V - COERENZA NELLIRRAZIONALE
lo credo che l'attuale crisi dell'istruzione imponga una revisione
del concetto stesso di scuola pubblica obbligatoria, piuttosto che
dei metodi usati per tradurlo in atto. La percentuale di coloro
che abbandonano la scuola - specie tra gli studenti delle medie
inferiori e tra i maestri elementari - attesta che esiste nella
base l'esigenza di un'impostazione totalmente nuova. Il professionista
della scuola che si considera un insegnante avanzato viene
sempre più spesso attaccato da ogni parte: il movimento per
la scuola libera, confondendo la disciplina con l'addottrinamento,
lo dipinge come un autoritario deleterio; il tecnologo della pedagogia
dimostra rigorosamente le sue insufficienze nel valutare e modificare
il comportamento; e l'amministrazione scolastica per la quale lavoralo
obbliga a inchinarsi sia a Summerhill sia a Skinner, dimostrando
così con evidenza che l'insegnamento obbligatorio non può
essere una professione libera. Non stupisce quindi che la percentuale
degli insegnanti che disertano sia superiore a quella degli studenti.
Limpegno dellAmerica per l'istruzione obbligatoria dei
suoi giovani si rivela oggi altrettanto vano quanto il suo preteso
impegno a una democratizzazione forzosa dei vietnamiti. Le scuole
convenzionali non possono evidentemente farcela. Il movimento per
la scuola libera attira sì gli educatori non conformisti,
ma finisce per appoggiare lideologia dominante della scolarizzazione.
E le promesse dei tecnologi della pedagogia, che dicono di poter
offrire con le loro ricerche - se adeguatamente finanziate - una
sorta di soluzione finale alla resistenza opposta dai giovani all'istruzione
obbligatoria, suonano pretenziose e si rivelano non meno fatue delle
analoghe promesse dei tecnologi militari.
Le critiche rivolte al sistema scolastico americano dai comportamentisti
e dalla nuova leva degli educatori radicali sembrano totalmente
opposte. I primi applicano le loro ricerche in questo campo alla
induzione di un'istruzione autotelica attraverso programmi
comprensivi di apprendimento individualizzato. Il loro atteggiamento
si contrappone alla cooptazione non-direttiva dei giovani in libere
comuni costituite sotto la supervisione di adulti. Tuttavia, in
una prospettiva storica, le due posizioni non sono che manifestazioni
contemporanee degli obiettivi, apparentemente contraddittori ma
in realtà complementari, del sistema scolastico pubblico.
Sin dall'inizi di questo secolo, le scuole sono state infatti protagoniste
sia del controllo sociale sia della libera cooperazione, l'uno e
l'altra al servizio della società migliore concepita
come una struttura corporativa altamente organizzata e funzionante
senza scosse. Sotto l'impatto di un'intensa urbanizzazione, i bambini
divennero una materia prima che solo le scuole potevano plasmare
affinché fosse immessa nella macchina industriale. La politica
progressista e il culto dell'efficienza confluirono nel dare sviluppo
alla scuola pubblica americana. Listruzione professionale
e la scuola media inferiore furono due risultati importanti di questa
ideologia.
Ne consegue dunque che il tentativo di produrre specifiche modificazioni
comportamentali che siano misurabili e attribuibili all'operatore
è solo una faccia della medaglia, l'altra faccia della quale
è la pacificazione della nuova generazione in isole appositamente
costruite, dove sia possibile conquistarla al mondo sognato dagli
anziani. Di questi pacificati allinterno della società
ha dato una bella descrizione Dewey, quando dice che dovremmo fare
di ogni nostra scuola un embrione di vita comunitaria, resa
attiva da tipi di occupazione che riflettano la vita della più
vasta società, e permearla dello spirito dell'arte, della
storia e della scienza. In questa prospettiva storica sarebbe
un grosso errore considerare l'attuale contrasto a tre voci tra
sistema scolastico tecnologi della pedagogia e scuole libere come
il preludio di una rivoluzione pedagogica. Esso è piuttosto
una fase del tentativo di trasformare in realtà un vecchio
sogno e di fare finalmente di ogni forma d'apprendimento valido
il risultato di un insegnamento professionale. Quasi tutte le alternative
proposte convergono verso obiettivi che sono immanenti alla produzione
delluomo cooperativo capace di soddisfare i suoi bisogni individuali
attraverso la propria specializzazione nell'ambito del sistema americano.
Si tratta cioè di alternative orientate verso un miglioramento
di quella che - in mancanza di un termine migliore - io chiamo la
società scolarizzata. Neanche i critici apparentemente più
radicali del sistema scolastico intendono rinunciare all'idea di
avere un obbligo
nei confronti dei giovani, specie di quelli poveri: l'obbligo di
sottoporli al processo che, per amore o per forza, li inserisca
in una società la quale ha bisogno della specializzazione
disciplinata tanto dei suoi produttori quanto dei suoi consumatori,
e anche della loro adesione totale a un'ideologia che pone al primo
posto la crescita economica.
Il dissenso vela le contraddizioni insite nellidea stessa
di scuola. I sindacati degli insegnanti, gli stregoni della tecnologia
e il movimento per la liberazione dellistruzione non fanno
che consolidare l'adesione dell'intera società agli assiomi
fondamentali di un mondo scolarizzato, un po' come tanti movimenti
pacifisti e di protesta consolidano limpegno dei loro seguaci
- siano essi neri, femmine, giovani o poveri - a cercare giustizia
attraverso l'aumento del prodotto nazionale lordo.
È facile elencare alcuni dei dogmi oggi indiscussi. C'è
anzitutto la convinzione diffusa che il comportamento acquisito
sotto gli occhi di un pedagogo abbia un valore speciale per l'allievo
e costituisca uno speciale vantaggio per la società. Ciò
si collega all'assunto che l'uomo sociale nasce soltanto nell'adolescenza,
e nasce nella maniera giusta solo maturando nel ventre della scuola,
che alcuni vogliono addolcire con la permissività, altri
riempire di sussidi audiovisivi e altri ancora riverniciare con
una tradizione liberale. E c'è, infine, una diffusa concezione
della giovinezza che è insieme romantica sul piano psicologico
e conservatrice su quello politico: secondo questa concezione, i
mutamenti della società devono avvenire caricando sui giovani
la responsabilità di trasformarla, ma solo una volta che
essi siano stati sfornati dalla scuola. È facile che una
società basata su questi dogmi arrivi a sentirsi responsabile
dell'educazione della nuova generazione, e questo comporta inevitabilmente
che alcuni uomini fissino, specifichino e valutino gli obiettivi
personali di altri. In un estratto da un'immaginaria enciclopedia
cinese Jorge Luis Borges cerca di evocare quel senso di stordimento
che un tentativo del genere non può non produrre. Ci dice
che gli animali si suddividono nelle seguenti classi: a) quelli
che appartengono all'imperatore; b) quelli che sono imbalsamati;
c) quelli che sono addomesticati; d) i porcellini da latte; e) le
sirene; f) quelli favolosi; g) i cani randagi; h) quelli inclusi
nella presente classificazione; i) quelli che finiscono per impazzire;
j) altri innumerevoli; k) quelli dipinti con un sottile pennello.di
peli di cammello; l) eccetera; m) quelli che hanno appena rotto
la brocca; n) quelli che da lontano assomigliano alle mosche.
Ora, una tale tassonomia non sarebbe possibile se non ci fosse qualcuno
che la ritiene utile ai propri scopi; nel caso particolare suppongo
che questo qualcuno poteva essere un esattore fiscale. Almeno per
lui questa tassonomia delle bestie deve aver avuto un senso, nello
stesso modo in cui la tassonomia degli obiettivi dell'istruzione
ha un senso per gli scienziati che ne sono gli autori.
Nel contadino, il vedere uomini padroni di una logica così
imperscrutabile autorizzati a valutare il suo bestiame deve aver
provocato un senso agghiacciante di impotenza. Per ragioni analoghe
gli studenti che si sottopongono seriamente a un programma di studi
tendono a sentirsi paranoici. Ed è inevitabile che siano
ancor più spaventati del mio immaginario contadino cinese,
dal momento che quelli che si stanno marchiando con un segno imperscrutabile
sono non delle bestie ma gli scopi della sua vita.
