III - RlTUALIZZAZIONE DEL PROGRESSO
Il laureato è stato preparato dalla scuola per prestare
servizio tra i ricchi del mondo. Quali che siano le sue simpatie
verbali per il Terzo Mondo, ogni laureato americano ha avuto un'istruzione
che è costata circa cinque volte di più di quello
che è il reddito medio, in tutta la vita, di mezza umanità.
Uno studente dell'America latina è ammesso in questa sceltissima
confraternita solo dopo che per istruirlo sia stato speso in denaro
pubblico almeno 350 volte di più che per i suoi connazionali
di medio reddito. Tranne rarissime eccezioni, il laureato di un
paese povero si sente più a suo agio con i colleghi europei
o nordamericani che fra i compatrioti non scolarizzati, e in generale
tutti gli studenti sono condizionati dal sistema universitario a
trovarsi bene soltanto in compagnia di altri consumatori dei prodotti
della macchina didattica.
L'università moderna concede il privilegio del dissenso a
chi è già stato esaminato e catalogato come persona
potenzialmente in grado di far quattrini o di occupare posizioni
di potere. Nessuno che non sia stato riconosciuto ufficialmente
capace di tanto può ricevere fondi pubblici per istruirsi
disinteressatamente nel tempo libero o avere il diritto di istruire
altri. La scuola seleziona a ogni livello coloro che, nelle fasi
precedenti del gioco, abbiano dato prova di non rappresentare un
rischio eccessivo per l'ordine costituito. L'università,
avendo il monopolio sia delle risorse per l'istruzione sia dell'investitura
per i ruoli sociali, coopta anche l'innovatore e il potenziale dissenziente.
Una laurea lascia sempre l'indelebile segno del proprio prezzo sullo
stato di servizio del suo utente. I laureati si trovano bene soltanto
in un mondo che metta in evidenza il loro prezzo, dando loro in
tal modo il potere di definire il livello al quale la società
può aspirare. In ogni paese è la quantità dei
loro consumi a indicare il modello da raggiungere; tutti gli altri,
se vogliono essere persone civili sul lavoro o fuori, si porranno
come meta lo stile di vita di chi possiede la laurea.
L'università finisce dunque per imporre modelli di consumo
sul lavoro e a casa, e ciò avviene in ogni parte del mondo,
sotto qualunque regime politico. Meno laureati ci sono in un paese,
più le loro esigenze di persone colte vengono prese a modello
dal resto della popolazione. In Russia, in Cina e in Algeria, il
divario tra i consumi del laureato e quelli del cittadino medio
è ancor maggiore che negli Stati Uniti. L'automobile, i viaggi
in aereo e il registratore sono segni di distinzione più
visibili in un paese socialista, dove è possibile procurarseli
solo con un titolo di studio e non semplicemente con i soldi.
Questo potere dell'università di stabilire obiettivi di consumo
è un fatto nuovo. In molti paesi data soltanto dagli anni
sessanta, cioè da quando ha cominciato a diffondersi l'illusione
di una uguaglianza di accesso all'istruzione pubblica. Prima d'allora
l'università proteggeva la libertà di parola di un
individuo, ma non trasformava automaticamente in ricchezza il suo
sapere. Nel Medio Evo essere uno scolare significava
anche essere un povero, o addirittura un mendico. In virtù
della sua vocazione, lo scolare imparava il latino e diventava un
emarginato, oggetto di disprezzo quanto di stima per li contadino
come per il principe, per il borghese come per li prete. Per farsi
strada nella società doveva anzitutto penetrarvi. arruolandosi
in qualche organizzazione pubblica, preferibilmente la chiesa. Lantica
università era una zona franca destinata all'elaborazione
e al dibattito di idee, sia vecchie che nuove. Maestri e studenti
vi si riunivano per leggere i testi di altri maestri morti da tempo,
e le parole vive del passato schiudevano nuove prospettive sugli
errori del presente. Luniversità era dunque una comunità
di indagine intellettuale e di endemica irrequietezza.
Nella multiversity moderna, questa comunità è stata
emarginata e ridotta a riunirsi in un appartamento nello studio
di un professore o nella residenza del cappellano. Il fine strutturale
dell'università moderna ha poco a che vedere con l'indagine
tradizionale. Da Gutenberg in poi, il dibattito specializzato, critico,
è passato in genere dalla cattedra alla stampa.
L'università moderna ha rinunciato al compito di fornire
una semplice cornice per incontri insieme autonomi e anarchici focalizzati
ma nello stesso tempo ribollenti e non pianificati, preferendo invece
gestire il processo mediante il quale si producono la cosiddetta
ricerca e la cosiddetta istruzione.
A partire dallo Sputnik, l'università americana ha soprattutto
cercato di ristabilire un equilibrio numerico con i laureati sovietici.
Oggi i tedeschi stanno rinunciando alle loro tradizioni accademiche
e costruiscono dei campus per mettersi alla pari con gli americani.
Nel decennio in corso intendono aumentare da 14 a 59 miliardi di
marchi gli stanziamenti per la scuola elementare e media e triplicare
la spesa per l'istruzione superiore. I francesi si propongono per
il 1980 di portare al 10 per cento del loro prodotto nazionale lordo
la somma destinata alle scuole, e la Fondazione Ford preme perché
i paesi poveri dell'America latina portino la spesa per ogni laureato
che si rispetti a livelli il più possibile vicini
a quelli nordamericani. Lo studente vede nei propri studi l'investimento
finanziariamente più redditizio, mentre le nazioni li considerano
un fattore chiave del loro sviluppo.
Per la maggioranza che cerca soprattutto una laurea, l'università
non ha perso il proprio prestigio, ma dal 1968 non ha fatto che
perdere credito fra coloro che in essa veramente credevano. Gli
studenti si rifiutano di prepararsi per la guerra, l'inquinamento
e la perpetuazione dei pregiudizi. E gli insegnanti li aiutano a
contestare la legittimità del governo, la sua politica estera,
il suo sistema educativo e la stessa american way of life. Non pochi
rifiutano la laurea e scelgono di vivere in una controcultura, fuori
della società ufficiale, seguendo le orme di quegli hippies
e dropouts che furono i Fraticelli medievali e gli Alumbrados della
Riforma. Altri, rendendosi conto che la scuola detiene il monopolio
delle risorse necessarie per l'edificazione di una controsocietà,
si assoggettano al rituale accademico cercando tuttavia di aiutarsi
reciprocamente a condurre una vita integra. Formano, per così
dire, dei focolai eretici all'interno stesso della gerarchia.
Vasti strati della popolazione guardano però allarmati questi
mistici ed eresiarchi moderni, perché minacciano l'economia
consumistica, i privilegi democratici e l'immagine che l'America
ha di se stessa. Ma per eliminarli non bastano le buone intenzioni,
e sono sempre meno quelli che si riesce a riconvertire con la pazienza
o a cooptare con l'astuzia, incaricandoli per esempio di insegnare
le loro eresie. Di qui la ricerca di mezzi che permettano o di sbarazzarsi
dei singoli contestatori o di ridurre l'importanza dell'università
che serve da base per la loro protesta.
Gli studenti e gli insegnanti che, con notevole rischio personale,
contestano la legittimità dell'università non pensano
certamente di fissare dei modelli di consumo o di favorire un sistema
di produzione. Quelli che hanno fondato gruppi come il Committee
of Concerned Asian Scholars o il North American Congress on Latin
America (NACLA) hanno contribuito con estrema efficacia a modificare
radicalmente le idee di milioni di giovani sulle realtà di
certi paesi stranieri. Altri invece hanno cercato di interpretare
in termini marxiani la società americana o sono stati all'origine
della fioritura delle comuni. I risultati da essi raggiunti rafforzano
la tesi secondo la quale l'esistenza delle università è
necessaria a garantire la sopravvivenza della critica sociale. Non
si può negare che oggi l'università presenti un complesso
unico di circostanze che permette ad alcuni suoi membri di svolgere
una critica globale della società. Offre infatti tempo, mobilità,
accesso a colleghi e a informazioni, e anche una certa impunità,
tutti privilegi che non sono concessi in eguale misura ad altri
settori della popolazione. Ma, questa libertà, l'università
la fornisce soltanto a chi è già stato profondamente
iniziato alla società dei consumi e alla necessità
di una qualche forma di scolarizzazione pubblica obbligatoria.
Il sistema scolastico svolge oggi la triplice funzione che nella
storia fu sempre prerogativa delle chiese più potenti. È
insieme il depositario del mito della società l'istituzionalizzazione
delle contraddizioni del mito e la sede del rituale che riproduce
e maschera le discordanze tra mito e realtà. Oggi il sistema
scolastico, e l'università in particolare, offre ampie possibilità
di criticare il mito e di ribellarsi alle sue perversioni istituzionali.
Ma il rituale che impone la tolleranza delle contraddizioni fondamentali
tra mito e istituzione è ancora largamente incontestato,
in quanto ne la critica ideologica ne l'azione a livello sociale
possono produrre una società nuova. Solo spezzando l'incantesimo
del rituale fondamentale della società e distaccandosene
e riformandolo si può arrivare a un cambiamento radicale.
