il coraggio di contagiare altre persone con un insegnamento personale e di assumersi la responsabilità dei risultati. Ciò suggerisce una nuova possibile versione della storia di Edipo: Edipo l'insegnante, che si “fa” una madre per generare figli con lei. L'uomo che ha contratto il vizio di ricevere lezioni cerca la propria sicurezza nell'insegnamento coercitivo. La donna che vede nelle proprie conoscenze il risultato di un certo processo aspira a riprodurlo in altri.

Il mito della misurazione dei valori
I valori istituzionalizzati che la scuola inculca sono valori quantificati. La scuola inizia i giovani a un mondo dove tutto è misurabile, compresa la loro immaginazione e anzi l'uomo stesso.
Ma lo sviluppo della personalità non è un'entità misurabile. Avviene in una dissidenza disciplinata, che non può essere misurata da nessun metro e da nessun corso di studi, ne può essere paragonata ai risultati raggiunti da qualcun altro. In questo processo d'apprendimento si possono emulare gli altri solo nello sforzo immaginativo, seguendone le orme anziché scimmiottandone i passi. L'apprendimento che io apprezzo è una ricreazione incommensurabile.
La scuola pretende di frantumare l'apprendimento in “materie”, di immettere nel cervello dell'allievo un programma fatto di questi blocchi prefabbricati e di misurare il risultato su una bilancia internazionale. Coloro che accettano le unità di misura altrui per valutare lo sviluppo della personalità finiscono presto per applicare a se stessi il medesimo metro. Non c'è più bisogno di metterli alloro posto, perché sono loro stessi a inserirsi nel buco che gli è stato assegnato, a incunearsi nella nicchia che hanno imparato a cercare e, nel corso di questa operazione, a mettere alloro posto i propri simili fin quando tutto, cose e persone, non combaci.
Chi ha imparato dalla scuola a misurare si lascia sfuggire di mano le esperienze non misurabili; ciò che non può essere misurato diventa per lui secondario o minaccioso. Per questo, non occorre privarlo della sua creatività; l'istruzione gli ha già fatto disimparare a “fare” ciò di cui sarebbe capace o a “essere” se stesso e lo ha portato a dare valore soltanto a quel che è stato, o potrebbe essere, fatto.
Una volta che gli sia stata ben inculcata l'idea che i valori possono essere prodotti e misurati, egli tende ad accettare qualunque sistema di classificazione. C'è un metro per misurare lo sviluppo delle nazioni, un altro per l'intelligenza degli infanti; persino il cammino verso la pace è calcolabile, in base al “conteggio dei cadaveri”. In un mondo scolarizzato la strada della felicità è lastricata di indici di consumo.

Il mito dei valori confezionati
La scuola vende un corso di studi: vale a dire, un pacco di merci simili per struttura e metodo di fabbricazione a qualunque altra mercanzia. La produzione di questi corsi nasce nella maggior parte delle scuole da una ricerca cosiddetta scientifica, partendo dalla quale i tecnici dell'istruzione prevedono, nei limiti fissati dai bilanci e dai tabù, la futura richiesta di utensili umani per la catena di montaggio. L'insegnante-distributore porge il prodotto finito all'allievo-consumatore, le cui reazioni vengono attentamente studiate e schedate perché forniranno i dati necessari all'elaborazione del prossimo modello, che potrà essere “senza voti”, “scelto dallo studente”, “basato sull'insegnamento di gruppo”, “fornito di sussidi visivi” o “centrato sui problemi”.
Il risultato di questo processo produttivo assomiglia a tutti gli altri prodotti moderni. È un involto di significati pianificati, un pacco di valori, una merce che per il suo “richiamo ben calcolato” è vendibile a un numero di persone abbastanza alto per giustificare i costi di produzione. Si insegna agli allievi-consumatori a conformare i propri desideri ai valori suscettibili di essere messi sul mercato. In tal modo si ottiene che si sentano colpevoli se non si comportano secondo le predizioni delle indagini di mercato procurandosi i voti e i diplomi che permetteranno loro d'accedere a quella categoria professionale cui sono stati indotti ad aspirare.
Gli educatori possono giustificare corsi di studi più costosi in base alla loro constatazione che le difficoltà d'apprendimento crescono proporzionalmente ai costi del corso seguito. È un'applicazione della legge di Parkinson, secondo cui la fatica aumenta parallelamente alle risorse disponibili per svolgerla. Questa legge trova conferma a tutti i livelli scolastici: per esempio, nelle scuole francesi la difficoltà di insegnare a leggere è diventata un grosso problema solo da quando si sono cominciate a spendere pro capite somme prossime ai livelli americani del 1950, cioè dell'anno in cui le difficoltà di lettura divennero un grosso problema nelle scuole degli Stati Uniti.
In effetti accade spesso che gli studenti mentalmente sani raddoppino la loro resistenza all'insegnamento quando si accorgono di essere sempre più totalmente manipolati. Questa resistenza non dipende dai metodi autoritari della scuola pubblica. o da quelli suadenti di certe scuole libere, ma dalla concezione fondamentale che è comune a tutte le scuole: l'idea che sia il giudizio di una persona a stabilire ciò che un'altra persona deve imparare e quando.

Il mito del progresso autoperpetuantesi
Anche quando è accompagnato da una diminuzione dei profitti in termini d'apprendimento, l'aumento pro capite dei costi dell'istruzione accresce, paradossalmente, il valore dell'allievo, sia ai suoi stessi occhi sia sul mercato. A qualunque costo, o quasi, la scuola lo spinge al livello del consumo scolastico competitivo e di qui a una marcia verso livelli sempre più alti. Le spese per indurre lo studente a rimanere nella scuola aumentano vertiginosamente man mano che egli s'arrampica sulla piramide. Ai livelli superiori assumono la forma di nuovi campi di calcio o di cappelle o di programmi chiamati “istruzione internazionale”. La scuola insegna, se non altro, il valore dell'escalation, del modo americano di fare le cose.
La guerra nel Vietnam corrisponde alla logica del momento. Il suo successo è stato calcolato in base al numero delle persone efficacemente toccate da proiettili a buon mercato distribuiti a un costo immenso, e questo calcolo brutale viene spudoratamente chiamato “conteggio dei cadaveri”. Come gli affari sono affari, cioè un'incessante accumulazione di denaro, così la guerra è massacro, cioè un'incessante accumulazione di cadaveri. Analogamente l'istruzione è scolarizzazione, e questo processo senza fine viene calcolato in ore-allievo. Sono tutti processi irreversibili, che trovano in se stessi la loro unica giustificazione. Secondo l'economia, il paese diventa sempre più ricco. Secondo il conto dei morti, la nazione continua all'infinito a vincere la sua guerra. E secondo la scuola, la popolazione diventa sempre più istruita.
I programmi scolastici hanno fame di progressive immissioni di insegnamenti, ma questa fame, se può portare a un assorbimento costante, non dà mai la gioia di apprendere qualcosa con propria piena soddisfazione. Ogni argomento arriva già imballato, con istruzioni perché si continui a consumare una “offerta” dopo l'altra, e l'involucro dell'anno scorso è sempre antiquato per il consumatore di quest'anno. Il racket dei libri di testo prospera appunto su questa domanda. I riformatori dell'insegnamento promettono a ogni nuova generazione quanto c'è di meglio e di più aggiornato e il pubblico è condizionato dalla scuola a chiedere ciò che essi offrono. L'evasore dall'obbligo scolastico, che si sente continuamente ricordare ciò che ha perso, come il laureato, che è indotto a sentirsi inferiore alla più recente leva di studenti, sanno esattamente qual è la loro posizione nel rituale delle crescenti illusioni e continuano ad appoggiare una società che ha battezzato eufemisticamente la crepa sempre più larga delle speranze frustrate “rivoluzione delle crescenti aspettative”.