Il brano di Borges è affascinante perché chiama in
causa quella logica della coerenza nell'irrazionale che rende così
sinistre, e insieme così vicine alla realtà quotidiana,
le burocrazie di Kafka e di Koestler. La coerenza nellirrazionale
ipnotizza i complici impegnati in uno sfruttamento basato sulla
convenienza e sulla disciplina di tutti. È la logica prodotta
dal comportamento burocratico. E diventa la logica di una società
la quale esige che i gestori delle sue istituzioni didattiche siano
ritenuti pubblicamente responsabili delle modificazioni di comportamento
che provocano nei loro clienti. Gli studenti che riescono a trovare
una motivazione per apprezzare i blocchi di programmi didattici
che i loro insegnanti li obbligano a consumare sono paragonabili
ai contadini cinesi che riescono a far entrare le loro greggi nel
modulo fiscale fornito da Borges.
A un certo punto, nel corso delle ultime due generazioni, trionfò
nella cultura americana la fede nella terapia e si cominciò
a vedere negli insegnanti i terapeuti delle cui cure tutti gli uomini
hanno bisogno se vogliono godere dell'eguaglianza e della libertà
nelle quali, secondo la Costituzione, sono nati. Ora gli insegnanti-terapeuti
propongono, come fase successiva, una cura didattica destinata a
prolungarsi per tutta la vita. Quello che è in discussione
è il tipo di cura. Deve assumere la forma di una frequenza
scolastica continuata anche nell'età adulta? Dell'estasi
elettronica? O di periodiche sedute di sensibilizzazione? Tutti
gli educatori sono pronti a congiurare per estendere le pareti della
scuola, al fine di trasformare in una scuola l'intera cultura.
Il dibattito in corso negli Stati Uniti sull'avvenire dell'istruzione,
nonostante la sua retorica e il suo baccano, è più
conservatore delle discussioni in atto in altri settori della vita
pubblica. In politica estera, se non altro, una minoranza organizzata
ci ricorda costantemente che l'America deve rinunciare al suo ruolo
di poliziotto del mondo. Gli economisti radicali, e ora anche i
loro insegnanti un po' meno radicali, revocano in dubbio che la
crescita globale sia un fine auspicabile. E così esistono
in medicina gruppi che antepongono la prevenzione delle malattie
alla cura e nel campo dei trasporti gruppi che scelgono la scorrevolezza
a scapito della velocità. Solo nel campo dell'istruzione
le voci che chiedono una descolarizzazione radicale della società
sono ancora isolate. Mancano un'argomentazione stringente e una
guida matura che puntino all'abrogazione di ogni e qualsiasi istituzione
volta al fine dellapprendimento obbligatorio. Per il momento
la descolarizzazione radicale della società resta una causa
senza un partito. E questo è particolarmente sorprendente
in un'epoca in cui i ragazzi tra i dodici e i diciassette anni palesano
una crescente, sebbene caotica, resistenza a tutte le forme d'istruzione
istituzionalmente programmate.
Gli innova tori dell'istruzione sono sempre convinti che le istituzioni
didattiche debbano funzionare come imbuti per i programmi da loro
preparati. Per il mio discorso è irrilevante che questi imbuti
assumano la forma di un'aula scolastica, di una trasmittente televisiva
o di una zona libera. Ed è altrettanto irrilevante
che i programmi forniti siano ricchi o poveri, gelidi o appassionanti,
solidi e misurabili (come la matematica del terz'anno) o impossibili
da valutare (come la sensibilità). Ciò che conta è
il presupposto che l'istruzione sia il prodotto di un processo istituzionale
gestito da un educatore. Fin quando i rapporti saranno quelli tra
fornitore e consumatore, la ricerca pedagogica rimarrà in
un circolo chiuso. Continuerà cioè ad accumulare prove
scientifiche a favore della necessità di nuovi programmi
didattici e di una loro distribuzione più mortalmente precisa
tra i singoli clienti, nello stesso modo in cui un certo tipo di
sociologia può dimostrare la necessità di distribuire
dosi ulteriori di interventi militari.
La rivoluzione dell'istruzione presuppone un duplice rovesciamento
di tendenza: un diverso orientamento nella ricerca e una diversa
comprensione dell'aspetto pedagogico di una certa controcultura
che viene emergendo.
La ricerca operazionale tende oggi a ottimizzare l'efficienza di
un sistema ereditato, senza che il sistema in quanto tale sia mai
oggetto di contestazione. Ora questo "sistema ha la struttura
sintattica di un imbuto per programmi d'insegnamento. La sua alternativa
sintattica è una rete o trama educativa che consenta il montaggio
autonomo dei mezzi disponibili sotto il controllo diretto di ogni
discente. Questa struttura alternativa dell'istituzione didattica
si trova ora all'interno del punto concettualmente cieco della nostra
ricerca operazionale. Se la ricerca si concentrasse su di esso,
avremmo realmente un'autentica rivoluzione scientifica.
Questo punto cieco della ricerca sullistruzione riflette la
deformazione culturale di una società che ha confuso lo sviluppo
tecnologico con il controllo tecnocratico. Per il tecnocrate il
valore di un ambiente aumenta quanto più aumentano i contatti
programmabili tra ogni individuo e ciò che gli sta attorno.
In un tale contesto le scelte regolabili dall'osservatore o programmatore
coincidono con quelle possibili per il cosiddetto beneficiario che
è oggetto di osservazione. La libertà si riduce allo
scegliere tra varie merci preconfezionate.
La controcultura che viene emergendo riafferma, al di sopra dell'efficienza
di una sintassi rafforzata e ancor più irrigidita, i valori
che sono propri del contenuto semantico. Apprezza la ricchezza della
connotazione più del potere della sintassi di produrre ricchezza.
Alla qualità garantita dell'istruzione professionistica antepone
l'esito imprevedibile dell'incontro personale autonomo. Questo riorientamento
verso la sorpresa personale anziché verso i valori elaborati
istituzionalmente, sarà rovinoso per l'ordine costituito
finche non dissoceremo la crescente disponibilità di strumenti
tecnologici che facilitano l'incontro dal crescente controllo dei
tecnocrati su ciò che avviene quando la gente si riunisce.
Le attuali istituzioni didattiche servono agli scopi dell'insegnante.
Le strutture relazionali di cui abbiamo bisogno sono quelle che
permettano a ognuno di definire se stesso apprendendo e contribuendo
allapprendimento degli altri.
VI - TRAME DELLAPPRENDIMENTO
Ho esaminato in un saggio precedente un'accusa che viene rivolta
sempre più spesso contro le scuole e che si rispecchia, per
esempio, nel recente rapporto della Commissione Carnegie: a scuola
gli studenti iscritti si sottomettono a insegnanti diploma ti per
ottenere a loro volta dei diplomi; gli uni e gli altri si sentono
frustrati e incolpano della loro reciproca frustrazione l'insufficienza
di mezzi quali il denaro, il tempo o le sedi.
Questa critica induce molte persone a chiedersi se sia concepibile
una maniera diversa di apprendere. Le stesse persone, paradossalmente,
se sollecitate a precisare come hanno acquisito ciò che sanno
e apprezzano, sono pronte ad ammettere di averlo imparato più
fuori che dentro la scuola. La loro conoscenza dei fatti la loro,
idea della vita o del lavoro derivano da un'amicizia o da un amore,
da ciò che hanno visto alla televisione o hanno letto, dagli
esempi dei loro coetanei o dallo stimolo di un incontro casuale.
Oppure possono aver imparato ciò che sanno dal tirocinio
rituale necessario per essere ammessi in una banda di strada o dal
periodo di iniziazione trascorso in un ospedale, nella cronaca di
un quotidiano, nella bottega di un idraulico o in un ufficio di
assicurazioni. Lalternativa alla dipendenza dalle scuole non
è dunque lo stanziamento di fondi pubblici per qualche nuovo
congegno che faccia imparare, ma la creazione di un
nuovo tipo di rapporto educativo tra l'uomo e il suo ambiente. A
questo scopo dovranno però mutare contemporaneamente gli
atteggiamenti verso la crescita, gli strumenti disponibili per l'apprendimento
e la qualità e la struttura della vita quotidiana.