L'università americana è oggi la fase conclusiva del
rito d'iniziazione più onnicomprensivo che mai il mondo abbia
conosciuto. Non c'è società nella storia che sia potuta
sopravvivere senza un mito o un rituale, ma la nostra è la
prima che abbia avuto bisogno di un'iniziazione al mito così
lunga, noiosa, costosa e distruttiva. La civiltà mondiale
contemporanea è inoltre la prima che abbia creduto necessario
razionalizzare il suo rituale d'iniziazione fondamentale chiamandolo
educazione. Non possiamo neanche pensare a una riforma dell'istruzione
se non ci rendiamo conto che il rituale della scuola non favorisce
ne l'apprendimento individuale ne l'eguaglianza sociale. E non possiamo
superare la società dei consumi se non cominciamo col comprendere
che, qualunque cosa in esse si insegni, le scuole pubbliche obbligatorie
riproducono inevitabilmente quella stessa società. Il progetto
di smitizzazione che io propongo non si può limitare alla
sola università. Un tentativo di riforma dell'università
che lasci intatto il sistema di cui essa è parte integrante
equivarrebbe a un risanamento urbanistico di New York che agisse
soltanto dal dodicesimo piano in su. Di fatto le riforme universitarie
di oggi assomigliano quasi sempre alla costruzione di tuguri a molti
piani. Solo una generazione cresciuta senza scuole obbligatorie
sarà in grado di ricreare l'università.
Il mito dei valori istituzionalizzati
La scuola inizia, inoltre, al mito del consumo illimitato. Questo
mito moderno si fonda sulla convinzione che il processo debba inevitabilmente
produrre cose di valore e che la produzione produca quindi necessariamente
una richiesta. La scuola ci insegna che l'istruzione produce l'apprendimento.
L'esistenza delle scuole produce la richiesta di scolarizzazione.
Una volta che abbiamo imparato ad aver bisogno della scuola, tutte
le nostre attività tendono ad assumere la forma di un rapporto
clientelare con altre istituzioni specializzate. Una volta screditato
l'autodidatta, ogni attività non professionale diventa sospetta.
A scuola ci insegnano che un'istruzione valida è il risultato
della frequenza; che il valore dell'apprendimento aumenta proporzionalmente
all'input, alla quantità di nozioni immesse e, infine, che
questo valore può essere misurato e documentato da voti e
diplomi.
In realtà l'apprendimento è l'attività umana
che ha meno bisogno di manipolazioni esterne. In massima parte,
non è il risultato dell'istruzione, ma di una libera partecipazione
a un ambiente significante. Quasi tutte le persone imparano meglio
stando dentro le cose, eppure la scuola le porta a identificare
l'accrescimento della propria personalità e delle proprie
conoscenze con una elaborata pianificazione e una complessa manipolazione.
Una volta che ha accettato la necessità della scuola, un
uomo, o una donna che sia, diventa facile preda altre istituzioni.
Una volta che hanno permesso che la loro immaginazione venisse plasmata
da un insegnamento rigidamente pianificato, i giovani sono inevitabilmente
condizionati ad accettare qualsiasi forma di pianificazione istituzionale.
La cosiddetta istruzione soffoca gli orizzonti della loro immaginazione.
Non è neppure da dire che vengano traditi, ma semplicemente
sono defraudati, perché gli è stato insegnato a sostituire
le aspettative alla speranza. Non avranno più sorprese, buone
o cattive, dagli altri, perché gli è stato insegnato
che cosa possono aspettarsi da qualunque persona che abbia ricevuto
il loro stesso insegnamento. Da qualunque persona come da qualunque
macchina.
Questo trasferimento di responsabilità dall'individuo all'istituzione,
specie quando lo si è accettato come un obbligo, è
una garanzia di regresso sociale. Così, coloro che si ribellano
alla propria Alma Mater vi fanno spesso carriera come insegnanti
anziché trovare il coraggio di contagiare altre persone con
un insegnamento personale e di assumersi la responsabilità
dei risultati. Ciò suggerisce una nuova possibile versione
della storia di Edipo: Edipo l'insegnante, che si fa
una madre per generare figli con lei. L'uomo che ha contratto il
vizio di ricevere lezioni cerca la propria sicurezza nell'insegnamento
coercitivo. La donna che vede nelle proprie conoscenze il risultato
di un certo processo aspira a riprodurlo in altri.
Il mito della misurazione dei valori
I valori istituzionalizzati che la scuola inculca sono valori quantificati.
La scuola inizia i giovani a un mondo dove tutto è misurabile,
compresa la loro immaginazione e anzi l'uomo stesso.
Ma lo sviluppo della personalità non è un'entità
misurabile. Avviene in una dissidenza disciplinata, che non può
essere misurata da nessun metro e da nessun corso di studi, ne può
essere paragonata ai risultati raggiunti da qualcun altro. In questo
processo d'apprendimento si possono emulare gli altri solo nello
sforzo immaginativo, seguendone le orme anziché scimmiottandone
i passi. L'apprendimento che io apprezzo è una ricreazione
incommensurabile.
La scuola pretende di frantumare l'apprendimento in materie,
di immettere nel cervello dell'allievo un programma fatto di questi
blocchi prefabbricati e di misurare il risultato su una bilancia
internazionale. Coloro che accettano le unità di misura altrui
per valutare lo sviluppo della personalità finiscono presto
per applicare a se stessi il medesimo metro. Non c'è più
bisogno di metterli alloro posto, perché sono loro stessi
a inserirsi nel buco che gli è stato assegnato, a incunearsi
nella nicchia che hanno imparato a cercare e, nel corso di questa
operazione, a mettere alloro posto i propri simili fin quando tutto,
cose e persone, non combaci.
Chi ha imparato dalla scuola a misurare si lascia sfuggire di mano
le esperienze non misurabili; ciò che non può essere
misurato diventa per lui secondario o minaccioso. Per questo, non
occorre privarlo della sua creatività; l'istruzione gli ha
già fatto disimparare a fare ciò di cui
sarebbe capace o a essere se stesso e lo ha portato
a dare valore soltanto a quel che è stato, o potrebbe essere,
fatto.
Una volta che gli sia stata ben inculcata l'idea che i valori possono
essere prodotti e misurati, egli tende ad accettare qualunque sistema
di classificazione. C'è un metro per misurare lo sviluppo
delle nazioni, un altro per l'intelligenza degli infanti; persino
il cammino verso la pace è calcolabile, in base al conteggio
dei cadaveri. In un mondo scolarizzato la strada della felicità
è lastricata di indici di consumo.
Il mito dei valori confezionati
La scuola vende un corso di studi: vale a dire, un pacco di merci
simili per struttura e metodo di fabbricazione a qualunque altra
mercanzia. La produzione di questi corsi nasce nella maggior parte
delle scuole da una ricerca cosiddetta scientifica, partendo dalla
quale i tecnici dell'istruzione prevedono, nei limiti fissati dai
bilanci e dai tabù, la futura richiesta di utensili umani
per la catena di montaggio. L'insegnante-distributore porge il prodotto
finito all'allievo-consumatore, le cui reazioni vengono attentamente
studiate e schedate perché forniranno i dati necessari all'elaborazione
del prossimo modello, che potrà essere senza voti,
scelto dallo studente, basato sull'insegnamento
di gruppo, fornito di sussidi visivi o centrato
sui problemi.
Il risultato di questo processo produttivo assomiglia a tutti gli
altri prodotti moderni. È un involto di significati pianificati,
un pacco di valori, una merce che per il suo richiamo ben
calcolato è vendibile a un numero di persone abbastanza
alto per giustificare i costi di produzione. Si insegna agli allievi-consumatori
a conformare i propri desideri ai valori suscettibili di essere
messi sul mercato. In tal modo si ottiene che si sentano colpevoli
se non si comportano secondo le predizioni delle indagini di mercato
procurandosi i voti e i diplomi che permetteranno loro d'accedere
a quella categoria professionale cui sono stati indotti ad aspirare.
Gli educatori possono giustificare corsi di studi più costosi
in base alla loro constatazione che le difficoltà d'apprendimento
crescono proporzionalmente ai costi del corso seguito. È
un'applicazione della legge di Parkinson, secondo cui la fatica
aumenta parallelamente alle risorse disponibili per svolgerla. Questa
legge trova conferma a tutti i livelli scolastici: per esempio,
nelle scuole francesi la difficoltà di insegnare a leggere
è diventata un grosso problema solo da quando si sono cominciate
a spendere pro capite somme prossime ai livelli americani del 1950,
cioè dell'anno in cui le difficoltà di lettura divennero
un grosso problema nelle scuole degli Stati Uniti.
In effetti accade spesso che gli studenti mentalmente sani raddoppino
la loro resistenza all'insegnamento quando si accorgono di essere
sempre più totalmente manipolati. Questa resistenza non dipende
dai metodi autoritari della scuola pubblica. o da quelli suadenti
di certe scuole libere, ma dalla concezione fondamentale che è
comune a tutte le scuole: l'idea che sia il giudizio di una persona
a stabilire ciò che un'altra persona deve imparare e quando.