Ma una crescita concepita come consumo illimitato come eterno progresso - non potrà mai portare alla maturità.
L’impegno a un incontrollato aumento quantitativo invalida la possibilità di uno sviluppo organico.

Gioco rituale e nuova religione universale
L’età media in cui si lascia la scuola nelle nazioni sviluppate aumenta più rapidamente della “speranza di vita”. Ancora un decennio e le due curve s'intersecheranno creando un problema per Jessica Mitford e per i professionisti che si occupano di “educazione terminale”. Mi viene in mente il tardo Medio Evo, quando la richiesta di funzioni ecclesiastiche aveva superato la durata stessa della vita e si dovette inventare il Purgatorio per purificare le anime sotto il controllo del papa, prima che potessero accedere alla pace eterna. E questo logicamente portò prima al traffico delle indulgenze e poi al tentativo della Riforma. Oggi il mito del consumo illimitato sostituisce la fede nella vita eterna.
Arnold Toynbee ha fatto notare che alla decadenza di una grande cultura si accompagna di solito la nascita di una nuova chiesa universale che estende la speranza al proletariato interno mentre serve alle esigenze di una nuova classe di guerrieri. La scuola sembra particolarmente adatta a diventare la chiesa universale della nostra cultura in decomposizione. Nessuna istituzione sa meglio nascondere ai suoi partecipanti la discrepanza profonda tra i principi sociali e la realtà sociale del mondo contemporaneo. Laica, scientifica e negatrice della morte, è in perfetta armonia con lo stato d'animo dell'uomo moderno. La sua vernice classica e critica la fa apparire pluralistica, se non antireligiosa. I suoi programmi determinano i confini della scienza e vengono a loro volta determinati dalla cosiddetta ricerca scientifica. Nessuno completa la scuola, neppure ora. Essa non chiude mai le porte a nessuno senza avergli prima offerto un'ennesima occasione: un corso di recupero, l'educazione per adulti e quella permanente.
La scuola serve efficacemente a creare e difendere il mito sociale grazie alla sua struttura di gioco rituale di promozioni graduate. L'ammissione a questo rituale di gioco è molto più importante di ciò che si insegna o del modo in cui lo si insegna. È il gioco in se che ammaestra, che entra nel sangue, che diventa un abito mentale. Tutta una società viene iniziata al mito del consumo illimitato di servizi. Al punto che la partecipazione simbolica al rituale senza fine diventa obbligatoria e coercitiva dappertutto. La scuola incanala la rivalità rituale in un gioco internazionale che obbliga i concorrenti a incolpare dei mali del mondo coloro che non possono o non vogliono giocare. È un rituale d'iniziazione che introduce il neofita alla corsa sacra del consumo progressivo, un rituale di propiziazione i cui sacerdoti accademici fanno da mediatori tra i fedeli e gli dèi del privilegio e del potere, un rituale di espiazione che sacrifica i suoi disertori, quali capri espiatori del sottosviluppo.
Persino quelli che, nel migliore dei casi, trascorrono a scuola alcuni anni - e sono la stragrande maggioranza in America latina, in Asia e in Africa - imparano a sentirsi in colpa per il loro sottoconsumo scolastico. In Messico gli anni di scuola obbligatori per legge sono sei. I bambini appartenenti a quel terzo della popolazione che ha il reddito più basso hanno soltanto due possibilità su tre di andare in prima elementare. Se ci arrivano, le loro possibilità di completare la scuola dell'obbligo fino alla sesta classe sono quattro su cento. Per quelli che invece nascono nella terza parte della popolazione dal reddito medio, queste possibilità salgono a dodici su cento. Con queste percentuali il Messico fornisce tuttavia una quantità di istruzione pubblica superiore a quella di quasi tutte le altre venticinque repubbliche dell' America latina.
I bambini di tutto il mondo sanno che è stata offerta loro una possibilità, sia pure ineguale, di vincere una lotteria obbligatoria, e la presunta eguaglianza dello standard internazionale aggiunge oggi alla loro povertà di partenza un'autodiscriminazione che chi non va a scuola accetta come un dato di fatto. Essendo stati educati a credere nelle “crescenti aspettative”, possono ora razionalizzare la loro crescente frustrazione fuori della scuola riconoscendo la propria esclusione dalla grazia scolastica. Sono tenuti fuori del Paradiso perché, dopo essere stati battezzati, non sono più andati in chiesa. Nati col peccato originale, vengono battezzati in prima elementare, ma finiscono nella Geenna (che in ebraico significa “ghetto”) per le loro colpe personali. Come Max Weber ha individuato le conseguenze sociali della fede che assicurava la salvezza eterna a chi accumulava ricchezze, così oggi noi possiamo constatare che la grazia è riservata a chi accumula anni di scuola.

Il regno promesso: l'universalizzazione delle aspettative
La scuola combina le aspettative del consumatore, espresse dalle sue asserzioni, con la fede del produttore: espressa dal suo rituale. È la manifestazione liturgica di un “culto del cargo” su scala mondiale, che ricorda i culti che si diffusero in Melanesia negli anni quaranta, i cui seguaci credevano che bastasse mettersi una cravatta nèra sul torso nudo perché arrivasse Gesù su un piroscafo a portare a ogni fedele una ghiacciaia, un paio di pantaloni e una macchina da cucire.
La scuola fonde la crescita nella subordinazione umiliante a un maestro con la crescita in un futile sentimento d'onnipotenza, tipico dell'allievo che vuole andare a insegnare a tutte le nazioni la strada della salvezza. Il rituale è modellato sulla rigida organizzazione del lavoro nei cantieri edili e il suo fine è di celebrare il mito di un paradiso terrestre di consumi illimitati, unica speranza per i dannati e i diseredati.
Epidemie di insaziabili aspettative terrene sono scoppiate di continuo nel corso della storia, specie tra i colonizzati e gli emarginati di tutte le culture. Gli ebrei dell'impero romano ebbero i loro Esseni e i loro messia, i servi della gleba nell'età della Riforma il loro Thomas Munzer, gli indiani spossessati, dal Paraguay al Dakota, i loro contagiosi danzatori. Ognuna di queste sette era guidata da un profeta e limitava le sue promesse a pochi eletti. Viceversa l'attesa del nuovo regno suscitata dalla scuola non è profetica ma impersonale, non locale ma universale. L’uomo è diventato il costruttore del proprio messia e promette l'illimitato premio della scienza a coloro che si assoggettano alla progressiva edificazione del suo regno.

La nuova alienazione
La scuola non è soltanto la nuova religione universale. È anche il mercato del lavoro in più rapida espansione che ci sia oggi nel mondo. La fabbricazione di consumatori è diventata il principale settore in sviluppo dell’economia. Nelle nazioni ricche, man mano che diminuiscono i costi di produzione, si assiste a una crescente concentrazione sia del capitale che del lavoro nella gigantesca impresa di preparare l'uomo a un consumo disciplinato. Nell'ultimo decennio gli investimenti di capitale in rapporto diretto con il sistema scolastico sono aumentati ancor più rapidamente delle spese per la difesa. Il disarmo non farebbe che accelerare il processo grazie al quale l'industria dell'apprendimento sta diventando il centro focale dell'economia. La scuola offre occasioni illimitate di sprechi legittimi, fin quando non ci si renderà conto della sua distruttività e continuerà ad aumentare il costo dei palliativi.