Gli atteggiamenti stanno già cambiando. È sparita
l' orgogliosa fiducia nella scuola. Aumenta nellindustria
della conoscenza la resistenza del consumatore. E molti - insegnanti
e allievi, contribuenti e imprenditori, economisti e poliziotti
- preferirebbero non dover più dipendere dalle scuole. Ciò
che impedisce alla loro frustrazione di foggiare istituzioni nuove
è la mancanza, non solo di immaginazione, ma spesso anche
di un linguaggio appropriato e di un interesse personale illuminato.
Non riescono a immaginare ne una società descolarizzata ne
le istituzioni pedagogiche di una società che abbia soppresso
l'istituzione scolastica.
In questo saggio intendo dimostrare che il contrario della scuola
è possibile; che possiamo affidarci a un apprendimento autonomo
invece di assumere insegnanti che allettino o costringano lo studente
a trovare il tempo e la voglia d'imparare; che possiamo fornire
al discente nuovi agganci con il mondo anziché continuare
a somministrare tutti i programmi didattici attraverso l'imbuto
dell'insegnante. Esporrò alcune delle caratteristiche generali
che distinguono la scolarizzazione dall'apprendimento e cercherò
di delineare quattro grandi categorie di istituzioni didattiche
che dovrebbero attrarre non solo molti individui ma anche parecchi
gruppi di interesse esistenti.
Un'obiezione: a chi possono servire dei ponti che non portano da
nessuna parte?
Siamo abituati a considerare le scuole come una variabile, dipendente
dalle strutture. politiche ed economiche. Siamo convinti che se
riuscissimo a cambiare il tipo di direzione politica, o a far valere
gli interessi di questa o quella classe, o a trasferire dalle mani
private a quella pubblica la proprietà dei mezzi di produzione,
cambierebbe anche il sistema scolastico. Le istituzioni didattiche
che mi accingo a proporre sono invece destinate al servizio di una
società che ora non esiste, anche se l'attuale senso di frustrazione
nei confronti della scuola è già potenzialmente una
forza importante per avviare il cambiamento in direzione di nuovi
ordinamenti sociali. A questo modo di vedere le cose è stata
rivolta una facile obiezione: perché convogliare energie
nella costruzione di ponti che non portano da nessuna parte anziché
adoperarle per modificare, innanzitutto, non le scuole ma il sistema
politico ed economico?
Questa obiezione però sottovaluta la natura fondamentalmente
politica ed economica del sistema scolastico stesso, oltre che il
potenziale politico inerente ad ogni sua efficace contestazione.
Le scuole sostanzialmente, non dipendono più dall'ideologia
professata da un governo o da una particolare organizzazione di
mercato. Altre istituzioni-base possono essere diverse da un paese
all'altro, come la famiglia, il partito, la chiesa o la stampa;
ma il sistema scolastico ha dappertutto la stessa struttura e dappertutto
il suo programma occulto produce gli stessi effetti. Invariabilmente,
esso plasma il consumatore che apprezza i prodotti istituzionali
più dell'aiuto non professionale del vicino.
Dappertutto il programma occulto della scolarizzazione inizia il
cittadino al mito dell'efficienza e benevolenza delle burocrazie
guidate dalla conoscenza scientifica. Dappertutto questo stesso
programma istilla nell'allievo il mito che una produzione maggiore
assicurerà una vita migliore. E dappertutto crea l'abitudine
al consumo frustrante di servizi e alla produzione alienante, l'assuefazione
a dipendere dalle istituzioni e l'accettazione delle gerarchie istituzionali.
Il programma occulto della scuola realizza tutto questo nonostante
gli sforzi in senso contrario intrapresi dagli insegnanti e qualunque
sia i lideologia dominante.
In altri termini, le scuole sono sostanzialmente simili in tutti
i paesi, siano essi fascisti, democratici o socialisti, ricchi o
poveri, grandi o piccoli. Lidentità dei sistemi scolastici
ci costringe a riconoscere la profonda identità, su scala
mondiale, del mito, dei modi di produzione e dei metodi per il controllo
della società, nonostante la grande varietà di mitologie
nelle quali il mito si esprime.
Alla luce di questa identità, è illusorio sostenere
che le scuole siano, in senso non superficiale, delle variabili
dipendenti. Ne consegue che è anche un'illusione sperare
in un cambiamento sostanziale del sistema scolastico per effetto
di un cambiamento sociale o economico di tipo convenzionale. Questa
illusione, tra l'altro, assicura alla scuola - cioè all
organo di riproduzione della società dei consumi un'immunità
quasi incontestata.
A questo punto diventa importante l'esempio della Cina. Per tre
millenni questo paese ha protetto la cultura superiore mantenendo
un distacco totale tra il processo d'apprendimento e i privilegi
assicurati dagli esami per il mandarinato. Ma, per diventare una
potenza mondiale e uno stato nazionale moderno, anche la Cina ha
dovuto adottare il modello internazionale della scolarizzazione.
Solo l'avvenire ci permetterà di stabilire se la grande
rivoluzione culturale passerà alla storia come il primo
tentativo riuscito di descolarizzare le istituzioni di una società.
Anche la creazione asistematica di nuovi organi didattici che siano
il contrario della scuola sarebbe un modo di attaccare l'anello
più sensibile di un fenomeno invadente, che è organizzato
dallo stato in tutti i paesi. Un programma politico che non riconosca
esplicitamente la necessità della descolarizzazione non può
dirsi rivoluzionario: chiedere una dose maggiore della stessa minestra
è mera demagogia. Qualunque programma politico importante
degli anni settanta dovrebbe essere valutato secondo questo criterio:
con quanta chiarezza afferma la necessità della descolarizzazione?
e con quanta chiarezza precisa le linee direttive del tipo d'istruzione
della società alla quale tende?
La lotta contro lo strapotere del mercato mondiale e della politica
delle grandi potenze è forse al di sopra delle possibilità
di certe comunità o paesi poveri, ma la loro debolezza è
una ragione in più per insistere sullimportanza di
liberare ogni società attraverso un capovolgimento della
sua struttura didattica: un cambiamento questo che non è
al di sopra dei mezzi di nessuna società.
Caratteristiche generali delle nuove istituzioni didattiche formali
Un buon sistema didattico dovrebbe porsi tre obiettivi: assicurare
a tutti quelli che hanno voglia d'imparare la possibilità
d'accedere alle risorse disponibili, in qualsiasi momento della
loro vita; permettere, a tutti quelli che vogliono comunicare ad
altri le proprie conoscenze, di incontrare chi ha voglia di imparare
da loro; offrire infine a tutti quelli che vogliono sottoporre a
pubblica discussione un determinato problema la possibilità
di render noto il loro proposito. Un tale sistema esigerebbe l'applicazione
di alcune garanzie costituzionali all'istruzione. I discenti non
dovrebbero essere costretti ad assoggettarsi a un programma obbligatorio,
o discriminati in base al possesso di un certificato o di un diploma.
Ne il pubblico dovrebbe essere costretto a sostenere, mediante una
tassazione regressiva, un enorme apparato professionale di educa
tori e di edifici che, di fatto, limita le possibilità d'apprendimento
dei cittadini ai servizi che la categoria dei docenti è disposta
a immettere sul mercato; dovrebbe invece utilizzare la tecnologia
moderna per rendere veramente universali, e quindi totalmente educative,
le libertà di parola, di riunione e di stampa. Le scuole
sono basate sul presupposto che ogni aspetto della vita abbia il
suo segreto; che la qualità della vita dipenda dalla conoscenza
di questo segreto; che i segreti si possano apprendere soltanto
in una sequenza ordinata; e che solo gli insegnanti possano svelarli
nel modo giusto. Un individuo dalla mentalità scolarizzata
vede il mondo come una piramide di prodotti confezionati, riservati
esclusivamente a chi possegga il prescritto scontrino. Le nuove
istituzioni didattiche abbatterebbero questa piramide. Il loro scopo
dovrebbe essere quello di facilitare l'accesso al discente, di permettergli
cioè, se non ha la possibilità di entrare dalla porta,
di guardare dalle finestre nella stanza dei bottoni o nel parlamento.