Il mito del progresso autoperpetuantesi
Anche quando è accompagnato da una diminuzione dei profitti
in termini d'apprendimento, l'aumento pro capite dei costi dell'istruzione
accresce, paradossalmente, il valore dell'allievo, sia ai suoi stessi
occhi sia sul mercato. A qualunque costo, o quasi, la scuola lo
spinge al livello del consumo scolastico competitivo e di qui a
una marcia verso livelli sempre più alti. Le spese per indurre
lo studente a rimanere nella scuola aumentano vertiginosamente man
mano che egli s'arrampica sulla piramide. Ai livelli superiori assumono
la forma di nuovi campi di calcio o di cappelle o di programmi chiamati
istruzione internazionale. La scuola insegna, se non
altro, il valore dell'escalation, del modo americano di fare le
cose.
La guerra nel Vietnam corrisponde alla logica del momento. Il suo
successo è stato calcolato in base al numero delle persone
efficacemente toccate da proiettili a buon mercato distribuiti a
un costo immenso, e questo calcolo brutale viene spudoratamente
chiamato conteggio dei cadaveri. Come gli affari sono
affari, cioè un'incessante accumulazione di denaro, così
la guerra è massacro, cioè un'incessante accumulazione
di cadaveri. Analogamente l'istruzione è scolarizzazione,
e questo processo senza fine viene calcolato in ore-allievo. Sono
tutti processi irreversibili, che trovano in se stessi la loro unica
giustificazione. Secondo l'economia, il paese diventa sempre più
ricco. Secondo il conto dei morti, la nazione continua all'infinito
a vincere la sua guerra. E secondo la scuola, la popolazione diventa
sempre più istruita.
I programmi scolastici hanno fame di progressive immissioni di insegnamenti,
ma questa fame, se può portare a un assorbimento costante,
non dà mai la gioia di apprendere qualcosa con propria piena
soddisfazione. Ogni argomento arriva già imballato, con istruzioni
perché si continui a consumare una offerta dopo
l'altra, e l'involucro dell'anno scorso è sempre antiquato
per il consumatore di quest'anno. Il racket dei libri di testo prospera
appunto su questa domanda. I riformatori dell'insegnamento promettono
a ogni nuova generazione quanto c'è di meglio e di più
aggiornato e il pubblico è condizionato dalla scuola a chiedere
ciò che essi offrono. L'evasore dall'obbligo scolastico,
che si sente continuamente ricordare ciò che ha perso, come
il laureato, che è indotto a sentirsi inferiore alla più
recente leva di studenti, sanno esattamente qual è la loro
posizione nel rituale delle crescenti illusioni e continuano ad
appoggiare una società che ha battezzato eufemisticamente
la crepa sempre più larga delle speranze frustrate rivoluzione
delle crescenti aspettative.
Ma una crescita concepita come consumo illimitato come eterno progresso
- non potrà mai portare alla maturità.
Limpegno a un incontrollato aumento quantitativo invalida
la possibilità di uno sviluppo organico.
Gioco rituale e nuova religione universale
Letà media in cui si lascia la scuola nelle nazioni
sviluppate aumenta più rapidamente della speranza di
vita. Ancora un decennio e le due curve s'intersecheranno
creando un problema per Jessica Mitford e per i professionisti che
si occupano di educazione terminale. Mi viene in mente
il tardo Medio Evo, quando la richiesta di funzioni ecclesiastiche
aveva superato la durata stessa della vita e si dovette inventare
il Purgatorio per purificare le anime sotto il controllo del papa,
prima che potessero accedere alla pace eterna. E questo logicamente
portò prima al traffico delle indulgenze e poi al tentativo
della Riforma. Oggi il mito del consumo illimitato sostituisce la
fede nella vita eterna.
Arnold Toynbee ha fatto notare che alla decadenza di una grande
cultura si accompagna di solito la nascita di una nuova chiesa universale
che estende la speranza al proletariato interno mentre serve alle
esigenze di una nuova classe di guerrieri. La scuola sembra particolarmente
adatta a diventare la chiesa universale della nostra cultura in
decomposizione. Nessuna istituzione sa meglio nascondere ai suoi
partecipanti la discrepanza profonda tra i principi sociali e la
realtà sociale del mondo contemporaneo. Laica, scientifica
e negatrice della morte, è in perfetta armonia con lo stato
d'animo dell'uomo moderno. La sua vernice classica e critica la
fa apparire pluralistica, se non antireligiosa. I suoi programmi
determinano i confini della scienza e vengono a loro volta determinati
dalla cosiddetta ricerca scientifica. Nessuno completa la scuola,
neppure ora. Essa non chiude mai le porte a nessuno senza avergli
prima offerto un'ennesima occasione: un corso di recupero, l'educazione
per adulti e quella permanente.
La scuola serve efficacemente a creare e difendere il mito sociale
grazie alla sua struttura di gioco rituale di promozioni graduate.
L'ammissione a questo rituale di gioco è molto più
importante di ciò che si insegna o del modo in cui lo si
insegna. È il gioco in se che ammaestra, che entra nel sangue,
che diventa un abito mentale. Tutta una società viene iniziata
al mito del consumo illimitato di servizi. Al punto che la partecipazione
simbolica al rituale senza fine diventa obbligatoria e coercitiva
dappertutto. La scuola incanala la rivalità rituale in un
gioco internazionale che obbliga i concorrenti a incolpare dei mali
del mondo coloro che non possono o non vogliono giocare. È
un rituale d'iniziazione che introduce il neofita alla corsa sacra
del consumo progressivo, un rituale di propiziazione i cui sacerdoti
accademici fanno da mediatori tra i fedeli e gli dèi del
privilegio e del potere, un rituale di espiazione che sacrifica
i suoi disertori, quali capri espiatori del sottosviluppo.
Persino quelli che, nel migliore dei casi, trascorrono a scuola
alcuni anni - e sono la stragrande maggioranza in America latina,
in Asia e in Africa - imparano a sentirsi in colpa per il loro sottoconsumo
scolastico. In Messico gli anni di scuola obbligatori per legge
sono sei. I bambini appartenenti a quel terzo della popolazione
che ha il reddito più basso hanno soltanto due possibilità
su tre di andare in prima elementare. Se ci arrivano, le loro possibilità
di completare la scuola dell'obbligo fino alla sesta classe sono
quattro su cento. Per quelli che invece nascono nella terza parte
della popolazione dal reddito medio, queste possibilità salgono
a dodici su cento. Con queste percentuali il Messico fornisce tuttavia
una quantità di istruzione pubblica superiore a quella di
quasi tutte le altre venticinque repubbliche dell' America latina.
I bambini di tutto il mondo sanno che è stata offerta loro
una possibilità, sia pure ineguale, di vincere una lotteria
obbligatoria, e la presunta eguaglianza dello standard internazionale
aggiunge oggi alla loro povertà di partenza un'autodiscriminazione
che chi non va a scuola accetta come un dato di fatto. Essendo stati
educati a credere nelle crescenti aspettative, possono
ora razionalizzare la loro crescente frustrazione fuori della scuola
riconoscendo la propria esclusione dalla grazia scolastica. Sono
tenuti fuori del Paradiso perché, dopo essere stati battezzati,
non sono più andati in chiesa. Nati col peccato originale,
vengono battezzati in prima elementare, ma finiscono nella Geenna
(che in ebraico significa ghetto) per le loro colpe
personali. Come Max Weber ha individuato le conseguenze sociali
della fede che assicurava la salvezza eterna a chi accumulava ricchezze,
così oggi noi possiamo constatare che la grazia è
riservata a chi accumula anni di scuola.
Il regno promesso: l'universalizzazione delle aspettative
La scuola combina le aspettative del consumatore, espresse dalle
sue asserzioni, con la fede del produttore: espressa dal suo rituale.
È la manifestazione liturgica di un culto del cargo
su scala mondiale, che ricorda i culti che si diffusero in Melanesia
negli anni quaranta, i cui seguaci credevano che bastasse mettersi
una cravatta nèra sul torso nudo perché arrivasse
Gesù su un piroscafo a portare a ogni fedele una ghiacciaia,
un paio di pantaloni e una macchina da cucire.
La scuola fonde la crescita nella subordinazione umiliante a un
maestro con la crescita in un futile sentimento d'onnipotenza, tipico
dell'allievo che vuole andare a insegnare a tutte le nazioni la
strada della salvezza. Il rituale è modellato sulla rigida
organizzazione del lavoro nei cantieri edili e il suo fine è
di celebrare il mito di un paradiso terrestre di consumi illimitati,
unica speranza per i dannati e i diseredati.
Epidemie di insaziabili aspettative terrene sono scoppiate di continuo
nel corso della storia, specie tra i colonizzati e gli emarginati
di tutte le culture. Gli ebrei dell'impero romano ebbero i loro
Esseni e i loro messia, i servi della gleba nell'età della
Riforma il loro Thomas Munzer, gli indiani spossessati, dal Paraguay
al Dakota, i loro contagiosi danzatori. Ognuna di queste sette era
guidata da un profeta e limitava le sue promesse a pochi eletti.
Viceversa l'attesa del nuovo regno suscitata dalla scuola non è
profetica ma impersonale, non locale ma universale. Luomo
è diventato il costruttore del proprio messia e promette
l'illimitato premio della scienza a coloro che si assoggettano alla
progressiva edificazione del suo regno.