Se aggiungiamo agli insegnanti a tempo pieno i frequentatori a tempo pieno, ci accorgiamo che questa cosiddetta sovrastruttura è diventata il maggior datore di lavoro della nostra società. Negli Stati Uniti ci sono nella scuola sessantadue milioni di persone, contro ottanta milioni impegnati in altre attività. È un fatto che viene spesso dimenticato dagli studiosi neomarxisti, i quali dicono che il processo di descolarizzazione dovrebbe essere rinviato o accantonato fin quando una rivoluzione economica e politica non avrà posto rimedio ad altre disfunzioni, ritenute tradizionalmente più fondamentali. Ma solo considerando la scuola un'industria si può programmare una strategia rivoluzionaria realistica. Per Marx il costo di produzione della richiesta di merci aveva un'importanza trascurabile. Oggi la maggior parte della manodopera umana è impegnata nel produrre richieste che possano essere soddisfatte da un'industria a forte intensità di capitale. La massima parte di questo lavoro viene fatto nella scuola.
Nello schema tradizionale, l'alienazione era una conseguenza diretta della trasformazione dell'attività lavorativa in lavoro salariato, che toglieva all'uomo la possibilità di creare e di essere ricreato. Oggi invece i giovani vengono alienati in partenza dalle scuole che li isolano mentre pretendono di essere sia produttrici che consumatrici della propria conoscenza, la quale è concepita come una merce messa sul mercato nella scuola. La scuola fa dell'alienazione una preparazione alla vita, togliendo così realtà all'istruzione e creatività al lavoro. Con l'insegnare la necessità di assoggettarsi all'insegnamento, prepara all'istituzionalizzazione alienante della vita. Una volta imparata questa lezione, le persone perdono l'incentivo a svilupparsi in modo indipendente, non trovano più niente che le attragga nello stato di reciproca relazione e si chiudono alle sorprese che la vita offre quando non è predeterminata dalIa delimitazione istituzionale. E la scuola, direttamente o indirettamente, impiega una percentuale importante della popolazione. O tiene con se una persona per tutta la vita o fa in modo che essa si inserisca saldamente in qualche altra istituzione.
La nuova chiesa universale è l'industria del sapere, che per un numero crescente di anni fornisce all’individuo sia l'oppio sia il banco di lavoro. Per questo la descolarizzazione è la premessa indispensabile di qualunque movimento per la liberazione dell'uomo.

Il potenziale rivoluzionario della descolarizzazione
Certo la scuola non è affatto l'unica istituzione moderna che abbia come obiettivo principale quello di modellare la visione della realtà. Anche i programmi occulti della vita familiare, del servizio di leva, dell'assistenza sanitaria, delle cosiddette specializzazioni o dei media hanno un ruolo importante nella manipolazione istituzionale del mondo dell'uomo: visione, linguaggio e richieste. Ma la scuola è uno strumento di schiavizzazione più profondo e sistematico, perchè a essa soltanto si attribuisce la funzione principale di formare il giudizio critico e, paradossalmente, essa cerca di svolgere tale funzione facendo dipendere la conoscenza di se stessi, degli altri e della natura da un processo preconfezionato. La scuola ci tocca cosi intimamente che nessuno di noi può sperare di liberarsene con un aiuto esterno.
Sono sue vittime anche molti sedicenti rivoluzionari. Per loro persino la “liberazione” deve essere il prodotto di un processo istituzionale. Solo liberandosi dalla scuola svaniranno simili illusioni. La scoperta che la maggior parte dell'apprendimento non richiede un insegnamento non è suscettibile ne di manipolazioni ne di programmazione. Ognuno di noi è personalmente responsabile della propria descolarizzazione e soltanto noi abbiamo il potere di attuarla. Nessuno può essere scusato se non riesce a liberarsi dalla scuola. Non ci si sarebbe mai potuti liberare dal dominio della Corona se almeno qualcuno non si fosse liberato dall'idea della chiesa ufficiale di stato. Cosi non ci si può liberare dai consumi progressivi se non quando si sarà liberi dalla scuola dell'obbligo.
Tutti siamo coinvolti nella scuola, dalla parte della produzione come da quella del consumo. Siamo superstiziosamente convinti che si possa e si debba produrre in noi un buon apprendimento, e che noi a nostra volta possiamo riprodurlo in altri. Il tentativo di staccarci dal concetto di scuola ci farà scoprire le resistenza che agiscono in noi quando cerchiamo di rinunciare ai consumi illimitati e al diffuso preconcetto che sia possibile manipolare gli altri per il loro bene. Perché nel processo scolastico non c'è nessuno che sia totalmente esente dallo sfruttare il suo prossimo.
La scuola è insieme il più gigantesco e il più anonimo dei da tori di lavoro. È anzi il miglior esempio di un nuovo tipo d'impresa che succede alla corporazione, alla fabbrica e alla società anonima. Alle anonime plurinazionali che hanno dominato l'economia già oggi si affiancano - e forse un giorno ne prenderanno il posto - organizzazioni per la distribuzione di servizi pianificate su scala supernazionale. Queste imprese presentano i loro servizi in modo che tutti si sentano obbligati a consumarli. Sono standardizzate a livello internazionale e idefiniscono periodicamente il valore del loro servizi in ogni luogo e al medesimo ritmo.
I “trasporti” affidati a nuovi tipi di automobili e a nuove grandi autostrade soddisfano lo stesso bisogno predisposto istituzionalmente (di comodità, prestigio, velocità e accessori speciali), siano o no le loro componenti prodotte dallo stato. L’apparato della “assistenza sanitaria” stabilisce una concezione particolare della salute, indipendentemente dal fatto che questo servizio sia pagato dallo stato o dall'individuo. La scala delle promozioni per arrivare al diploma prepara lo studente a occupare un certo posto sulla stessa piramide internazionale della manodopera qualificata, comunque sia diretta la sua scuola.
In tutti questi casi l'impiego è una componente occulta: il guidatore di un'automobile privata, il paziente che si fa ricoverare in ospedale o l'allievo nell’aula scolastica devono oggi essere considerati membri di una nuova classe di “impiegati”. Un movimento di liberazione che partisse dalla scuola, e si fondasse sulla consapevolezza da parte degli insegnanti e degli allievi di essere contemporaneamente sfruttatori e sfruttati, potrebbe preannunciare le strategie rivoluzionarie del futuro; un programma radicale di descolarizzazione potrebbe infatti preparare i giovani alla rivoluzione di tipo nuovo, necessaria per combattere un sistema sociale caratterizzato dall'obbligatorietà della “salute”, della “ricchezza” e della “sicurezza”.
I rischi di una rivolta contro la scuola sono imprevedibili, ma non sono certo spaventosi come quelli di una rivoluzione scatenata in qualunque altra istituzione importante. La scuola non ha ancora organizzato la propria dIfesa con la stessa efficienza di uno stato nazionale o anche di una grande azienda. La liberazione dall'oppressione scolastica potrebbe avvenire in modo incruento. Il funzionario addetto a far rispettare l'obbligo scolastico e i suoi alleati in tribunale e negli uffici di collocamento hanno armi per attuare crudeli provvedimenti contro il singolo contravventore, specialmente se è povero, ma potrebbero rivelarsi impotenti contro l'erompere di un movimento di massa.