Inoltre queste nuove istituzioni dovrebbero essere canali accessibili
senza particolari credenziali o pedigree, spazi pubblici nei quali
il discente possa incontrare coetanei e anziani estranei al suo
orizzonte immediato.
lo credo che basterebbero quattro, e forse anche soltanto tre, canali
o centri di scambio dell'apprendimento, per radunare tutte le risorse
necessarie a imparare veramente. Il bambino cresce in un mondo di
cose, circondato da persone cui si ispira come modelli per le capacità
e i valori. Trova dei coetanei che lo stimolano a discutere, a competere,
a cooperare e a capire; e se è fortunato, è anche
soggetto alla verifica o alle critiche di un anziano più
esperto cui sta realmente a cuore. Cose, modelli, coetanei e anziani
sono quattro risorse, ognuna delle quali richiede un tipo particolare
di organizzazione per garantire che tutti abbiano ampie possibilità
di accedervi.
Per indicare i modi specifici di assicurare l' accesso a ognuna
di queste quattro serie di risorse, parlerò di trame
di possibilità anziché di reti.
Il termine rete, purtroppo, viene spesso impiegato per
designare i canali adibiti alla somministrazione di materiali selezionati
da altri a scopo di addottrinamento, istruzione o divertimento.
Ma lo si può usare anche per il telefono o il servizio postale,
che sono essenzialmente accessibili a tutti gli individui che vogliono
scambiarsi dei messaggi. Vorrei che avessimo a disposizione un'altra
parola, per designare le nostre strutture reticolari intese a permettere
un accesso reciproco, una parola che facesse meno pensare all'intrappolamento,
che fosse meno degradata dalluso corrente e che suggerisse
meglio il fatto che qualunque ordinamento di questo tipo comporta
aspetti legali, organizzativi e tecnici. Non avendo trovato un termine
del genere, cercherò di ricuperare il solo disponibile, usandolo
come sinonimo di trama didattica.
Ciò di cui abbiamo bisogno sono nuove reti, a disposizione
immediata del pubblico e fatte in modo da poter assicurare a tutti
eguali possibilità di apprendere e di insegnare.
Facciamo un esempio. I televisori e i registratori presuppongono
uno stesso livello tecnologico. Ora tutti i paesi dellAmerica
latina hanno introdotto la televisione e in Bolivia, dove il governo
ha finanziato una stazione televisiva, costruita sei anni fa, non
ci sono più di settemila televisori per una popolazione di
quattro milioni di abitanti. Con le somme impegnate nelle Installazioni
televisive in tutta l'America latina si sarebbe invece potuto fornire
un registratore a un cittadino adulto su cinque e, in più,
costituire una biblioteca pressoché sterminata di nastri
già incisi, con succursali fin nei villaggi più remoti,
oltre a un'ampia scorta di nastri in bianco. Questa rete di registratori,
ovviamente, sarebbe radicalmente diversa dalla rete televisiva attuale.
Offrirebbe una possibilità di esprimersi liberamente: gli
istruiti come gli analfabeti avrebbero eguali occasioni di registrare,
conservare, diffondere e ripetere le proprie opinioni. Le somme
attualmente investite nella televisione assicurano invece ai burocrati,
siano essi uomini politici o educatori, il potere di inondare il
continente di programmi prodotti istituzionalmente che, a giudizio
loro o dei loro finanziatori, vanno bene per la gente o la gente
richiede. La tecnologia è disponibile per promuovere tanto
lindipendenza e l'apprendimento quanto la burocrazia e linsegnamento.
Quattro reti
La programmazione delle nuove istituzioni didattiche non dovrebbe
fondarsi sulle finalità amministrative di un rettore o di
un preside, sugli obiettivi didattici di un educatore professionista
o sulle necessità d'apprendimento di una qualsiasi ipotetica
categoria di persone. Non bisognerebbe partire dalla domanda: Che
cosa dovrebbe imparare una persona? ma dalla domanda: Con
quali oggetti e quali persone possono voler mettersi in contatto
i discenti per poter imparare?.
Chi vuole imparare sa di aver bisogno che qualcun altro gli fornisca
sia le informazioni sia una loro valutazione critica. Le informazioni
possono essere contenute in persone come in oggetti. In un buon
sistema didattico gli oggetti dovrebbero essere disponibili su semplice
richiesta del discente, mentre l'accesso agli informatori umani
richiederebbe, in più, il consenso altrui. La critica può
anch'essa venire da due direzioni: dai coetanei come dagli anziani,
cioè sia da quelli che imparano insieme con me e i cui interessi
immediati coincidono con i miei, sia da quelli che possano farmi
partecipe della loro maggiore esperienza. I coetanei possono essere
colleghi con i quali sollevare un problema, compagni di letture
o di passeggiate scherzose e piacevoli (o faticose), avversari in
qualunque tipo di gioco. Gli anziani possono consigliarci sulla
specializzazione da apprendere, sul metodo da usare e sulle compagnie
da cercare in un determinato momento; possono servire da guida perché
tra coetanei ci si rivolgano le domande giuste e segnalare le insufficienze
delle risposte cui essi pervengono. Quasi tutte queste risorse sono
già disponibili in abbondanza; ma da un lato non le si considera
in genere delle risorse didattiche e dall'altro non è facile,
soprattutto ai poveri, accedervi con facilità a fini d'apprendimento.
Dobbiamo quindi inventare nuove strutture, di rapporti che. siano
concepite proprio per facilitare laccesso a tali risorse da
parte di chiunque abbia motivo di cercarle per istruirsi. Ma per
istituire queste strutture, simili a trame, occorrono dei dispositivi
amministrativi, tecnologici e soprattutto giuridici.
Le risorse didattiche vengono di solito classificate secondo gli
obiettivi dei programmi di studio preparati dagli educatori. lo
invece intendo fare il contrario definire cioè quattro diversi
procedimenti che permettano allo studente di accedere a qualunque
risorsa didattica in grado di aiutarlo a precisare e a raggiungere
i propri obiettivi.
1. Servizi per la consultazione di oggetti didattici che facilitino
l'accesso alle cose o ai processi usati per lapprendimento
formale. Tali risorse possono essere in parte riservate a questo
scopo e conservate in biblioteche, agenzie di noleggio, laboratori
e sale d'esposizione come i musei e i teatri; oppure adoperate quotidianamente
nelle fabbriche, negli aeroporti o nelle fattorie, ma messe a disposizione
degli studenti, siano essi apprendisti o frequentatori fuori orario.
2. Centrali delle capacità - che permettano agli individui
di esporre le proprie capacità, le condizioni che pongono
per servire da modelli a chi vuole impararle, e gli indirizzi ai
quali sia possibile reperirli.
3. Assortimento degli eguali - cioè una rete di comunicazione
che permetta alle persone di descrivere il tipo di apprendimento
cui vogliono dedicarsi, nella speranza dl trovare un compagno di
ricerca.
4. Servizi per la consultazione di educatori in genere - professionisti,
paraprofessionisti e liberi operatori, che potrebbero essere elencati
in una guida con l'indirizzo, una descrizione fatta dagli stessi
interessati e le condizioni per accedere ai loro servizi. Questi
professionisti, come vedremo, potrebbero essere scelti mediante
un voto o una consultazione dei loro ex clienti.
Servizi per la consultazione di oggetti didattici
Le cose sono strumenti fondamentali dell'apprendimento. La qualità
dell'ambiente e il tipo di rapporto che una persona riesce a stabilire
con esso determinano quanto quella persona imparerà casualmente.
L'apprendimento formale richiede per un verso un particolare accesso
alle cose comuni e per un altro verso un accesso libero e sicuro
alle cose destinate a scopi specificamente didattici. Un esempio
del primo tipo è il diritto particolare di far funzionare
o di smontare una macchina in un garage; un esempio del secondo
è il diritto generale di servirsi di un pallottoliere, di
un computer, di un libro, di un orto botanico o di una macchina
tolta dalla produzione e messa a completa disposizione degli studenti.
Attualmente si presta particolare attenzione alla disparità
tra bambini ricchi e poveri per quanto riguarda la possibilità
d'accesso alle cose e la maniera in cui possono trarne un insegnamento;
ed è partendo da questa premessa che l'OEO e altre organizzazioni
si preoccupano soprattutto di pareggiare le possibilità,
cercando di fornire ai poveri una maggiore quantità di attrezzi
didattici. Un punto di partenza più radicale sarebbe invece
la constatazione che nelle città i ricchi come i poveri vengono
artificiosamente segregati da quasi tutte le cose che li circondano.
I bambini nati nell'età delle materie plastiche e degli esperti
in efficienza devono superare due barriere che intralciano la loro
possibilità di comprendere: una insita nelle cose e l'altra
formatasi intorno alle istituzioni. Lindustrial design crea
un mondo di cose che non si lasciano comprendere facilmente nella
loro natura, e le scuole escludono il discente dal mondo delle cose
e dal contesto in cui esse hanno un significato.