La nuova alienazione
La scuola non è soltanto la nuova religione universale. È
anche il mercato del lavoro in più rapida espansione che
ci sia oggi nel mondo. La fabbricazione di consumatori è
diventata il principale settore in sviluppo delleconomia.
Nelle nazioni ricche, man mano che diminuiscono i costi di produzione,
si assiste a una crescente concentrazione sia del capitale che del
lavoro nella gigantesca impresa di preparare l'uomo a un consumo
disciplinato. Nell'ultimo decennio gli investimenti di capitale
in rapporto diretto con il sistema scolastico sono aumentati ancor
più rapidamente delle spese per la difesa. Il disarmo non
farebbe che accelerare il processo grazie al quale l'industria dell'apprendimento
sta diventando il centro focale dell'economia. La scuola offre occasioni
illimitate di sprechi legittimi, fin quando non ci si renderà
conto della sua distruttività e continuerà ad aumentare
il costo dei palliativi.
Se aggiungiamo agli insegnanti a tempo pieno i frequentatori a tempo
pieno, ci accorgiamo che questa cosiddetta sovrastruttura è
diventata il maggior datore di lavoro della nostra società.
Negli Stati Uniti ci sono nella scuola sessantadue milioni di persone,
contro ottanta milioni impegnati in altre attività. È
un fatto che viene spesso dimenticato dagli studiosi neomarxisti,
i quali dicono che il processo di descolarizzazione dovrebbe essere
rinviato o accantonato fin quando una rivoluzione economica e politica
non avrà posto rimedio ad altre disfunzioni, ritenute tradizionalmente
più fondamentali. Ma solo considerando la scuola un'industria
si può programmare una strategia rivoluzionaria realistica.
Per Marx il costo di produzione della richiesta di merci aveva un'importanza
trascurabile. Oggi la maggior parte della manodopera umana è
impegnata nel produrre richieste che possano essere soddisfatte
da un'industria a forte intensità di capitale. La massima
parte di questo lavoro viene fatto nella scuola.
Nello schema tradizionale, l'alienazione era una conseguenza diretta
della trasformazione dell'attività lavorativa in lavoro salariato,
che toglieva all'uomo la possibilità di creare e di essere
ricreato. Oggi invece i giovani vengono alienati in partenza dalle
scuole che li isolano mentre pretendono di essere sia produttrici
che consumatrici della propria conoscenza, la quale è concepita
come una merce messa sul mercato nella scuola. La scuola fa dell'alienazione
una preparazione alla vita, togliendo così realtà
all'istruzione e creatività al lavoro. Con l'insegnare la
necessità di assoggettarsi all'insegnamento, prepara all'istituzionalizzazione
alienante della vita. Una volta imparata questa lezione, le persone
perdono l'incentivo a svilupparsi in modo indipendente, non trovano
più niente che le attragga nello stato di reciproca relazione
e si chiudono alle sorprese che la vita offre quando non è
predeterminata dalIa delimitazione istituzionale. E la scuola, direttamente
o indirettamente, impiega una percentuale importante della popolazione.
O tiene con se una persona per tutta la vita o fa in modo che essa
si inserisca saldamente in qualche altra istituzione.
La nuova chiesa universale è l'industria del sapere, che
per un numero crescente di anni fornisce allindividuo sia
l'oppio sia il banco di lavoro. Per questo la descolarizzazione
è la premessa indispensabile di qualunque movimento per la
liberazione dell'uomo.
Il potenziale rivoluzionario della descolarizzazione
Certo la scuola non è affatto l'unica istituzione moderna
che abbia come obiettivo principale quello di modellare la visione
della realtà. Anche i programmi occulti della vita familiare,
del servizio di leva, dell'assistenza sanitaria, delle cosiddette
specializzazioni o dei media hanno un ruolo importante nella manipolazione
istituzionale del mondo dell'uomo: visione, linguaggio e richieste.
Ma la scuola è uno strumento di schiavizzazione più
profondo e sistematico, perchè a essa soltanto si attribuisce
la funzione principale di formare il giudizio critico e, paradossalmente,
essa cerca di svolgere tale funzione facendo dipendere la conoscenza
di se stessi, degli altri e della natura da un processo preconfezionato.
La scuola ci tocca cosi intimamente che nessuno di noi può
sperare di liberarsene con un aiuto esterno.
Sono sue vittime anche molti sedicenti rivoluzionari. Per loro persino
la liberazione deve essere il prodotto di un processo
istituzionale. Solo liberandosi dalla scuola svaniranno simili illusioni.
La scoperta che la maggior parte dell'apprendimento non richiede
un insegnamento non è suscettibile ne di manipolazioni ne
di programmazione. Ognuno di noi è personalmente responsabile
della propria descolarizzazione e soltanto noi abbiamo il potere
di attuarla. Nessuno può essere scusato se non riesce a liberarsi
dalla scuola. Non ci si sarebbe mai potuti liberare dal dominio
della Corona se almeno qualcuno non si fosse liberato dall'idea
della chiesa ufficiale di stato. Cosi non ci si può liberare
dai consumi progressivi se non quando si sarà liberi dalla
scuola dell'obbligo.
Tutti siamo coinvolti nella scuola, dalla parte della produzione
come da quella del consumo. Siamo superstiziosamente convinti che
si possa e si debba produrre in noi un buon apprendimento, e che
noi a nostra volta possiamo riprodurlo in altri. Il tentativo di
staccarci dal concetto di scuola ci farà scoprire le resistenza
che agiscono in noi quando cerchiamo di rinunciare ai consumi illimitati
e al diffuso preconcetto che sia possibile manipolare gli altri
per il loro bene. Perché nel processo scolastico non c'è
nessuno che sia totalmente esente dallo sfruttare il suo prossimo.
La scuola è insieme il più gigantesco e il più
anonimo dei da tori di lavoro. È anzi il miglior esempio
di un nuovo tipo d'impresa che succede alla corporazione, alla fabbrica
e alla società anonima. Alle anonime plurinazionali che hanno
dominato l'economia già oggi si affiancano - e forse un giorno
ne prenderanno il posto - organizzazioni per la distribuzione di
servizi pianificate su scala supernazionale. Queste imprese presentano
i loro servizi in modo che tutti si sentano obbligati a consumarli.
Sono standardizzate a livello internazionale e idefiniscono periodicamente
il valore del loro servizi in ogni luogo e al medesimo ritmo.
I trasporti affidati a nuovi tipi di automobili e a
nuove grandi autostrade soddisfano lo stesso bisogno predisposto
istituzionalmente (di comodità, prestigio, velocità
e accessori speciali), siano o no le loro componenti prodotte dallo
stato. Lapparato della assistenza sanitaria stabilisce
una concezione particolare della salute, indipendentemente dal fatto
che questo servizio sia pagato dallo stato o dall'individuo. La
scala delle promozioni per arrivare al diploma prepara lo studente
a occupare un certo posto sulla stessa piramide internazionale della
manodopera qualificata, comunque sia diretta la sua scuola.
In tutti questi casi l'impiego è una componente occulta:
il guidatore di un'automobile privata, il paziente che si fa ricoverare
in ospedale o l'allievo nellaula scolastica devono oggi essere
considerati membri di una nuova classe di impiegati.
Un movimento di liberazione che partisse dalla scuola, e si fondasse
sulla consapevolezza da parte degli insegnanti e degli allievi di
essere contemporaneamente sfruttatori e sfruttati, potrebbe preannunciare
le strategie rivoluzionarie del futuro; un programma radicale di
descolarizzazione potrebbe infatti preparare i giovani alla rivoluzione
di tipo nuovo, necessaria per combattere un sistema sociale caratterizzato
dall'obbligatorietà della salute, della ricchezza
e della sicurezza.
I rischi di una rivolta contro la scuola sono imprevedibili, ma
non sono certo spaventosi come quelli di una rivoluzione scatenata
in qualunque altra istituzione importante. La scuola non ha ancora
organizzato la propria dIfesa con la stessa efficienza di uno stato
nazionale o anche di una grande azienda. La liberazione dall'oppressione
scolastica potrebbe avvenire in modo incruento. Il funzionario addetto
a far rispettare l'obbligo scolastico e i suoi alleati in tribunale
e negli uffici di collocamento hanno armi per attuare crudeli provvedimenti
contro il singolo contravventore, specialmente se è povero,
ma potrebbero rivelarsi impotenti contro l'erompere di un movimento
di massa.
La scuola è diventata un problema sociale; viene attaccata
da ogni parte, e in tutto il mondo cittadini e governi sollecitano
esperimenti fuori delle convenzioni. Per conservare la fede e salvare
la faccia devono persino ricorrere a insoliti accorgimenti statistici.
Lo stato d'animo di certi educatori assomiglia molto a quello dei
vescovi cattolici dopo il Concilio Vaticano II. I programmi delle
cosiddette scuole libere ricordano la liturgia delle
messe folk e rock. Le richieste degli studenti medi di poter dire
la loro nella scelta degli insegnanti sono assordanti come quelle
dei parrocchiani che chiedono di scegliere i propri pastori. Ma
se una minoranza significante perdesse la propria fede nella scolarizzazione,
la posta in gioco per la società sarebbe molto più
alta. Diverrebbe pericolante non solo l'ordine economico costruito
sulla coproduzione di merci e richieste, ma anche l'ordine politico
eretto sullo stato nazionale nel quale la scuola sforna i suoi studenti.