La scuola è diventata un problema sociale; viene attaccata da ogni parte, e in tutto il mondo cittadini e governi sollecitano esperimenti fuori delle convenzioni. Per conservare la fede e salvare la faccia devono persino ricorrere a insoliti accorgimenti statistici. Lo stato d'animo di certi educatori assomiglia molto a quello dei vescovi cattolici dopo il Concilio Vaticano II. I programmi delle cosiddette “scuole libere” ricordano la liturgia delle messe folk e rock. Le richieste degli studenti medi di poter dire la loro nella scelta degli insegnanti sono assordanti come quelle dei parrocchiani che chiedono di scegliere i propri pastori. Ma se una minoranza significante perdesse la propria fede nella scolarizzazione, la posta in gioco per la società sarebbe molto più alta. Diverrebbe pericolante non solo l'ordine economico costruito sulla coproduzione di merci e richieste, ma anche l'ordine politico eretto sullo stato nazionale nel quale la scuola sforna i suoi studenti.
La scelta cui ci troviamo di fronte è abbastanza chiara. O continuiamo a credere che l'apprendimento istituzionalizzato sia un prodotto che giustifica un investimento illimitato, oppure riscopriamo che la legislazione, la pianificazione e gli investimenti, ammesso che debbano avere un posto nell'istruzione formale, dovrebbero servire soprattutto ad abbattere quelle barriere che ostacolano oggi le possibilità d'apprendimento, un'attività questa che può essere esclusivamente di carattere personale.
Se non combattiamo il postulato secondo cui la conoscenza valida è una merce che in certe circostanze può essere imposta al consumatore, la società sarà sempre più dominata da sinistre pseudoscuole e da manager totalitari dell'informazione. I terapeuti della pedagogia drogheranno sempre più i propri allievi per insegnare meglio e gli studenti a loro volta si drogheranno con sempre maggiore intensità per concedersi un attimo di sollievo dalle pressioni degli insegnanti e dalla corsa al diploma. Una massa di burocrati in continuo aumento si arrogherà il diritto di atteggiarsi a insegnante. Il linguaggio dell’uomo di scuola è già stato cooptato dal pubblicitario. E ora il generale e il poliziotto cercano di dar lustro alle loro professioni mascherandosi da educatori.
In una società scolarizzata trovano una giustificazione i didattica persino la guerra e la repressione civile. Le guerre pedagogiche tipo Vietnam saranno sempre più accettate come l'unico modo per insegnare alla gente il valore supremo del progresso illimitato.
La repressione verrà considerata uno sforzo missionario per affrettare l’avvento del Messia meccanico. Un numero sempre maggiore di paesi farà ricorso a quelle torture pedagogiche che già vengono impiegate in Brasile e in Grecia. Sono torture che non vengono inferte per estorcere informazioni o per soddisfare le necessità psichiche dei sadici, ma si servono del terrore scatenato a caso per infrangere l'integrità di un'intera popolazione e trasformarla in materia malleabile dagli insegnamenti inventati dai tecnocrati. La natura totalmente distruttiva e costantemente progressiva dell’istruzione obbligatoria arriverà così al suo coronamento logico, a meno che non cominciamo sin d'ora a liberarci dalla nostra arroganza pedagogica e dalla convinzione che l'uomo possa fare ciò che non è possibile a Dio, e cioè manipolare gli altri per la loro salvezza.
Molti si stanno ora accorgendo della distruzione inesorabile cui le attuali tendenze della produzione condannano l'ambiente naturale, ma il potere dei singoli individui di modificare queste tendenze è assai limitato. Anche la manipolazione degli uomini e delle donne, iniziata nella scuola, ha ormai raggiunto un punto di irreversibilità, ma la maggior parte della gente non se n'è ancora accorta e continua a sollecitare la riforma della scuola, nello stesso modo in cui Henry Ford III propone automobili meno inquinanti.
Daniel Bell dice che la nostra epoca è caratterizzata da un distacco totale tra le strutture culturali e sociali le prime impegnate ad assumere atteggiamenti apocalittici, le seconde a prendere decisioni tecnocratiche. Questo discorso vale certamente per molti riformatori dell'istruzione, che nell'intimo sono costretti a condannare quasi tutto ciò che caratterizza la scuola moderna
e tuttavia propongono nuove scuole.
In La struttura della rivoluzione scientifica, Thomas Kuhn sostiene che una tale dissonanza precede inevitabilmente l'apparizione di un nuovo modello conoscitivo.
I fatti riferiti da coloro che avevano osservato la libera caduta dei gravi o che erano tornati dall'altra faccia della terra o che si servivano dei nuovi telescopi non corrispondevano alla visione del mondo tolemaica. E quindi, quasi all'improvviso, venne accettato il modello newtoniano. La dissonanza che caratterizza molti giovani d'oggi non è tanto un fatto conoscitivo quanto una questione d'atteggiamento, la sensazione di ciò che una società sopportabile non può essere. La cosa veramente sorprendente di questa dissonanza è che un grandissimo numero di persone riesce a tollerarla.
Questa capacità di perseguire obiettivi assurdi esige una spiegazione. Max Gluckman dice che tutte le società hanno propri metodi per nascondere simili dissonanze ai loro membri, e ipotizza che sia proprio questa la funzione del rituale. I rituali infatti possono celare a chi vi partecipa persino le discrepanze e i conflitti tra i principi e l'organizzazione della società. Fin quando un individuo non sia esplicitamente consapevole della natura rituale del processo mediante il quale egli viene iniziato alle forze che regolano il suo cosmo, non gli è possibile spezzare l'incantesimo e foggiare un cosmo nuovo. Fin quando non ci renderemo conto del rituale con il quale la scuola plasma il consumatore progressivo – risorsa numero uno dell'economia - non potremo nè spezzare l’incantesimo di questa economia nè foggiarne una nuova.

IV - LO SPETTRO ISTITUZIONALE

Quasi tutti i piani utopistici e gli scenari avveniristici richiedono tecnologie nuove e costose, da imporre alle nazioni ricche come a quelle povere. Herman Kahn ha trovato discepoli in Venezuela, in Argentina e in Colombia. Il sogno a occhi aperti di Sergio Bernardes per il suo Brasile dell'anno 2000 luccica di nuovi macchinari più numerosi di quelli esistenti oggi negli Stati Uniti, che a quella data saranno soffocati dagli antiquati impianti missilistici, aeroporti per jet e insediamenti urbani degli anni sessanta e settanta. Gli avveniristi che si rifanno a Buckminster Fuller puntano invece su congegni meno costosi e più esotici. Essi pensano che finirà per imporsi una nuova, ma possibile, tecnologia che dovrebbe permetterci di fare di più con meno: leggerissime monorotaie anziché trasporti supersonici, abitazioni estese verticalmente anziché sparse orizzontalmente. Tutti i futurologi d'oggi cercano di rendere economicamente attuabile ciò che è tecnicamente possibile, ma nello stesso tempo si rifiutano di affrontarne l'inevitabile conseguenza sociale: l'accresciuta bramosia di tutti gli uomini per beni e servizi che rimarranno privilegio di pochi.