Dopo un breve soggiorno a New York, una donna di un villaggio messicano
mi raccontò di essere rimasta impressionata dal fatto che
i negozi vendevano soltanto merci pesantemente truccate.
Voleva dire, compresi, che i prodotti industriali parlano
alla gente delle proprie attrattive e non della propria natura.
Lindustria ha circondato la gente di manufatti il cui funzionamento
interno è comprensibile soltanto agli specialisti. Il profano
viene dissuaso dal cercare di scoprire cosa fa battere un orologio,
trillare un telefono o funzionare una macchina da scrivere elettrica,
con l'avvertimento che se ci provasse romperebbe tutto. Gli si può
spiegare come funziona una radio a transistor, ma che lo scopra
da solo non è possibile. Questo tipo di design finisce cosl
per consolidare una società non inventiva nella quale diventa
sempre più facile per gli esperti nascondersi dietro la loro
competenza e sottrarsi a ogni valutazione.
L'ambiente costruito dalluomo è diventato imperscrutabile
come lo è la natura per un primitivo. Contemporaneamente
tutti i materiali didattici sono diventati un monopolio della scuola.
Persino gli oggetti più semplici vengono confezionati a caro
prezzo dall'industria del sapere: sono divenuti strumenti specialistici
per gli educatori di professione, e si è gonfiato il loro
costo forzandoli a stimolare gli ambienti o gli insegnanti.
Linsegnante è geloso del libro di testo, che definisce
il suo ferro del mestiere. Lo studente può arrivare a odiare
il laboratorio perché lo associa automaticamente al lavoro
scolastico. Il preside giustifica il suo atteggiamento protettivo
nei confronti della biblioteca affermando di voler difendere un
bene pubblico da quanti vorrebbero servirsene per giocarci e non
per imparare. In questa situazione accade fin troppo spesso che
lo studente adoperi la carta geografica, il laboratorio, l'enciclopedia
o il microscopio solo nelle rare occasioni in cui vi è costretto
dal programma scolastico. Persino i grandi classici diventano argomenti
di studio di un determinato corso invece di segnare una nuova svolta
nella vita di un individuo. La scuola sottrae le cose all'uso quotidiano
appiccicando ad esse l'etichetta di sussidi didattici.
La descolarizzazione comporta un capovolgimento di queste due tendenze.
Bisogna cioè rendere accessibile l'ambiente fisico generale,
e le risorse materiali per l'apprendimento, ora ridotte a meri strumenti
didattici, devono essere messe a disposizione di tutti per un apprendimento
autonomo. Usando le cose solo come parti integranti di un programma
di studi può anche essere peggio che limitarsi a toglierle
dall'ambiente generale: può infatti guastare l'atteggiamento
degli allievi.
Prendiamo per esempio i giochi. Non intendo parlare dei giochi
che in America dipendono dal dipartimento d'educazione fisica (come
il football e la pallacanestro) e che servono alle scuole per raccogliere
finanziamenti e prestigio, dopo aver investito in essi delle somme
cospicue. Come sanno benissimo gli stessi atleti, queste attività,
che assumono la forma di tornei guerreschi, hanno praticamente distrutto
l'aspetto giocoso degli sport e servono soltanto a rafforzare il
carattere competitivo delle scuole. Penso invece a quei giochi didattici
che possono costituire una maniera unica per cominciare a comprendere
i sistemi formali. Teoria degli insiemi, linguistica, logica proposizionale,
geometria, fisica e persino la chimica si rivelano con un minimo
sforzo ad alcune delle persone che fanno questi giochi. Un mio amico
andò in un mercato messicano con un gioco chiamato Wffn
Proof, che consiste in alcuni dadi sui quali sono impressi
dodici simboli logici. Mostrò ai ragazzi che due o tre combinazioni
bastavano a formare una frase di senso compiuto, e nel giro di un'ora
anche una parte degli spettatori comprese induttivamente il principio.
Dopo alcune ore trascorse in questi giocosi esperimenti di logica
formale, alcuni ragazzi erano già in grado di far capire
ad altri le prove fondamentali della logica proposizionale. Il resto
degli spettatori se n'era andato da un pezzo.
Di fatto, per certi ragazzi questi giochi sono una forma particolare
di istruzione liberatoria, in quanto li rendono ancor più
consapevoli del fatto che i sistemi formali si fondano su assiomi
mutabili e che la natura delle operazioni concettuali è simile
a quella del gioco. Inoltre sono giochi semplici, poco costosi e,
in gran parte, organizzabili dagli stessi giocatori. Usati fuori
dei programmi scolastici, danno anche la possibilità di riconoscere
e sviluppare certe capacità inconsuete dell'individuo, quelle
stesse che, se scoperte dagli psicologi della scuola, sono interpretate
come segni d'una pericolosa tendenza dell'individuo stesso a diventare
un asociale, un malato o uno squilibrato. Nell'ambito della scuola,
invece, quando li si usa in forma di tornei, i giochi non solo vengono
sottratti alla sfera dello svago, ma diventano spesso strumenti
per trasformare la voglia di giocare in competizione, la riluttanza
al ragionamento astratto in un segno d'inferiorità. Un esercizio
liberatorio per certi tipi caratteriali diventa una camicia di forza
per altri. Il fatto che la scuola monopolizzi l'attrezzatura didattica
ha anche un'altra conseguenza. Aumenta enormemente il costo di questi
materiali, in se a buon mercato. Limitandone luso alle ore
prescritte dai programmi, bisogna infatti pagare dei professionisti
perché li acquistino li custodiscano e li adoperino. Gli
studenti inoltre sfogano la loro rabbia contro la scuola su queste
attrezzature e diventa quindi necessario ricomprarle.
Parallela allintoccabilità degli strumenti didattici
è l'impenetrabilità dei congegni moderni. Mentre negli
anni trenta ogni ragazzo che si rispettasse sapeva riparare un'automobile,
oggi l'industria automobilistica moltiplica le sottigliezze e riserva
la consultazione dei suoi manuali ai soli meccanici specializzati.
Una volta una vecchia radio conteneva bobine e condensatori sufficienti
a costruire un trasmettitore capace di far gracchiare per i disturbi
tutte le radio del vicinato; oggi le radio a transistor sono certamente
più maneggevoli, ma nessuno ha il coraggio di smontarle.
Modificare questa situazione nei paesi altamente industrializzati
sarà estremamente difficile ma almeno nel Terzo Mondo dobbiamo
insistere sugli aspetti didattici intrinseci ai prodotti.
Per meglio chiarire il mie discorso, mi si permetta di fare un esempio.
Con una spesa di dieci milioni di dollari sarebbe possibile, in
un paese come il Perù, collegare tra loro 40.000 villaggi
con una ragnatela di piste larghe due metri, provvedere alla loro
manutenzione e, inoltre, dotare il paese di 200.000 muli
meccanici a tre ruote, cioè cinque in media per ogni villaggio.
Oggi sono pochi i paesi poveri di queste dimensioni che spendono
annualmente una somma inferiore in automobili e strade destinate
le une e le altre all'uso pressoché esclusivo dei ricchi
e dei loro impiegati, mentre i poveri rimangono bloccati nei villaggi.
Ognuno di questi piccoli veicoli, semplici ma resistenti, costerebbe
125 dollari, che per metà servirebbero a pagare la trasmissione
e un motore a sei cavalli. Un mulo potrebbe fare 25
chilometri l'ora e trasportare carichi di quasi quattro quintali
(vale a dire quasi tutto quello che viene normalmente trasportato,
tranne i tronchi d'albero e le travi d'acciaio).
È ovvio che un sistema di trasporti del genere avrebbe un
enorme successo politico tra i contadini. Ma è altrettanto
ovvia la ragione per cui coloro che detengono il potere - e perciò
dispongono automaticamente di un' automobile - non hanno alcuna
voglia di spender quattrini per costruire piste e ingombrare le
strade di muli a motore. Un tipo di trasporto universale
come questo potrebbe funzionare solo se i dirigenti di un paese
fossero disposti a stabilire un limite nazionale di velocità
diciamo di 40 chilometri orari e ad adattare a
questo fatto le istituzioni pubbliche. Se lo si concepisse soltanto
come un tappabuchi, il modello non potrebbe funzionare.