La scelta cui ci troviamo di fronte è abbastanza chiara.
O continuiamo a credere che l'apprendimento istituzionalizzato sia
un prodotto che giustifica un investimento illimitato, oppure riscopriamo
che la legislazione, la pianificazione e gli investimenti, ammesso
che debbano avere un posto nell'istruzione formale, dovrebbero servire
soprattutto ad abbattere quelle barriere che ostacolano oggi le
possibilità d'apprendimento, un'attività questa che
può essere esclusivamente di carattere personale.
Se non combattiamo il postulato secondo cui la conoscenza valida
è una merce che in certe circostanze può essere imposta
al consumatore, la società sarà sempre più
dominata da sinistre pseudoscuole e da manager totalitari dell'informazione.
I terapeuti della pedagogia drogheranno sempre più i propri
allievi per insegnare meglio e gli studenti a loro volta si drogheranno
con sempre maggiore intensità per concedersi un attimo di
sollievo dalle pressioni degli insegnanti e dalla corsa al diploma.
Una massa di burocrati in continuo aumento si arrogherà il
diritto di atteggiarsi a insegnante. Il linguaggio delluomo
di scuola è già stato cooptato dal pubblicitario.
E ora il generale e il poliziotto cercano di dar lustro alle loro
professioni mascherandosi da educatori.
In una società scolarizzata trovano una giustificazione i
didattica persino la guerra e la repressione civile. Le guerre pedagogiche
tipo Vietnam saranno sempre più accettate come l'unico modo
per insegnare alla gente il valore supremo del progresso illimitato.
La repressione verrà considerata uno sforzo missionario per
affrettare lavvento del Messia meccanico. Un numero sempre
maggiore di paesi farà ricorso a quelle torture pedagogiche
che già vengono impiegate in Brasile e in Grecia. Sono torture
che non vengono inferte per estorcere informazioni o per soddisfare
le necessità psichiche dei sadici, ma si servono del terrore
scatenato a caso per infrangere l'integrità di un'intera
popolazione e trasformarla in materia malleabile dagli insegnamenti
inventati dai tecnocrati. La natura totalmente distruttiva e costantemente
progressiva dellistruzione obbligatoria arriverà così
al suo coronamento logico, a meno che non cominciamo sin d'ora a
liberarci dalla nostra arroganza pedagogica e dalla convinzione
che l'uomo possa fare ciò che non è possibile a Dio,
e cioè manipolare gli altri per la loro salvezza.
Molti si stanno ora accorgendo della distruzione inesorabile cui
le attuali tendenze della produzione condannano l'ambiente naturale,
ma il potere dei singoli individui di modificare queste tendenze
è assai limitato. Anche la manipolazione degli uomini e delle
donne, iniziata nella scuola, ha ormai raggiunto un punto di irreversibilità,
ma la maggior parte della gente non se n'è ancora accorta
e continua a sollecitare la riforma della scuola, nello stesso modo
in cui Henry Ford III propone automobili meno inquinanti.
Daniel Bell dice che la nostra epoca è caratterizzata da
un distacco totale tra le strutture culturali e sociali le prime
impegnate ad assumere atteggiamenti apocalittici, le seconde a prendere
decisioni tecnocratiche. Questo discorso vale certamente per molti
riformatori dell'istruzione, che nell'intimo sono costretti a condannare
quasi tutto ciò che caratterizza la scuola moderna
e tuttavia propongono nuove scuole.
In La struttura della rivoluzione scientifica, Thomas Kuhn sostiene
che una tale dissonanza precede inevitabilmente l'apparizione di
un nuovo modello conoscitivo.
I fatti riferiti da coloro che avevano osservato la libera caduta
dei gravi o che erano tornati dall'altra faccia della terra o che
si servivano dei nuovi telescopi non corrispondevano alla visione
del mondo tolemaica. E quindi, quasi all'improvviso, venne accettato
il modello newtoniano. La dissonanza che caratterizza molti giovani
d'oggi non è tanto un fatto conoscitivo quanto una questione
d'atteggiamento, la sensazione di ciò che una società
sopportabile non può essere. La cosa veramente sorprendente
di questa dissonanza è che un grandissimo numero di persone
riesce a tollerarla.
Questa capacità di perseguire obiettivi assurdi esige una
spiegazione. Max Gluckman dice che tutte le società hanno
propri metodi per nascondere simili dissonanze ai loro membri, e
ipotizza che sia proprio questa la funzione del rituale. I rituali
infatti possono celare a chi vi partecipa persino le discrepanze
e i conflitti tra i principi e l'organizzazione della società.
Fin quando un individuo non sia esplicitamente consapevole della
natura rituale del processo mediante il quale egli viene iniziato
alle forze che regolano il suo cosmo, non gli è possibile
spezzare l'incantesimo e foggiare un cosmo nuovo. Fin quando non
ci renderemo conto del rituale con il quale la scuola plasma il
consumatore progressivo risorsa numero uno dell'economia
- non potremo nè spezzare lincantesimo di questa economia
nè foggiarne una nuova.
IV - LO SPETTRO ISTITUZIONALE
Quasi tutti i piani utopistici e gli scenari avveniristici richiedono
tecnologie nuove e costose, da imporre alle nazioni ricche come
a quelle povere. Herman Kahn ha trovato discepoli in Venezuela,
in Argentina e in Colombia. Il sogno a occhi aperti di Sergio Bernardes
per il suo Brasile dell'anno 2000 luccica di nuovi macchinari più
numerosi di quelli esistenti oggi negli Stati Uniti, che a quella
data saranno soffocati dagli antiquati impianti missilistici, aeroporti
per jet e insediamenti urbani degli anni sessanta e settanta. Gli
avveniristi che si rifanno a Buckminster Fuller puntano invece su
congegni meno costosi e più esotici. Essi pensano che finirà
per imporsi una nuova, ma possibile, tecnologia che dovrebbe permetterci
di fare di più con meno: leggerissime monorotaie anziché
trasporti supersonici, abitazioni estese verticalmente anziché
sparse orizzontalmente. Tutti i futurologi d'oggi cercano di rendere
economicamente attuabile ciò che è tecnicamente possibile,
ma nello stesso tempo si rifiutano di affrontarne l'inevitabile
conseguenza sociale: l'accresciuta bramosia di tutti gli uomini
per beni e servizi che rimarranno privilegio di pochi.
Io credo invece che, se vogliamo un futuro desiderabile, dovremo
scegliete decisamente una vita d'azione anzichè una vita
di consumi, dovremo inventare una maniera di vivere che ci consenta
di essere spontanei, indipendenti e tuttavia in stretto rapporto
con gli altri, e non continuare in questo tipo d'esistenza che ci
permette soltanto di fare e disfare, di produrre e consumare - un
tipo d'esistenza che è una semplice stazione intermedia nel
cammino verso il depauperamento e l'inquinamento dell'ambiente.
Il futuro dipende dalla nostra capacità di scegliere istituzioni
che favoriscano una vita attiva, più che dall'elaborazione
di nuove ideologie o tecnologie. Abbiamo bisogno sia di parametri
che ci permettano di individuare le istituzioni foriere di sviluppo
personale anziché di intossicazione, sia della volontà
di investire preferenzialmente le nostre risorse tecnologiche in
queste istituzioni che favoriscono lo sviluppo.
La scelta è tra due tipi istituzionali radicalmente opposti,
esemplificati entrambi da certe istituzioni oggi esistenti, anche
se l'uno dei due caratterizza l'epoca contemporanea al punto da
potere quasi definirla. Propongo di chiamare questo tipo dominante
istituzione manipolatrice. Anche l'altro tipo esiste, ma solo in
modo precario; le istituzioni che vi si adeguano sono più
modeste e meno in vista, ma io le prendo egualmente a modello di
un futuro più auspicabile. Le chiamo conviviali
e propongo di collocarle alla sinistra dello spettro istituzionale,
sia per evidenziare le istituzioni che costituiscono una via di
mezzo tra i due estremi, sia per illustrare come certe istituzioni
storiche possano cambiar colore mano mano che passino dal facilitare
una vita attiva allorganizzare una produzione.
In genere una classificazione di questo tipo, da sinistra a destra,
viene usata per caratterizzare gli uomini e le loro ideologie, non
le istituzioni sociali e il loro comportamento. E questa caratterizzazione
degli uomini, come individui o a gruppi, serve spesso più
a generare polemiche che a illuminare la realtà. Usare una
diffusa convenzione in un contesto insolito è un procedimento
discutibile, ma così facendo io spero di spostare i termini
della discussione da un terreno sterile a un terreno fecondo. Diventerà
allora evidente che gli uomini di sinistra non sono necessariamente
caratterizzati dall'opposizione alle istituzioni manipolatrici,
che io colloco sulla destra dello spettro.