Io credo invece che, se vogliamo un futuro desiderabile, dovremo scegliete decisamente una vita d'azione anzichè una vita di consumi, dovremo inventare una maniera di vivere che ci consenta di essere spontanei, indipendenti e tuttavia in stretto rapporto con gli altri, e non continuare in questo tipo d'esistenza che ci permette soltanto di fare e disfare, di produrre e consumare - un tipo d'esistenza che è una semplice stazione intermedia nel cammino verso il depauperamento e l'inquinamento dell'ambiente. Il futuro dipende dalla nostra capacità di scegliere istituzioni che favoriscano una vita attiva, più che dall'elaborazione di nuove ideologie o tecnologie. Abbiamo bisogno sia di parametri che ci permettano di individuare le istituzioni foriere di sviluppo personale anziché di intossicazione, sia della volontà di investire preferenzialmente le nostre risorse tecnologiche in queste istituzioni che favoriscono lo sviluppo.
La scelta è tra due tipi istituzionali radicalmente opposti, esemplificati entrambi da certe istituzioni oggi esistenti, anche se l'uno dei due caratterizza l'epoca contemporanea al punto da potere quasi definirla. Propongo di chiamare questo tipo dominante istituzione manipolatrice. Anche l'altro tipo esiste, ma solo in modo precario; le istituzioni che vi si adeguano sono più modeste e meno in vista, ma io le prendo egualmente a modello di un futuro più auspicabile. Le chiamo “conviviali” e propongo di collocarle alla sinistra dello spettro istituzionale, sia per evidenziare le istituzioni che costituiscono una via di mezzo tra i due estremi, sia per illustrare come certe istituzioni storiche possano cambiar colore mano mano che passino dal facilitare una vita attiva all’organizzare una produzione.
In genere una classificazione di questo tipo, da sinistra a destra, viene usata per caratterizzare gli uomini e le loro ideologie, non le istituzioni sociali e il loro comportamento. E questa caratterizzazione degli uomini, come individui o a gruppi, serve spesso più a generare polemiche che a illuminare la realtà. Usare una diffusa convenzione in un contesto insolito è un procedimento discutibile, ma così facendo io spero di spostare i termini della discussione da un terreno sterile a un terreno fecondo. Diventerà allora evidente che gli uomini di sinistra non sono necessariamente caratterizzati dall'opposizione alle istituzioni manipolatrici, che io colloco sulla destra dello spettro.
È in questa zona che si stipano le istituzioni moderne più potenti. Vi si è spostata quella per il mantenimento dell'ordine, da quando negli Stati Uniti è passata dalle mani dello sceriffo a quelle dell’FBI e del Pentagono. La guerra moderna è diventata anch'essa un'impresa altamente professionistica, la cui attività è il massacro. E’ arrivata al punto che la sua efficienza si misura con il “conteggio dei cadaveri”. La sua potenziale idoneità a mantenere la pace dipende dalla sua capacita di convincere amici e nemici dell'illimitata potenza distruttiva della nazione. I proiettili e le armi chimiche moderne sono talmente efficaci che basta una spesa di poche lire per avere la garanzia di uccidere o mutilare, a patto beninteso di poter raggiungere il “cliente” designato. In compenso aumentano vertiginosamente i costi di distribuzione: la spesa media per ogni vietnamita ucciso è salita dai 360.000 dollari del 1967 ai 450.000 del 1969. Soltanto un'economia al limite del suicidio della specie potrebbe rendere economicamente efficiente la guerra moderna. Il suo effetto di boomerang diventa sempre più palese: quanto più alto è il conto dei vietnamiti uccisi, tanto più aumentano i nemici degli Stati Uniti nel mondo; non solo ma tanto più devono spendere gli Stati Uniti per creare - sotto la cinica etichetta di “pacificazione” un'ennesima istituzione manipolatrice, in un vano tentativo di neutralizzare le conseguenze indirette della guerra.
Alla stessa estremità dello spettro troviamo inoltre le organizzazioni sociali specializzate nella manipolazione dei loro clienti. Anch'esse, come le forze armate man mano che aumenta la portata delle loro operazioni, tendono a produrre effetti contrari agli obiettivi che si prefiggono. Sono cioè altrettanto controproducenti anche se in modo meno ovvio. Molte di loro, per mascherare questo effetto paradossale, si presentano come istituzioni misericordiose e terapeutiche. Le prigioni, per esempio, fino a due secoli fa, servivano a custodire uomini in attesa di essere condannati, mutilati, uccisi o esiliati, e a volte erano scientemente usate come strumenti di tortura. E’ solo di recente che si è cominciato a sostenere che chiudere un uomo in gabbia ha conseguenze benefiche sul suo carattere e sul suo comportamento. Ora però qualcuno comincia a rendersi conto che il carcere aumenta sia la pericolosità sia la quantità dei criminali, che anzi spesso trasforma in criminali individui che sono soltanto dei nonconformisti. Sono tuttavia assai meno numerosi quanti sembrano aver capito che in realtà anche i manicomi, gli ospizi e gli orfanotrofi danno sostanzialmente lo stesso risultato. Queste istituzioni infatti suscitano nei loro clienti un'immagine distruttiva di se stessi - quella dello psicopatico, del vecchio inutile o del trovatello – e forniscono una giustificazione razionale all'esistenza di intere professioni, nello stesso modo in cui le prigioni producono un reddito per i secondini. Si entra a far parte delle istituzioni collocate a questa estremità e o spettro in due maniere, entrambe coercitive: per detenzione forzata o per servizio di leva.
All’estremo opposto dello spettro ci sono le istituzioni caratterizzate dal fatto che si ricorre ad esse per scelta spontanea, quelle che noi abbiamo battezzato “conviviali”. Non occorrono particolari metodi di vendita, più o meno aggressivi, per convincere i clienti a servirsi dei telefoni, delle linee metropolitane, della posta, dei mercati pubblici e della borsa. E anche le fogne, l'acqua potabile, i parchi e i marciapiedi sono istituzioni di cui gli uomini si servono senza che sia necessario convincerli con strumenti istituzionali che ciò è nel loro interesse. Naturalmente, tutte le istituzioni richiedono una forma di regolamento; ma il funzionamento di quelle che esistono perché le si usi e non per produrre qualcosa esige tegole di tipo completamente diverso da quelle richieste dalle istituzioni manipolatrici. Il loro obiettivo principale sarà quello di evitare gli abusi che impedirebbero la piena accessibilità generale alle istituzioni stesse. I marciapiedi devono essere tenuti sgombri, l'uso industriale dell'acqua potabile deve essere limitato e giocare a palla deve essere permesso solo in certe zone particolari di un parco. Al momento abbiamo bisogno di leggi che limitino l'abuso delle nostre linee telefoniche da parte dei computer, del servizio postale da parte della pubblicità, nonché l’inquinamento delle condotte con i rifiuti industriali. I regolamenti delle istituzioni conviviali si limitano a porre delle restrizioni al loro uso; man mano che si passa dal settore conviviale dello spettro a quello manipolativo, le regole richiedono sempre di più un consumo o una partecipazione imposti alla nostra volontà. La differenza di costo nell'acquisizione dei clienti è appunto una delle caratteristiche che distinguono le istituzioni conviviali dalle manipolatrici.