Non è questa la sede adatta per esaminare le possibilità
di attuare questo modello sul piano politico, sociale, economico,
finanziario e tecnico. Voglio solo far presente che, nella scelta
di una alternativa al sistema di trasporti a forte intensità
di capitale, possono assumere importanza primaria le considerazioni
di carattere didattico. Aumentando il costo unitario dei muli
del 20 per cento circa, diventerebbe possibile progettare la produzione
di tutte le parti del veicolo in modo che ogni futuro proprietario,
o quasi, possa passare un mese o due a montare e capire la sua macchina
e sia in grado di ripararla. Con questo costò in più
sarebbe anche possibile decentrare la produzione in stabilimenti
sparsi. I benefici aggiunti non deriverebbero soltanto dall'inclusione
dei costi didattici nel processo di fabbricazione: fatto ancora
più importante, un motore resistente, che tutti in pratica
potrebbero imparare a riparare e che potrebbe essere usato come
aratro o pompa da chi avesSe capito bene come funziona, fornirebbe
profitti educativi ben superiori a quelli delle imperscrutabili
macchine dei paesi avanzati.
Non sono diventati impenetrabili soltanto i congegni, ma anche i
cosiddetti luoghi pubblici della città moderna. Nella società
americana i bambini sono esclusi da quasi tutte le cose e i luoghi
col pretesto che appartengono a privati. Ma anche nelle società
che hanno proclamato la fine della proprietà privata essi
sono tenuti lontani dagli stessi luoghi e dalle stesse cose, considerate
qui terreno riservato ai professionisti e pericoloso per i non iniziati.
Da una generazione in qua il parco di smistamento delle ferrovie
è diventato inaccessibile come la caserma dei pompieri; eppure
non ci vorrebbe molto ingegno per provvedere questi luoghi di dispositivi
di sicurezza. La descolarizzazione dei prodotti utili all'istruzione
comporterà che prodotti e processi di produzione siano resi
accessibili, e che venga riconosciuto il loro valore didattico.
Certo per alcuni lavoratori sarà una seccatura il dover essere
a disposizione di chi vuole imparare; ma questo inconveniente va
messo a confronto con i vantaggi sul piano educativo.
A Manhattan si potrebbe vietare la circolazione delle auto private.
Cinque anni fa sarebbe stato inconcepibile, ma oggi certe strade
di New York sono già chiuse al traffico in certe ore, e questa
tendenza è destinata probabilmente ad accentuarsi. In realtà
si dovrebbero chiudere al traffico automobilistico quasi tutte le
strade trasversali e il parcheggio andrebbe proibito ovunque. In
una città veramente aperta alla gente, il materiale didattico,
oggi chiuso a chiave nei magazzini e nei laboratori, potrebbe essere
distribuito a depositi gestiti autonomamente e aperti sulla strada,
e bambini e adulti potrebbero frequentarli senza correre il rischio
di finire sotto un'automobile.
Se le finalità dell'insegnamento non fossero più determinate
dalle scuole e dagli insegnanti, il mercato sarebbe per i discenti
molto più vario e la definizione di materiali didattici
diverrebbe meno restrittiva. Potrebbero aprirsi negozi di utensili,
biblioteche, laboratori e sale da gioco. I laboratori fotografici
e le stamperie in offset permetterebbero una fioritura di giornali
di quartiere. Alcuni centri d'apprendimento aperti sulla strada
potrebbero comprendere cabine per assistere a trasmissioni televisive
a circuito chiuso, altri specializzarsi nell'utilizzazione e nella
riparazione delle macchine per uffici. Ci sarebbero dappertutto
jukebox e giradischi, alcuni specializzati in musica classica, altri
in motivi folcloristici di tutti i paesi, altri nel jazz. I circoli
del cinema sarebbero in concorrenza tra loro e con la televisione
commerciale. Dai musei potrebbero ramificarsi delle reti per la
circolazione delle opere d'arte, antiche e moderne, in originale
o in riproduzione, eventualmente sotto la gestione dei vari musei
maggiori.
I professionisti di cui tutta questa rete avrebbe bisogno assomiglierebbero,
più che agli insegnanti attuali, a custodi, guide di museo
o a bibliotecari. Dal negozio di biologia all'angolo, potrebbero
segnalare ai loro clienti la collezione di conchiglie esistente
al museo o la prossima presentazione di videonastri d'argomento
biologico in una particolare cabina. Potrebbero fornire guide per
la lotta contro i parassiti, per il regime alimentare e per altre
forme di medicina preventiva. Potrebbero indirizzare chi avesse
bisogno di un consiglio ad anziani in grado di darglielo.
Per finanziare una rete di oggetti per l'apprendimento
si possono prendere due strade diverse. O una comunità stabilisce
a questo scopo uno stanziamento massimo e fa in modo che tutti i
punti della rete siano aperti, con orari ragionevoli, a tutti i
visitatori; oppure decide di fornire ai cittadini un numero limitato
di autorizzazioni, a seconda delle età, per l'accesso a certi
materiali particolarmente rari e costosi, lasciando invece a disposizione
di tutti altri materiali più semplici.
Ma il reperimento dei fondi per i materiali appositamente destinati
all'istruzione è solo un aspetto - e forse anche il meno
costoso - dell'edificazione di un mondo didattico. Il denaro che
viene oggi speso per il sacro armamentario del rituale scolastico
potrebbe assicurare a tutti i cittadini un più libero accesso
alla vera vita della città. Si potrebbero inoltre concedere
particolari agevolazioni fiscali a chi impiegasse per un paio d'ore
al giorno ragazzi tra gli otto e i quattordici anni, purché
beninteso le condizioni di lavoro fossero umane. Dovremmo tornare
alla tradizione del bar mitzvah o della cresima. Voglio dire che
dovremmo prima ridurre e quindi eliminare lo stato di soggezione
giuridica dei giovani e permettere a un ragazzo di dodici anni di
diventare un cittadino pienamente responsabile della sua partecipazione
alla vita della comunità. Molte persone di età
scolare sanno del loro rione assai più degli assistenti
sociali o dei consiglieri di quartiere. Naturalmente, fanno anche
domande più imbarazzanti e propongono soluzioni che costituiscono
una minaccia per la burocrazia. Bisognerebbe dunque considerarli
maggiorenni, per dar loro la possibilità di mettere al servizio
di un governo popolare le proprie conoscenze e la propria capacità
di scoprire i fatti.
Fino a poco tempo fa era facile sottovalutare i pericoli della scuola
confrontandoli con quelli dell'apprendistato nelle forze di polizia,
nel corpo dei vigili del fuoco o nell'industria dello spettacolo.
Era facile giustificare le scuole, se non altro come mezzo per proteggere
i giovani. Ma oggi, spesso, questo argomento non regge più.
Sono stato di recente in una chiesa metodista di Harlem, occupata
da un gruppo di Young Lords in segno di protesta per la morte di
Julio Rodan, un giovane portoricano che, incarcerato, era stato
trovato impiccato nella sua cella. Conoscevo i capi di questo gruppo
perché avevano trascorso un semestre a Cuernavaca. E quando
chiesi come mai non c'era con loro anche un certo Juan, mi dissero
che era tornato all'eroina e all'università.
Per sbloccare il potenziale didattico contenuto negli enormi investimenti
della nostra società in fabbriche e attrezzature, ci si può
servire di una pianificazione, di incentivi e di un'apposita legislazione.
Ma il pieno accesso agli oggetti didattici resterà lettera
morta fin quando le aziende potranno associare alle garanzie giuridiche
che la Costituzione assicura a ogni privato cittadino il potere
economico conferito loro da milioni di clienti e da migliaia di
impiegati, azionisti e fornitori. Gran parte delle conoscenze tecniche
del mondo e quasi tutti i processi produttivi sono chiusi entro
le loro mura e restano inaccessibili sia a clienti, impiegati e
azionisti, sia alla collettività in genere che pure, con
le sue leggi e le sue agevolazioni, permette alle aziende di funzionare.
Le somme che oggi nei paesi capitalistici si destinano alla pubblicità
potrebbero essere indirizzate verso l'istruzione all'interno e da
parte di una General Electric, di una NBC o della birra Budweiser.