È in questa zona che si stipano le istituzioni moderne più
potenti. Vi si è spostata quella per il mantenimento dell'ordine,
da quando negli Stati Uniti è passata dalle mani dello sceriffo
a quelle dellFBI e del Pentagono. La guerra moderna è
diventata anch'essa un'impresa altamente professionistica, la cui
attività è il massacro. E arrivata al punto
che la sua efficienza si misura con il conteggio dei cadaveri.
La sua potenziale idoneità a mantenere la pace dipende dalla
sua capacita di convincere amici e nemici dell'illimitata potenza
distruttiva della nazione. I proiettili e le armi chimiche moderne
sono talmente efficaci che basta una spesa di poche lire per avere
la garanzia di uccidere o mutilare, a patto beninteso di poter raggiungere
il cliente designato. In compenso aumentano vertiginosamente
i costi di distribuzione: la spesa media per ogni vietnamita ucciso
è salita dai 360.000 dollari del 1967 ai 450.000 del 1969.
Soltanto un'economia al limite del suicidio della specie potrebbe
rendere economicamente efficiente la guerra moderna. Il suo effetto
di boomerang diventa sempre più palese: quanto più
alto è il conto dei vietnamiti uccisi, tanto più aumentano
i nemici degli Stati Uniti nel mondo; non solo ma tanto più
devono spendere gli Stati Uniti per creare - sotto la cinica etichetta
di pacificazione un'ennesima istituzione manipolatrice,
in un vano tentativo di neutralizzare le conseguenze indirette della
guerra.
Alla stessa estremità dello spettro troviamo inoltre le organizzazioni
sociali specializzate nella manipolazione dei loro clienti. Anch'esse,
come le forze armate man mano che aumenta la portata delle loro
operazioni, tendono a produrre effetti contrari agli obiettivi che
si prefiggono. Sono cioè altrettanto controproducenti anche
se in modo meno ovvio. Molte di loro, per mascherare questo effetto
paradossale, si presentano come istituzioni misericordiose e terapeutiche.
Le prigioni, per esempio, fino a due secoli fa, servivano a custodire
uomini in attesa di essere condannati, mutilati, uccisi o esiliati,
e a volte erano scientemente usate come strumenti di tortura. E
solo di recente che si è cominciato a sostenere che chiudere
un uomo in gabbia ha conseguenze benefiche sul suo carattere e sul
suo comportamento. Ora però qualcuno comincia a rendersi
conto che il carcere aumenta sia la pericolosità sia la quantità
dei criminali, che anzi spesso trasforma in criminali individui
che sono soltanto dei nonconformisti. Sono tuttavia assai meno numerosi
quanti sembrano aver capito che in realtà anche i manicomi,
gli ospizi e gli orfanotrofi danno sostanzialmente lo stesso risultato.
Queste istituzioni infatti suscitano nei loro clienti un'immagine
distruttiva di se stessi - quella dello psicopatico, del vecchio
inutile o del trovatello e forniscono una giustificazione
razionale all'esistenza di intere professioni, nello stesso modo
in cui le prigioni producono un reddito per i secondini. Si entra
a far parte delle istituzioni collocate a questa estremità
e o spettro in due maniere, entrambe coercitive: per detenzione
forzata o per servizio di leva.
Allestremo opposto dello spettro ci sono le istituzioni caratterizzate
dal fatto che si ricorre ad esse per scelta spontanea, quelle che
noi abbiamo battezzato conviviali. Non occorrono particolari
metodi di vendita, più o meno aggressivi, per convincere
i clienti a servirsi dei telefoni, delle linee metropolitane, della
posta, dei mercati pubblici e della borsa. E anche le fogne, l'acqua
potabile, i parchi e i marciapiedi sono istituzioni di cui gli uomini
si servono senza che sia necessario convincerli con strumenti istituzionali
che ciò è nel loro interesse. Naturalmente, tutte
le istituzioni richiedono una forma di regolamento; ma il funzionamento
di quelle che esistono perché le si usi e non per produrre
qualcosa esige tegole di tipo completamente diverso da quelle richieste
dalle istituzioni manipolatrici. Il loro obiettivo principale sarà
quello di evitare gli abusi che impedirebbero la piena accessibilità
generale alle istituzioni stesse. I marciapiedi devono essere tenuti
sgombri, l'uso industriale dell'acqua potabile deve essere limitato
e giocare a palla deve essere permesso solo in certe zone particolari
di un parco. Al momento abbiamo bisogno di leggi che limitino l'abuso
delle nostre linee telefoniche da parte dei computer, del servizio
postale da parte della pubblicità, nonché linquinamento
delle condotte con i rifiuti industriali. I regolamenti delle istituzioni
conviviali si limitano a porre delle restrizioni al loro uso; man
mano che si passa dal settore conviviale dello spettro a quello
manipolativo, le regole richiedono sempre di più un consumo
o una partecipazione imposti alla nostra volontà. La differenza
di costo nell'acquisizione dei clienti è appunto una delle
caratteristiche che distinguono le istituzioni conviviali dalle
manipolatrici.
Alle due estremità dello spettro troviamo delle istituzioni-servizi,
ma a destra il servizio è una manipolazione imposta e il
cliente è vittima della pubblicità, dell'aggressione,
dell'addottrinamento, dell'incarcerazione o dell'elettroshock, mentre
a sinistra il servizio è una possibilità allargata,
offerta entro limiti esplicitamente definiti, e il cliente rimane
libero delle proprie azioni. Le istituzioni di destra sono in genere
processi di produzione assai complessi e costosi, nei quali gran
parte dell'elaborazione e dei costi serve a convincere i consumatori
che non si può vivere senza il prodotto o il trattamento
offerti da quella data istituzione. Le istituzioni di sinistra sono
invece di solito delle reti per facilitare una comunicazione o una
cooperazione nate dall'iniziativa dei clienti. Le istituzioni manipolatrici
di destra producono assuefazione sul piano sociale o psicologico.
Lassuefazione sociale, o escalation, consiste nella tendenza
a prescrivere dosi maggiori di un determinato trattamento quando
quantità più piccole non hanno ottenuto i risultati
voluti. Lassuefazione psicologica, o abitudine, si ha invece
quando i consumatori diventano schiavi della necessità di
dosi sempre maggiori di un processo o di un prodotto. Le istituzioni
di sinistra, che si attivano per iniziativa autonoma degli utenti,
tendono invece ad autolimitarsi. A differenza dei processi di produzione
che identificano la soddisfazione con il mero atto del consumo,
queste reti adempiono uno scopo che va oltre il loro uso ripetuto.
Un individuo prende il telefono quando vuol dire qualcosa a qualcun
altro, e riattacca una volta finita la comunicazione desiderata:
se non è un adolescente, non se ne serve insomma per il solo
piacere di parlare nel ricevitore. E quando il telefono non è
il modo migliore di mettersi in contatto, si scrive una lettera
o si fa un viaggio. Le istituzioni di destra, invece, come vediamo
chiaramente nel caso delle scuole, impongono obbligatoriamente un
uso ripetitivo, e nello stesso boicottano i modi alternativi per
raggiungere risultati analoghi.
Sul versante di sinistra dello spettro istituzionale, ma non proprio
all'estrema, possiamo collocare le imprese che sono in concorrenza
con altre nel loro campo ma non si sono ancora impegnate a fondo
nella pubblicità. Troviamo cioè le piccole lavanderie,
le panetterie, i parrucchieri, e - passando al settore professionale
- certi avvocati e insegnanti di musica. Tipicamente di centro-sinistra
sono dunque quelle persone che lavorano in proprio e che hanno istituzionalizzato
i loro servizi ma non la loro pubblicità. Si fanno una clientela
con i contatti personali e con la qualità relativa di
ciò che offrono.
Gli alberghi e le tavole calde sono un po' più vicini al
centro. Le grandi catene alberghiere tipo Hilton - che spendono
somme enormi per imporre la propria immagine - si comportano
spesso come vere e proprie istituzioni di destra; eppure di
solito gli Hilton e gli Sheraton non offrono niente di più
- anzi, danno spesso di meno - degli alberghi a gestione autonoma
che praticano gli stessi prezzi. Sostanzialmente l'insegna di un
albergo chiama il viaggiatore alla maniera di un cartello stradale.
Dice: Fermati, qui c'è un letto per te! e non
Dovresti preferire un letto d'albergo a una panchina del parco!.
I produttori di materie prime e di beni di consumo particolarmente
deteriorabili si collocano al centro del nostro spettro. Essi soddisfano
richieste generiche e aggiungono ai costi di produzione e di
distribuzione quel tanto di costi pubblicitari sopportabili dal
mercato per farsi conoscere e per imballaggi speciali. Quanto più
un prodotto - merce o servizio - è essenziale, tanto più
la concorrenza tende a limitare il costo di vendita dell'articolo.