Alle due estremità dello spettro troviamo delle istituzioni-servizi, ma a destra il servizio è una manipolazione imposta e il cliente è vittima della pubblicità, dell'aggressione, dell'addottrinamento, dell'incarcerazione o dell'elettroshock, mentre a sinistra il servizio è una possibilità allargata, offerta entro limiti esplicitamente definiti, e il cliente rimane libero delle proprie azioni. Le istituzioni di destra sono in genere processi di produzione assai complessi e costosi, nei quali gran parte dell'elaborazione e dei costi serve a convincere i consumatori che non si può vivere senza il prodotto o il trattamento offerti da quella data istituzione. Le istituzioni di sinistra sono invece di solito delle reti per facilitare una comunicazione o una cooperazione nate dall'iniziativa dei clienti. Le istituzioni manipolatrici di destra producono assuefazione sul piano sociale o psicologico. L’assuefazione sociale, o escalation, consiste nella tendenza a prescrivere dosi maggiori di un determinato trattamento quando quantità più piccole non hanno ottenuto i risultati voluti. L’assuefazione psicologica, o abitudine, si ha invece quando i consumatori diventano schiavi della necessità di dosi sempre maggiori di un processo o di un prodotto. Le istituzioni di sinistra, che si attivano per iniziativa autonoma degli utenti, tendono invece ad autolimitarsi. A differenza dei processi di produzione che identificano la soddisfazione con il mero atto del consumo, queste reti adempiono uno scopo che va oltre il loro uso ripetuto. Un individuo prende il telefono quando vuol dire qualcosa a qualcun altro, e riattacca una volta finita la comunicazione desiderata: se non è un adolescente, non se ne serve insomma per il solo piacere di parlare nel ricevitore. E quando il telefono non è il modo migliore di mettersi in contatto, si scrive una lettera o si fa un viaggio. Le istituzioni di destra, invece, come vediamo chiaramente nel caso delle scuole, impongono obbligatoriamente un uso ripetitivo, e nello stesso boicottano i modi alternativi per raggiungere risultati analoghi.
Sul versante di sinistra dello spettro istituzionale, ma non proprio all'estrema, possiamo collocare le imprese che sono in concorrenza con altre nel loro campo ma non si sono ancora impegnate a fondo nella pubblicità. Tro­viamo cioè le piccole lavanderie, le panetterie, i parruc­chieri, e - passando al settore professionale - certi avvo­cati e insegnanti di musica. Tipicamente di centro-sinistra sono dunque quelle persone che lavorano in proprio e che hanno istituzionalizzato i loro servizi ma non la loro pubblicità. Si fanno una clientela con i contatti per­sonali e con la qualità relativa di ciò che offrono.
Gli alberghi e le tavole calde sono un po' più vicini al centro. Le grandi catene alberghiere tipo Hilton - che spendono somme enormi per imporre la propria immagi­ne - si comportano spesso come vere e proprie istituzio­ni di destra; eppure di solito gli Hilton e gli Sheraton non offrono niente di più - anzi, danno spesso di meno - degli alberghi a gestione autonoma che praticano gli stessi prezzi. Sostanzialmente l'insegna di un albergo chiama il viaggiatore alla maniera di un cartello strada­le. Dice: “Fermati, qui c'è un letto per te!” e non “Dovresti preferire un letto d'albergo a una panchina del parco!”.
I produttori di materie prime e di beni di consumo particolarmente deteriorabili si collocano al centro del nostro spettro. Essi soddisfano richieste generiche e ag­giungono ai costi di produzione e di distribuzione quel tanto di costi pubblicitari sopportabili dal mercato per farsi conoscere e per imballaggi speciali. Quanto più un prodotto - merce o servizio - è essenziale, tanto più la concorrenza tende a limitare il costo di vendita dell'ar­ticolo.
Quasi tutti i fabbricanti di beni di consumo si sono spostati molto più a destra. Direttamente e indirettamente, producono infatti richieste di accessori che gonfiano gli effettivi prezzi d'acquisto a dimensioni di gran lunga superiori al costo di produzione. La General Motors e la Ford producono mezzi di trasporto, ma manipolano anche, e soprattutto, il gusto del pubblico in modo che il bisogno di trasporti si esprima come richiesta di automobili private anziché di autobus pubblici. Vendono cioè il desiderio di guidare una macchina, di correre ad alta velocità il più comodamente e il più lussuosamente possibile, e fanno balenare l'attuazione delle fantasie più sfrenate al termine del percorso. Non si limitano però a vendere macchine inutilmente grandi, aggeggi superflui o i nuovi accessori che gli sono stati imposti da Ralph Nader e dai predicatori dell'aria pulita. Il prezzo di listino comprende motori truccati, impianti per l'aria condizionata, cinture di sicurezza, filtri per gli scappamenti, ma tiene conto anche di altri costi non esplicitamente dichiarati al cliente: le spese pubblicitarie generali della società, quelle dell'organizzazione di vendita, per il carburante, la manutenzione e i pezzi di ricambio, l'assicurazione, l'interesse sul credito, nonché costi meno tangibili come la perdita di tempo, il logorio dei nervi e l'aria irrespirabile delle nostre città congestionate dal traffico.
Un corollario particolarmente interessante di questo discorso sulle istituzioni socialmente utili è la rete delle autostrade “pubbliche”. Questo fattore importantissimo del costo totale delle automobili merita di essere esaminato più dettagliatamente, perché introduce direttamente all'istituzione di destra che più mi interessa, cioè alla scuola.

Pseudoservizi pubblici
Il sistema autostradale è una rete destinata alla locomozione su distanze relativamente grandi. Trattandosi d'una rete, dovrebbe appartenere alla sinistra dello spettro istituzionale. Ma a questo punto dobbiamo fare una distinzione, per chiarire sia la natura delle autostrade, sia quella degli autentici servizi pubblici. Veri servizi pubblici sono le strade aperte a tutti. Le autostrade so­no invece riserve private, il cui costo è stato in parte ad­dossato alla collettività.
I telefoni, le poste e il sistema autostradale sono tutti delle reti, e nessuna di esse è gratuita. L'accesso alla rete telefonica è limitato dal costo per unità di ogni chiamata. Le tariffe sono relativamente basse e potrebbero anche essere ridotte senza mutare la natura del sistema. L'uti­lizzazione della rete telefonica non è assolutamente con­dizionata da ciò che si trasmette, anche se l'utilizza me­glio chi sa pronunciare frasi coerenti nella stessa lingua della controparte, capacità peraltro comune a tutti quelli che vogliono far uso di questa rete. Le porte sono di so­lito a buon mercato. Il loro uso è leggermente limitato dal prezzo della carta e penna e un pochino di più dalla necessità di saper scrivere; tuttavia il sistema postale è anche al servizio di chi non sa scrivere, se costui ha un parente o un amico cui dettare una lettera o se vuole spedire un nastro registrato.
Il sistema autostradale non è invece egualmente a di­sposizione di chi ha semplicemente imparato a guidare. Le reti telefoniche e postali sono al servizio di chi vuole utilizzarle, mentre il sistema autostradale è soprattutto un accessorio dell'automobile privata. Le prime sono au­tentici servizi pubblici, mentre il secondo è un servizio soltanto per i possessori di auto, camion e pullman.