Vale a dire, gli stabilimenti e gli uffici dovrebbero essere riorganizzati
così che le loro attività quotidiane divenissero più
accessibili al pubblico, con modalità che rendessero possibile
l'apprendimento; e si potrebbe anche trovare la maniera di pagare
alle aziende ciò che la gente ne apprenderebbe.
Un ancor più prezioso complesso di oggetti e di dati scientifici
può essere negato al pubblico - e persino allo scienziato
qualificato - con il pretesto della sicurezza nazionale. Sino a
tempi recenti la scienza era l'unico luogo dincontro che pareva
realizzare, nel suo funzionamento effettivo, i sogni degli anarchici:
ogni persona capace di fare una ricerca aveva sostanzialmente le
stesse possibilità di accedere agli strumenti necessari e
di farsi ascoltare dalla comunità dei suoi pari. Oggi invece
la burocratizzazione e l'organizzazione hanno escluso gran parte
della scienza dalla portata del non addetto ai lavori. Quella che
era una rete internazionale d'informazioni scientifiche si è
frantumata trasformandosi in un'arena in cui combattono gruppi in
concorrenza. I membri e i prodotti della comunità scientifica
sono stati rinserrati in programmi nazionali o aziendali tesi a
raggiungere risultati pratici, con un radicale impoverimento degli
uomini che tengono in piedi le relative nazioni e aziende. In un
mondo controllato e posseduto da stati e grandi aziende, non sarà
mai possibile che un accesso limitato agli oggetti didattici. Ma
un maggiore accesso a quegli oggetti al cui uso si può partecipare
per fini didattici potrebbe illuminarci abbastanza per aiutarci
ad abbattere queste estreme barriere politiche. Le scuole pubbliche
trasferiscono la gestione delluso didattico degli oggetti
dalle mani dei privati a quelle del professionista. Linversione
istituzionale delle scuole potrebbe permettere all'individuo di
rivendicare il diritto di servirsene per la propria istruzione.
Se si portasse al punto di estinzione il controllo privato o corporativo
sull'aspetto didattico delle cose, potrebbe cominciare
a emergere una forma di proprietà veramente pubblica.
Centrali delle capacità
Un insegnante di chitarra, a differenza di una chitarra, non può
essere conservato in un museo, ne diventare proprietà pubblica,
ne essere preso in affitto da una bottega di materiali didattici.
Gli istruttori professionali appartengono insomma a una categoria
diversa da quella degli oggetti necessari per acquisire una certa
capacità. Ciò non significa che siano sempre indispensabili.
lo posso per esempio noleggiare non solo una chitarra, ma anche
lezioni di chitarra registrate su nastro e manuali illustrati degli
accordi, e con queste cose sono in grado di imparare a suonare da
solo. Anzi, questa soluzione può presentare dei vantaggi,
se i nastri a disposizione sono migliori dei maestri reperibili,
se ho tempo per imparare a suonare soltanto la sera tardi se i motivi
che, vorrei saper eseguire non sono noti nel mio paese o se sono
timido e preferisco maneggiare lo strumento senza testimoni.
Gli insegnanti professionali devono essere catalogati e contattati
attraverso un canale differente da quello usato per gli oggetti.
Un oggetto è - o potrebbe essere disponibile a richiesta
di chi vuol servirsene, mentre una persona diventa realmente un
mezzo di apprendimento solo quando acconsente ad esserlo, e può
inoltre fissare e limitare a suo piacere gli orari, i luoghi e i
metodi. Bisogna poi distinguerli dai coetanei dai quali si vorrebbe
imparare. I coetanei che vogliono fare una ricerca insieme devono
partire da interessi e capacità comuni: si riuniscono per
praticare o migliorare una capacità che già posseggono,
come giocare a pallacanestro, ballare, costruire un campeggio o
discutere sulle prossime elezioni. Viceversa la prima trasmissione
di una capacità professionale comporta il mettere assieme
uno che ce lha già e uno che non ce l'ha e vuole acquisirla.
Un dimostratore è una persona che possiede una
capacità ed è disposto a mostrare come la si esercita.
Questa dimostrazione è spesso necessaria al discente potenziale.
Le invenzioni moderne ci permettono di registrarla su un nastro,
in un film o in un grafico e tuttavia è sperabile che continuino
ad essere ampiamente richieste le dimostrazioni personali, specie
per le capacità che concernono le comunicazioni. Nel nostro
centro di Cuernavaca hanno già imparato lo spagnolo quasi
diecimila adulti, in massima parte persone fortemente motivate,
che volevano impadronirsi di una seconda lingua per parlarla con
la massima disinvoltura possibile. Ora, quando hanno dovuto scegliere
tra corsi minuziosamente programmati in laboratorio e una rigida
routine di esercitazioni pratiche con altri due studenti e una persona
di lingua spagnola, la grande maggioranza ha preferito la seconda
soluzione.
Per moltissime tecniche largamente diffuse, la persona che ne dà
una dimostrazione è la sola risorsa umana che ci occorra
o che sia possibile trovare. Quando si tratta di parlare o di guidare,
di far da mangiare o di servirsi dei mezzi di comunicazione, ci
rendiamo appena conto di essere passati per una fase d'istruzione
e d'apprendi mento formali, specie dopo le nostre prime esperienze
in queste attività. Non vedo perché non si potrebbero
imparare nello stesso modo tecniche più complesse, come gli
aspetti meccanici della chirurgia e del violino, della lettura o
l'uso di guide e cataloghi.
Uno studente che sia fermamente intenzionato a imparare e che non
debba sormontare particolari ostacoli ha spesso bisogno, come unica
assistenza umana, solo di una persona che possa mostrare a richiesta
come si fa ciò che egli vuole apprendere. Lesigere
dalle persone competenti il possesso di un diploma di pedagoghi
prima che possano dare dimostrazione delle proprie capacità
è frutto della pretesa o che la gente impari ciò che
non desidera sapere o che tutti - compreso chi si trova in particolari
situazioni di svantaggio - imparino certe cose in un determinato
momento della loro vita, e preferibilmente in circostanze prefissate.
L'attuale scarsità di specialisti professionali nel mercato
dell'istruzione è dovuta all'esigenza, da parte dell'istituzione,
di impedire a chi sa dar dimostrazione di determinate tecniche di
farlo, qualora non abbia ottenuto un attestato di fiducia pubblica
mediante un diploma. Per noi è necessario che chi aiuta gli
altri ad acquisire una capacità sia anche in grado di diagnosticare
le difficoltà d'apprendimento e sappia ispirare negli altri
il desiderio d'impadronirsi della loro capacità. Vogliamo
insomma che sia un pedagogo. Una volta che avremo imparato a riconoscerle
fuori della categoria degli insegnanti patentati, ci accorgeremo
che"le persone in grado di fornire un'istruzione professionale
sono numerose. Quando si tratta di insegnare a un principe è
comprensibile, anche se non più sostenibile, che i genitori
pretendano che l'insegnante e la persona tecnicamente preparata
si associno in uno stesso individuo. Ma se tutti i genitori aspirassero
ad avere un Aristotele per il loro Alessandro, finirebbero ovviamente
delusi. Gli individui capaci di ispirare i propri allievi e di dare
dimostrazione di una tecnica sono così rari, e così
difficili da riconoscere, che il più delle volte persino
ai principi capita un sofista anziché un vero filosofo.
Anche una richiesta di capacità poco comuni può essere
rapidamente soddisfatta, persino quando è scarso n numero
delle persone in grado di darne dimostrazione; bisogna però
che queste persone siano reperibili con facilità. Negli anni
quaranta i riparatori di radio, che in genere non avevano imparato
a scuola il loro mestiere, erano in ritardo solo di due anni rispetto
alla penetrazione degli apparecchi radio all'interno dell'America
latina. E prosperarono fin quando le radio a transistor, che costano
poco ma non sono riparabili, non li costrinsero a chiuder bottega.
Oggi le scuole tecniche non riescono a realizzare ciò che
quei ripara tori di apparecchi altrettanto utili e più duraturi
sapevano fare senza difficoltà. Il fatto è che oggi
una convergenza di interessi egoistici cospira per impedire a un
uomo di far partecipi gli altri delle sue capacità. Chi ne
è padrone trae profitto dalla scarsa diffusione della sua
specialità e non dalla sua propagazione. Linsegnante
che si specializza nel trasmettere una tecnica trae profitto dalla
riluttanza dell'artigiano a lanciare in campo i propri apprendisti.