Quasi tutti i fabbricanti di beni di consumo si sono spostati molto
più a destra. Direttamente e indirettamente, producono infatti
richieste di accessori che gonfiano gli effettivi prezzi d'acquisto
a dimensioni di gran lunga superiori al costo di produzione. La
General Motors e la Ford producono mezzi di trasporto, ma manipolano
anche, e soprattutto, il gusto del pubblico in modo che il bisogno
di trasporti si esprima come richiesta di automobili private anziché
di autobus pubblici. Vendono cioè il desiderio di guidare
una macchina, di correre ad alta velocità il più comodamente
e il più lussuosamente possibile, e fanno balenare l'attuazione
delle fantasie più sfrenate al termine del percorso. Non
si limitano però a vendere macchine inutilmente grandi, aggeggi
superflui o i nuovi accessori che gli sono stati imposti da Ralph
Nader e dai predicatori dell'aria pulita. Il prezzo di listino comprende
motori truccati, impianti per l'aria condizionata, cinture di sicurezza,
filtri per gli scappamenti, ma tiene conto anche di altri costi
non esplicitamente dichiarati al cliente: le spese pubblicitarie
generali della società, quelle dell'organizzazione di vendita,
per il carburante, la manutenzione e i pezzi di ricambio, l'assicurazione,
l'interesse sul credito, nonché costi meno tangibili come
la perdita di tempo, il logorio dei nervi e l'aria irrespirabile
delle nostre città congestionate dal traffico.
Un corollario particolarmente interessante di questo discorso sulle
istituzioni socialmente utili è la rete delle autostrade
pubbliche. Questo fattore importantissimo del costo
totale delle automobili merita di essere esaminato più dettagliatamente,
perché introduce direttamente all'istituzione di destra che
più mi interessa, cioè alla scuola.
Pseudoservizi pubblici
Il sistema autostradale è una rete destinata alla locomozione
su distanze relativamente grandi. Trattandosi d'una rete, dovrebbe
appartenere alla sinistra dello spettro istituzionale. Ma a questo
punto dobbiamo fare una distinzione, per chiarire sia la natura
delle autostrade, sia quella degli autentici servizi pubblici. Veri
servizi pubblici sono le strade aperte a tutti. Le autostrade sono
invece riserve private, il cui costo è stato in parte addossato
alla collettività.
I telefoni, le poste e il sistema autostradale sono tutti delle
reti, e nessuna di esse è gratuita. L'accesso alla rete telefonica
è limitato dal costo per unità di ogni chiamata. Le
tariffe sono relativamente basse e potrebbero anche essere ridotte
senza mutare la natura del sistema. L'utilizzazione della rete
telefonica non è assolutamente condizionata da ciò
che si trasmette, anche se l'utilizza meglio chi sa pronunciare
frasi coerenti nella stessa lingua della controparte, capacità
peraltro comune a tutti quelli che vogliono far uso di questa rete.
Le porte sono di solito a buon mercato. Il loro uso è
leggermente limitato dal prezzo della carta e penna e un pochino
di più dalla necessità di saper scrivere; tuttavia
il sistema postale è anche al servizio di chi non sa scrivere,
se costui ha un parente o un amico cui dettare una lettera o se
vuole spedire un nastro registrato.
Il sistema autostradale non è invece egualmente a disposizione
di chi ha semplicemente imparato a guidare. Le reti telefoniche
e postali sono al servizio di chi vuole utilizzarle, mentre il sistema
autostradale è soprattutto un accessorio dell'automobile
privata. Le prime sono autentici servizi pubblici, mentre il
secondo è un servizio soltanto per i possessori di auto,
camion e pullman.
I servizi pubblici esistono per favorire le comunicazioni tra gli
uomini; le autostrade, come le altre istituzioni di destra, esistono
per favorire un prodotto. I fabbricanti d'auto, lo abbiamo
già notato, producono contemporaneamente macchine e
richiesta di macchine. Producono anche la richiesta di autostrade
a più corsie, ponti e impianti petroliferi. L'automobile
privata è il nucleo intorno a cui si aggrega una massa di
istituzioni di destra. L'alto costo di ciascun elemento è
determinato dall'elaborazione del prodotto-base, e vendere il prodotto-base
significa agganciare la società all'intero pacco
di prodotti.
Programmare un sistema autostradale che fosse un vero servizio pubblico
significherebbe operare una discriminazione a svantaggio di
coloro che ritengono la velocità e la comodità individuale
i valori primari di un sistema di trasporto, e a favore di chi attribuisce
importanza maggiore alla fluidità e alla destinazione.
È la differenza che esiste tra una rete largamente ramificata
che offra il massimo accesso possibile ai viaggiatori e una rete
che permette, ai soli privilegiati, di accedere a determinate
aree esclusive.
Lapplicazione di un 'istituzione moderna ai paesi in via di
sviluppo fa da cartina di tornasole delle sue qualità.
Nei paesi molto poveri le strade di solito permettono soltanto
il transito di speciali camion con assali elevati, carichi
di derrate, bestiame o persone. Questi paesi dovrebbero destinare
le loro limitate risorse alla costruzione di una ragnatela
di piste estesa a tutte le regioni e importare esclusivamente due
o tre diversi modelli di veicoli molto resistenti e capaci di percorrere
a bassa velocità tutte queste piste. Ciò semplificherebbe
la manutenzione e la scorta dei pezzi di ricambio, permetterebbe
di utilizzare a tempo pieno questi veicoli e garantirebbe a tutti
i cittadini la massima mobilità e la libera scelta della
destinazione. accorrerebbero per questo veicoli tuttofare, tecnicamente
semplici come il modello T, costruiti con le leghe più
moderne per assicurarne la durata intrinsecamente vincolati
a una velocità massima non superiore a trenta chilometri
orari, e tanto solidi da poter viaggiare sui fondi più impervi.
Ora veicoli del genere non sono disponibili sul mercato, perché
non ce n'è richiesta. Di fatto, tale richiesta dovrebbe essere
promossa, magari con l'aiuto di una rigorosa legislazione. Al momento,
però, ogni volta che una simile richiesta riesce a far sentire,
sia pure debolmente, la propria voce viene subito soffocata da una
pubblicità in senso opposto intesa a vendere universalmente
quelle stesse macchine che oggi estorcono ai contribuenti americani
il denaro necessario alla costruzione delle autostrade.
Per migliorare i trasporti, oggi tutti i paesi, compresi
i più poveri, progettano reti autostradali concepite per
le automobili d'uso privato e glI autotreni più veloci,
le quali vanno bene per quella minoranza di produttori e consumatori
delle classi privilegiate che vogliono soprattutto la velocità.
Spesso si giustifica questa impostazione sostenendo che fa risparmiare
le risorse più preziose di un paese povero: il tempo del
medico, dell'ispettore scolastico o del pubblico funzionario.
Ma naturalmente tutte queste persone sono quasi esclusivamente
al servizio di chi già possiede un'automobile o spera di
potersela un giorno permettere. Il gettito delle imposte locali
e del magro scambio internazionale viene così sprecato in
pseudoservizi pubblici.
La tecnologia moderna trapiantata nei paesi poveri ricade
in tre grandi categorie: merci, fabbriche che le producono e istituzioni-servizi
- prime fra tutte le scuole - che trasformano gli uomini in produttori
e consumatori moderni. La maggioranza dei paesi destina alla scuola
la quota di gran lunga maggiore dei propri bilanci. Dopo di che
i laureati prodotti dalla scuola creano una richiesta di altri servizi
cospicui, come un apparato industriale, autostrade asfaltate, ospedali
moderni e aeroporti, i quali a loro volta creano un mercato per
le merci fabbricate per i paesi ricchi e, dopo un po', la tendenza
a importare stabilimenti antiquati per produrle in luogo.
Tra tutti gli pseudoservizi pubblici, la scuola è
il più insidioso. Le reti autostradali producono soltanto
una richiesta di automobili. La scuola crea una richiesta dell'intera
gamma di istituzioni moderne che affollano il settore destro dello
spettro. Chi mettesse in dubbio la necessità delle autostrade
verrebbe considerato un romantico inguaribile; chi mette in dubbio
la necessità delle scuole viene subito accusato di essere
un insensibile o un imperialista.
Le scuole come pseudoservizi pubblici
Come le autostrade, anche le scuole danno a prima vista l'impressione
di essere egualmente aperte a tutti. Di fatto lo sono soltanto a chi
rinnova continuamente le proprie credenziali. E come le autostrade
fanno credere che l'attuale livello dei loro costi annui sia indispensabile
per la mobilità della gente, così le scuole sono ritenute
essenziali per l'acquisizione della competenza richiesta da una società
che fa uso della tecnologia moderna. Abbiamo denunciato la natura
di falso servizio pubblico delle reti autostradali sottolineando la
loro dipendenza dall'automobile privata. Ora, le scuole sono basate
sul presupposto altrettanto falso che l'apprendimento sia il risultato
di un insegnamento programmatico.
Le autostrade nascono da una perversione del desiderio e del bisogno
di muoversi, trasformati in richiesta di macchine private. Nello stesso
modo le scuole pervertono l'inclinazione naturale a crescere e a imparare,
trasformandola in richiesta di istruzione. Questa richiesta di una
maturità fabbricata in serie costituisce una rinuncia all'attività
autonoma assai più grave che non la richiesta di prodotti fabbricati
in serie. Le scuole non sono soltanto a destra delle autostrade e
delle automobili, ma si collocano vicino al punto estremo dello spettro
istituzionale occupato dalle istituzioni totali. Persino i produttori
di conteggi dei cadaveri si limitano a uccidere dei corpi, mentre
la scuola, facendo abdicare gli uomini alla responsabilità
del proprio sviluppo, ne conduce molti a una sorta di suicidio spirituale.