I servizi pubblici esistono per favorire le comunicazioni tra gli uomini; le autostrade, come le altre istituzioni di destra, esistono per favorire un prodotto. I fabbri­canti d'auto, lo abbiamo già notato, producono contem­poraneamente macchine e richiesta di macchine. Pro­ducono anche la richiesta di autostrade a più corsie, ponti e impianti petroliferi. L'automobile privata è il nucleo intorno a cui si aggrega una massa di istituzioni di destra. L'alto costo di ciascun elemento è determinato dall'elaborazione del prodotto-base, e vendere il prodot­to-base significa “agganciare” la società all'intero “pac­co” di prodotti.
Programmare un sistema autostradale che fosse un vero servizio pubblico significherebbe operare una di­scriminazione a svantaggio di coloro che ritengono la velocità e la comodità individuale i valori primari di un sistema di trasporto, e a favore di chi attribuisce impor­tanza maggiore alla fluidità e alla destinazione. È la dif­ferenza che esiste tra una rete largamente ramificata che offra il massimo accesso possibile ai viaggiatori e una re­te che permette, ai soli privilegiati, di accedere a deter­minate aree esclusive.
L’applicazione di un 'istituzione moderna ai paesi in via di sviluppo fa da cartina di tornasole delle sue qua­lità. Nei paesi molto poveri le strade di solito permetto­no soltanto il transito di speciali camion con assali ele­vati, carichi di derrate, bestiame o persone. Questi paesi dovrebbero destinare le loro limitate risorse alla costru­zione di una ragnatela di piste estesa a tutte le regioni e importare esclusivamente due o tre diversi modelli di veicoli molto resistenti e capaci di percorrere a bassa ve­locità tutte queste piste. Ciò semplificherebbe la manu­tenzione e la scorta dei pezzi di ricambio, permetterebbe di utilizzare a tempo pieno questi veicoli e garantirebbe a tutti i cittadini la massima mobilità e la libera scelta della destinazione. accorrerebbero per questo veicoli tuttofare, tecnicamente semplici come il modello T, co­struiti con le leghe più moderne per assicurarne la du­rata intrinsecamente vincolati a una velocità massima non superiore a trenta chilometri orari, e tanto solidi da poter viaggiare sui fondi più impervi. Ora veicoli del genere non sono disponibili sul mercato, perché non ce n'è richiesta. Di fatto, tale richiesta dovrebbe essere promossa, magari con l'aiuto di una rigorosa legislazione. Al momento, però, ogni volta che una simile richiesta riesce a far sentire, sia pure debolmente, la propria voce viene subito soffocata da una pubblicità in senso opposto intesa a vendere universalmente quelle stesse macchine che oggi estorcono ai contribuenti americani il denaro necessario alla costruzione delle autostrade.
Per “migliorare” i trasporti, oggi tutti i paesi, com­presi i più poveri, progettano reti autostradali concepite per le automobili d'uso privato e glI autotreni più ve­loci, le quali vanno bene per quella minoranza di pro­duttori e consumatori delle classi privilegiate che vo­gliono soprattutto la velocità. Spesso si giustifica questa impostazione sostenendo che fa risparmiare le risorse più preziose di un paese povero: il tempo del me­dico, dell'ispettore scolastico o del pubblico funzionario. Ma naturalmente tutte queste persone sono quasi esclu­sivamente al servizio di chi già possiede un'automobile o spera di potersela un giorno permettere. Il gettito delle imposte locali e del magro scambio internazionale viene così sprecato in pseudoservizi pubblici.
La tecnologia “moderna” trapiantata nei paesi poveri ricade in tre grandi categorie: merci, fabbriche che le producono e istituzioni-servizi - prime fra tutte le scuole - che trasformano gli uomini in produttori e consumatori moderni. La maggioranza dei paesi destina alla scuola la quota di gran lunga maggiore dei propri bilanci. Dopo di che i laureati prodotti dalla scuola creano una richiesta di altri servizi cospicui, come un apparato industriale, autostrade asfaltate, ospedali moderni e aeroporti, i quali a loro volta creano un mercato per le merci fabbricate per i paesi ricchi e, dopo un po', la tendenza a importare stabilimenti antiquati per produrle in luogo.
Tra tutti gli “pseudoservizi pubblici”, la scuola è il più insidioso. Le reti autostradali producono soltanto una richiesta di automobili. La scuola crea una richiesta dell'intera gamma di istituzioni moderne che affollano il settore destro dello spettro. Chi mettesse in dubbio la necessità delle autostrade verrebbe considerato un romantico inguaribile; chi mette in dubbio la necessità delle scuole viene subito accusato di essere un insensibile o un imperialista.

Le scuole come pseudoservizi pubblici
Come le autostrade, anche le scuole danno a prima vista l'impressione di essere egualmente aperte a tutti. Di fatto lo sono soltanto a chi rinnova continuamente le proprie credenziali. E come le autostrade fanno credere che l'attuale livello dei loro costi annui sia indispensabile per la mobilità della gente, così le scuole sono ritenute essenziali per l'acquisizione della competenza richiesta da una società che fa uso della tecnologia moderna. Abbiamo denunciato la natura di falso servizio pubblico delle reti autostradali sottolineando la loro dipendenza dall'automobile privata. Ora, le scuole sono basate sul presupposto altrettanto falso che l'apprendimento sia il risultato di un insegnamento programmatico.
Le autostrade nascono da una perversione del desiderio e del bisogno di muoversi, trasformati in richiesta di macchine private. Nello stesso modo le scuole pervertono l'inclinazione naturale a crescere e a imparare, trasformandola in richiesta di istruzione. Questa richiesta di una maturità fabbricata in serie costituisce una rinuncia all'attività autonoma assai più grave che non la richiesta di prodotti fabbricati in serie. Le scuole non sono soltanto a destra delle autostrade e delle automobili, ma si collocano vicino al punto estremo dello spettro istituzionale occupato dalle istituzioni totali. Persino i produttori di conteggi dei cadaveri si limitano a uccidere dei corpi, mentre la scuola, facendo abdicare gli uomini alla responsabilità del proprio sviluppo, ne conduce molti a una sorta di suicidio spirituale.
Le autostrade vengono pagate in parte da coloro che se ne servono, dato che i pedaggi e le imposte sulla benzina escono dalle tasche dei soli automobilisti. La scuola invece è un esempio perfetto di tassazione regressiva, con i laureati privilegiati che cavalcano in groppa all'intero pubblico pagante. La scuola mette una taglia sulla promozione. Il sottoconsumo in chilometri d'autostrada non è all'incirca tanto costoso quanto il sottoconsumo in anni di scuola. A Los Angeles chi non possieda una macchina può essere quasi ridotto all'immobilità, ma se riesce in qualche modo a raggiungere un luogo di lavoro può trovare e conservare un impiego. Per chi ha abbandonato la scuola non esistono invece alternative. L’abitante dei quartieri residenziali suburbani con la Lincoln nuova fiammante, e il suo cugino campagnolo che guida un vecchio catenaccio ammaccato, sfruttano sostanzialmente l'autostrada nella stessa misura, anche se l'automobile del primo costa trenta volte più dell'altra, mentre invece il valore dell'esperienza scolastica di un uomo è determinato dal numero di anni portati a termine e dal costo delle scuole frequentate. La legge non costringe nessuno a guidare, mentre obbliga tutti ad andare a scuola.
L'analisi delle istituzioni secondo la loro attuale collocazione su un arco da sinistra a destra mi permette di precisare la mia convinzione che un cambiamento radicale della società debba partire da un atteggiamento diverso nei confronti delle istituzioni e di spiegare perché le dimensioni di un futuro nel quale valga la pena vivere dipendano dal ringiovanimento del modo di operare delle istituzioni stesse.