Le autostrade vengono pagate in parte da coloro che se ne servono,
dato che i pedaggi e le imposte sulla benzina escono dalle tasche
dei soli automobilisti. La scuola invece è un esempio perfetto
di tassazione regressiva, con i laureati privilegiati che cavalcano
in groppa all'intero pubblico pagante. La scuola mette una taglia
sulla promozione. Il sottoconsumo in chilometri d'autostrada non è
all'incirca tanto costoso quanto il sottoconsumo in anni di scuola.
A Los Angeles chi non possieda una macchina può essere quasi
ridotto all'immobilità, ma se riesce in qualche modo a raggiungere
un luogo di lavoro può trovare e conservare un impiego. Per
chi ha abbandonato la scuola non esistono invece alternative. Labitante
dei quartieri residenziali suburbani con la Lincoln nuova fiammante,
e il suo cugino campagnolo che guida un vecchio catenaccio ammaccato,
sfruttano sostanzialmente l'autostrada nella stessa misura, anche
se l'automobile del primo costa trenta volte più dell'altra,
mentre invece il valore dell'esperienza scolastica di un uomo è
determinato dal numero di anni portati a termine e dal costo delle
scuole frequentate. La legge non costringe nessuno a guidare, mentre
obbliga tutti ad andare a scuola.
L'analisi delle istituzioni secondo la loro attuale collocazione su
un arco da sinistra a destra mi permette di precisare la mia convinzione
che un cambiamento radicale della società debba partire da
un atteggiamento diverso nei confronti delle istituzioni e di spiegare
perché le dimensioni di un futuro nel quale valga la pena vivere
dipendano dal ringiovanimento del modo di operare delle istituzioni
stesse.
Durante lo scorso decennio, istituzioni nate in periodi diversi dopo
la rivoluzione francese hanno raggiunto simultaneamente la vecchiaia:
i sistemi scolastici pubblici istituiti ai tempi di Jefferson o di
Ataturk come quelli sorti dopo la seconda guerra mondiale sono diventati
egualmente burocratici, fini a se stessi e manipolatori. Lo stesso
è accaduto ai sistemi di assistenza sociale ai sindacati, alle
principali chiese, ai servizi diplomatici e alla sistemazione dei
vecchi e dei defunti.
Oggi, per esempio, i sistemi scolastici della Colombia, dell'lnghilterra,
dell'URSS e degli Stati Uniti si assomigliano più di quanto
le scuole americane del 1890 assomigliassero a quelle di oggi o a
quelle che c'erano allora in Russia. Oggi infatti tutte le scuole
sono obbligatorie, illimitate nel tempo, competitive. La stessa convergenza
nel modo d'operare dell'istituzione si verifica anche nell'assistenza
sanitaria, nei commerci, nell'amministrazione del personale e nella
vita politica. Tutti questi processi istituzionali tendono ad ammucchiarsi
all'estremità manipolatrice del nostro spettro.
Da questa convergenza delle istituzioni deriva un amalgamarsi delle
varie burocrazie mondiali. Il funzionamento, i sistemi di valutazione
e gli stessi accessori (dai libri di testo ai computer) sono modellati
sugli esempi dell'Europa occidentale anche dalle commissioni per la
programmazione dell'Afghanistan o di Costarica. Dappertutto queste
burocrazie sembrano concentrarsi su un unico compito: promuovere l'espansione
delle istituzioni di destra. Si preoccupano cioè di fabbricare
oggetti, di fabbricare regole rituali, e di fabbricare - e aggiornare
- verità ufficiali, l'ideologia o l'autorità
che stabilisce il valore corrente da attribuire alloro prodotto. La
tecnologia fornisce a queste burocrazie un crescente potere sul settore
destro della società. Il settore di sinistra sembra atrofizzarsi,
non perché la tecnologia sia meno capace di accrescere la portata
dell'azione umana o di lasciare spazio al gioco dell'immaginazione
individuale e della creatività personale, ma perché
un'utilizzazione della tecnologia in questo senso non aumenterebbe
il potere dell'elite che l'amministra. Il ricevitore postale non ha
alcun controllo sull'utilizzazione pratica della posta, il centralinista
o il funzionario della società dei telefoni non ha il potere
di impedire che, mediante la loro rete, si progettino adulteri, omicidi
o atti di sovversione.
Nella scelta tra destra e sinistra istituzionale quella che è
in gioco è la natura stessa della vita umana. Luomo deve
decidere se vuoI essere ricco di cose o di libertà di servirsene.
Deve scegliere tra due opposti modi di vivere e tra le relative tabelle
di produzione.
Già Aristotele aveva scoperto che fabbricare e agire
sono due cose diverse, al punto che l'una non comprende mai l'altra.
Infatti ne agire è un modo di fabbricare, ne fabbricare
è un modo di agire veramente.
Larchitettura (techne) è un modo di fabbricare... di
dar vita a qualcosa la cui origine è in chi la fabbrica e non
nella cosa. La fabbricazione ha sempre un fine altro da se l'azione
no: una buona azione infatti ha come fine se stessa. La perfezione
nel fabbricare è un'arte, quella nell'agire una virtù.
La parola che Aristotele adopera per definire la fabbricazione è
poesis, quella per definire l'azione è praxis. Uno spostamento
a destra significa che un'istituzione è in via di ristrutturazione
per aumentare la sua capacità di fabbricare, mentre
quando essa si sposta a sinistra significa che la ristrutturazione
ha come fine lincremento della azione o praxis.
La tecnologia moderna ha accresciuto le possibilità dell'uomo
di cedere la fabbricazione delle cose alle macchine, e
il suo tempo potenzialmente disponibile per l'azione è
aumentato. La fabbricazione dei generi di prima necessità
non occupa più tutte le sue ore. Il risultato di questa modernizzazione
è la disoccupazione: è l'ozio dell'uomo che non ha niente
da fabbricare e che non sa cosa fare, cioè
come agire. La disoccupazione è l'ozio triste di
chi crede, contrariamente ad Aristotele, che fabbricare cose o lavorare
sia virtù e l'ozio sia un male. La disoccupazione è
l'esperienza dell'uomo che si è arreso all'etica protestante.
Secondo Weber, il tempo libero è necessario all'uomo per poter
lavorare. Secondo Aristotele, il lavoro è necessario all'uomo
per poter avere del tempo libero.
La tecnologia mette a disposizione dell'uomo un tempo che egli può
riempire, a sua discrezione, fabbricando o agendo. Allintera
cultura si offre oggi di scegliere tra la tristezza della disoccupazione
e la gioia del tempo libero. La scelta dipende da come la cultura
fa funzionare le proprie istituzioni. È una scelta che sarebbe
stata impensabile in una cultura antica basata sull'agricoltura contadina
o sulla schiavitù, ma che è diventata inevitabile per
l'uomo postindustriale.
Uno dei modi per riempire il tempo disponibile consiste nello stimolare
una maggiore richiesta di consumo di merci e, insieme, di produzione
di servizi. La prima comporta un'economia che fornisca un campionario
sempre crescente di prodotti sempre più nuovi, da fabbricare,
consumare, sprecare e rimettere in ciclo. La seconda comporta il vano
tentativo di fabbricare azioni virtuose tramutandole nei
prodotti di istituzioni-servizi. Ciò porta a identificare
la scuola con l'educazione, l'assistenza medica con la salute, la
partecipazione a uno spettacolo con lo svago, la velocità con
una locomozione efficiente. Questa prima scelta viene oggi chiamata
sviluppo.
Il secondo modo, radicalmente opposto, di riempire il tempo divenuto
libero consiste nella disponibilità di una limitata gamma di
beni più durevoli e nell'accesso a istituzioni che permettano
di aumentare le possibilità e la desiderabilità dell'interazione
umana.
Un'economia fondata su beni durevoli è il contrario esatto
di quella fondata sull'obsolescenza pianificato. Comporta infatti
una limitazione all'elenco del beni. Questi dovrebbero essere tali
da assicurare il massimo delle possibilità di fare
qualcosa servendosi di essi: articoli cioè che ognuno dovrebbe
poter montare, adoperare, riutilizzare e riparare per proprio conto.
A questa lista di beni durevoli, riparabili e riutilizzabili dovrà
accompagnarsi non un aumento dei servizi prodotti dalle istituzioni,
ma una cornice istituzionale che educhi costantemente all'azione,
alla partecipazione e all'autonomia. Il cammino della nostra società
dal presente - dove tutte le istituzioni gravitano verso una burocrazia
postindustriale - al futuro della convivialità postindustriale
- dove l'intensità dell'azione prevarrebbe sulla produzione
- deve partire da un rinnovamento del modo d'operare delle istituzioni-servizi,
e anzitutto da un rinnovamento del sistema educativo, Un avvenire
desiderabile e attuabile dipende insomma dalla nostra volontà
di destinare le nostre capacità tecnologiche allo sviluppo
delle istituzioni conviviali. Nel campo della ricerca pedagogica,
ciò equivale alla richiesta di un capovolgimento delle tendenze
attuali. |