Durante lo scorso decennio, istituzioni nate in periodi diversi dopo la rivoluzione francese hanno raggiunto simultaneamente la vecchiaia: i sistemi scolastici pubblici istituiti ai tempi di Jefferson o di Ataturk come quelli sorti dopo la seconda guerra mondiale sono diventati egualmente burocratici, fini a se stessi e manipolatori. Lo stesso è accaduto ai sistemi di assistenza sociale ai sindacati, alle principali chiese, ai servizi diplomatici e alla sistemazione dei vecchi e dei defunti.
Oggi, per esempio, i sistemi scolastici della Colombia, dell'lnghilterra, dell'URSS e degli Stati Uniti si assomigliano più di quanto le scuole americane del 1890 assomigliassero a quelle di oggi o a quelle che c'erano allora in Russia. Oggi infatti tutte le scuole sono obbligatorie, illimitate nel tempo, competitive. La stessa convergenza nel modo d'operare dell'istituzione si verifica anche nell'assistenza sanitaria, nei commerci, nell'amministrazione del personale e nella vita politica. Tutti questi processi istituzionali tendono ad ammucchiarsi all'estremità manipolatrice del nostro spettro.
Da questa convergenza delle istituzioni deriva un amalgamarsi delle varie burocrazie mondiali. Il funzionamento, i sistemi di valutazione e gli stessi accessori (dai libri di testo ai computer) sono modellati sugli esempi dell'Europa occidentale anche dalle commissioni per la programmazione dell'Afghanistan o di Costarica. Dappertutto queste burocrazie sembrano concentrarsi su un unico compito: promuovere l'espansione delle istituzioni di destra. Si preoccupano cioè di fabbricare oggetti, di fabbricare regole rituali, e di fabbricare - e aggiornare - “verità ufficiali”, l'ideologia o l'autorità che stabilisce il valore corrente da attribuire alloro prodotto. La tecnologia fornisce a queste burocrazie un crescente potere sul settore destro della società. Il settore di sinistra sembra atrofizzarsi, non perché la tecnologia sia meno capace di accrescere la portata dell'azione umana o di lasciare spazio al gioco dell'immaginazione individuale e della creatività personale, ma perché un'utilizzazione della tecnologia in questo senso non aumenterebbe il potere dell'elite che l'amministra. Il ricevitore postale non ha alcun controllo sull'utilizzazione pratica della posta, il centralinista o il funzionario della società dei telefoni non ha il potere di impedire che, mediante la loro rete, si progettino adulteri, omicidi o atti di sovversione.
Nella scelta tra destra e sinistra istituzionale quella che è in gioco è la natura stessa della vita umana. L’uomo deve decidere se vuoI essere ricco di cose o di libertà di servirsene. Deve scegliere tra due opposti modi di vivere e tra le relative tabelle di produzione.
Già Aristotele aveva scoperto che “fabbricare e agire” sono due cose diverse, al punto che l'una non comprende mai l'altra. “Infatti ne agire è un modo di fabbricare, ne fabbricare è un modo di agire veramente.
L’architettura (techne) è un modo di fabbricare... di dar vita a qualcosa la cui origine è in chi la fabbrica e non nella cosa. La fabbricazione ha sempre un fine altro da se l'azione no: una buona azione infatti ha come fine se stessa. La perfezione nel fabbricare è un'arte, quella nell'agire una virtù.” La parola che Aristotele adopera per definire la fabbricazione è poesis, quella per definire l'azione è praxis. Uno spostamento a destra significa che un'istituzione è in via di ristrutturazione per aumentare la sua capacità di “fabbricare”, mentre quando essa si sposta a sinistra significa che la ristrutturazione ha come fine l’incremento della “azione” o praxis. La tecnologia moderna ha accresciuto le possibilità dell'uomo di cedere la “fabbricazione” delle cose alle macchine, e il suo tempo potenzialmente disponibile per l'“azione” è aumentato. La “fabbricazione” dei generi di prima necessità non occupa più tutte le sue ore. Il risultato di questa modernizzazione è la disoccupazione: è l'ozio dell'uomo che non ha niente da “fabbricare” e che non sa cosa “fare”, cioè come “agire”. La disoccupazione è l'ozio triste di chi crede, contrariamente ad Aristotele, che fabbricare cose o lavorare sia virtù e l'ozio sia un male. La disoccupazione è l'esperienza dell'uomo che si è arreso all'etica protestante. Secondo Weber, il tempo libero è necessario all'uomo per poter lavorare. Secondo Aristotele, il lavoro è necessario all'uomo per poter avere del tempo libero.
La tecnologia mette a disposizione dell'uomo un tempo che egli può riempire, a sua discrezione, fabbricando o agendo. All’intera cultura si offre oggi di scegliere tra la tristezza della disoccupazione e la gioia del tempo libero. La scelta dipende da come la cultura fa funzionare le proprie istituzioni. È una scelta che sarebbe stata impensabile in una cultura antica basata sull'agricoltura contadina o sulla schiavitù, ma che è diventata inevitabile per l'uomo postindustriale.
Uno dei modi per riempire il tempo disponibile consiste nello stimolare una maggiore richiesta di consumo di merci e, insieme, di produzione di servizi. La prima comporta un'economia che fornisca un campionario sempre crescente di prodotti sempre più nuovi, da fabbricare, consumare, sprecare e rimettere in ciclo. La seconda comporta il vano tentativo di “fabbricare” azioni virtuose tramutandole nei prodotti di istituzioni-”servizi”. Ciò porta a identificare la scuola con l'educazione, l'assistenza medica con la salute, la partecipazione a uno spettacolo con lo svago, la velocità con una locomozione efficiente. Questa prima scelta viene oggi chiamata sviluppo.
Il secondo modo, radicalmente opposto, di riempire il tempo divenuto libero consiste nella disponibilità di una limitata gamma di beni più durevoli e nell'accesso a istituzioni che permettano di aumentare le possibilità e la desiderabilità dell'interazione umana.
Un'economia fondata su beni durevoli è il contrario esatto di quella fondata sull'obsolescenza pianificato. Comporta infatti una limitazione all'elenco del beni. Questi dovrebbero essere tali da assicurare il massimo delle possibilità di “fare” qualcosa servendosi di essi: articoli cioè che ognuno dovrebbe poter montare, adoperare, riutilizzare e riparare per proprio conto.
A questa lista di beni durevoli, riparabili e riutilizzabili dovrà accompagnarsi non un aumento dei servizi prodotti dalle istituzioni, ma una cornice istituzionale che educhi costantemente all'azione, alla partecipazione e all'autonomia. Il cammino della nostra società dal presente - dove tutte le istituzioni gravitano verso una burocrazia postindustriale - al futuro della convivialità postindustriale - dove l'intensità dell'azione prevarrebbe sulla produzione - deve partire da un rinnovamento del modo d'operare delle istituzioni-servizi, e anzitutto da un rinnovamento del sistema educativo, Un avvenire desiderabile e attuabile dipende insomma dalla nostra volontà di destinare le nostre capacità tecnologiche allo sviluppo delle istituzioni conviviali. Nel campo della ricerca pedagogica, ciò equivale alla richiesta di un capovolgimento delle tendenze attuali.
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