Il pubblico è condizionato a credere che le capacità
sono valide e degne di fiducia solo quando rappresentano il punto
d'arrivo di un insegnamento formale. In quanto al mercato del lavoro,
esso riposa sul fatto che le capacità siano poco diffuse
e che vengano mantenute tali o vietandone l'uso e la trasmissione
non autorizzati o fabbricando oggetti che possono essere fatti funzionare
e riparati soltanto da chi ha accesso a utensili o informazioni
disponibili in quantità minima.
Le scuole producono dunque una scarsità di personale qualificato.
Un buon esempio è dato, negli Stati Uniti, dal numero sempre
più esiguo delle infermiere, dovuto al rapido imporsi dei
corsi quadriennali per il conseguimento di questo diploma. Le ragazze
di famiglia povera, che una volta erano disposte a seguire corsi
di due o tre anni, evitano ora completamente questa professione.
Il volere assolutamente degli insegnanti abilitati è un altro
modo per garantire una scarsità di personale specializzato.
Se si incoraggiassero le infermiere a formarne delle altre e se
le si assumesse in base alla loro dimostrata capacità di
fare un'iniezione, di compilare una cartella clinica e di somministrare
una medicina, ben presto non ci sarebbe più deficienza di
infermiere preparate. Oggi la richiesta di un diploma tende a limitare
la libertà d'istruzione, trasformando il diritto di far partecipi
gli altri delle proprie conoscenze, che è un diritto di tutti,
nel privilegio della libertà accademica, oggi conferito soltanto
ai dipendenti delle scuole. Per assicurare l'accesso a un effettivo
scambio di capacità, abbiamo bisogno di leggi che estendano
a tutti la libertà accademica. Il diritto di insegnare una
tecnica dovrebbe essere protetto come parte integrante della libertà
di parola. E una volta eliminate le restrizioni sullinsegnamento,
spariranno in fretta anche quelle sull'apprendimento. Per offrire
i suoi servizi a un allievo l'istruttore professionale ha bisogno
di qualche incentivo. Ci sono almeno due metodi, entrambi semplicissimi,
per incominciare a incanalare il denaro pubblico verso gli istruttori
non diplomati. Il primo potrebbe essere l'istituzionalizzazione
degli scambi di capacità con la creazione di liberi centri
di preparazione tecnica aperti a tutti. Questi centri potrebbero
e dovrebbero sorgere nelle zone industrializzate, soprattutto per
quelle capacità che sono assolutamente necessarie a chi intenda
avviarsi in certi settori: per esempio leggere, scrivere a macchina,
tenere la contabilità, conoscere le lingue estere, programmare
un computer ed elaborare i dati, comprendere linguaggi speciali
come quello dei circuiti elettrici, saper maneggiare certi macchinari,
ecc. Un'altra soluzione potrebbe essere quella di dare a certi gruppi
della popolazione assegni di studio da spendere per la frequenza
dei centri di preparazione tecnica, che per altri clienti sarebbero
invece a pagamento, secondo tariffe commerciali. Un sistema molto
più radicale sarebbe quello di creare una banca
per gli scambi di capacità. Ogni cittadino otterrebbe una
certa apertura di credito per l'acquisizione delle capacità
fondamentali. Al di sopra di questo minimo, si aprirebbero crediti
ulteriori a chi se li guadagnasse insegnando, sia nei centri organizzati
sia in privato, a casa propria o in un campo di gioco. Solo chi
avesse insegnato agli altri per una quantità di tempo equivalente
avrebbe diritto al tempo di insegnanti più avanzati. Nascerebbe
così un'elite completamente nuova, composta di individui
che si sono guadagnati la loro istruzione facendone partecipi gli
altri.
Dovrebbe essere consentito ai genitori di guadagnare crediti di
questo tipo per i propri figli? Una simile possibilità darebbe
un ulteriore vantaggio alle classi privilegiate; ma si potrebbe
neutralizzarlo concedendo crediti maggiori a chi di privilegi non
gode.
Per funzionare, uno scambio di capacità dovrebbe far capo
a degli organismi aventi il compito di facilitare la raccolta di
informazioni in appositi repertori e di assicurarne l'uso libero
e gratuito. Un organismo del genere potrebbe anche prevedere servizi
di controllo e di certificazione e contribuire all'applicazione
delle leggi necessarie per sventare e prevenire le pratiche monopolistiche.
Fondamentalmente, la libertà di uno scambio universale di
capacità deve essere garantita da leggi che consentano di
discriminare unicamente sulla base delle capacità dimostrate
e non in base a un pedigree scolastico. Una tale garanzia comporta
inevitabilmente il controllo pubblico delle eventuali prove richieste
per qualificare una persona nel mercato del lavoro: altrimenti sarebbe
possibile reintrodurre furtivamente negli stessi luoghi di lavoro
complessi sbarramenti di test, che favorirebbero una selezione di
carattere sociale. Si potrebbe far molto per rendere obiettive le
prove di capacità, per esempio consentendo soltanto quelle
fatte su macchine e sistemi specifici; le prove di dattilografia
(valutabili secondo la velocità, il numero di sbagli e la
capacità o meno del candidato a scrivere sotto dettatura),
quelle di padronanza d'un sistema di contabilità o dell'uso
di una gru idraulica, di guida, di codificazione in Cobol, ecc.
possono esser rese oggettive con estrema facilità.
Di fatto, molte delle capacità che hanno un'importanza pratica
sono saggiabili in questa maniera. E per gli scopi di un direttore
del personale il saggio dell'effettiva capacità posseduta
al momento è molto più utile dell'informazione che
il candidato, vent'anni prima, ha soddisfatto il suo insegnante
al termine di un corso di studi che comprendeva stenografia, dattilografia
e contabilità. Si può naturalmente contestare la necessità
stessa delle prove ufficiali; io personalmente credo che una garanzia
contro il rischio di offendere indebitamente la reputazione di un
uomo appiccicandole un'etichetta sia assicurata meglio da una limitazione
che da un divieto di queste prove.
Assortimento degli eguali
Nel peggiore dei casi, le scuole radunano dei compagni di corso
in una stessa aula e li assoggettano a unidentica successione
di dosi di matematica, educazione civica e ortografia. Nel migliore,
permettono a ogni studente di scegliersi un piano di studi entro
un campionario limitato. In ogni caso, comunque, si formano gruppi
di eguali intorno agli obiettivi fissati dagli insegnanti. Un sistema
didattico auspicabile dovrebbe invece lasciare che sia ciascun individuo
a specificare l'attività per la quale cerca un partner.
La scuola indubbiamente offre ai bambini una possibilità
di evadere da casa e di farsi nuovi amici. Ma, contemporaneamente,
questo processo inculca in loro l'idea che debbano scegliersi gli
amici tra coloro con i quali sono stati messi. Se invece si fornissero
ai giovani, sin dalla più tenera età, stimoli a incontrare,
valutare e cercare altra gente, si farebbe maturare in loro un interesse,
destinato a prolungarsi tutta la vita, alla ricerca di nuovi collaboratori
per iniziative nuove.
Un buon giocatore di scacchi è sempre lieto quando trova
un avversario alla sua altezza, e un principiante quando può
incontrarne un altro. È per questo che ci sono i circoli.
Anche quelli che vogliono discutere su un libro o su un articolo
particolare pagherebbero probabilmente qualcosa per avere degli
interlocutori. E così chi vuoI giocare, fare un'escursione,
costruire una vasca per pesci o applicare un motore a una bicicletta
sarebbe pronto a darsi parecchio da fare per reperire persone con
gli stessi interessi. Trovare questi eguali è il premio dei
suoi sforzi. Le buone scuole cercano di far emergere gli interessi
comuni degli studenti iscritti a uno stesso corso. Il contrario
della scuola sarebbe un'istituzione che aumentasse le possibilità
d'incontro tra le persone che in un determinato momento hanno un
interesse specifico in comune, senza preoccuparsi che abbiano in
comune anche dell'altro.
L'istruzione professionale, a differenza dell'assortimento degli
eguali, non assicura gli stessi vantaggi a entrambe le parti. Ho
già fatto notare che all'istruttore professionale bisogna
di solito offrire qualche incentivo oltre alle soddisfazioni dell'insegnamento.
Il suo lavoro consiste infatti nella continua ripetizione di certi
esercizi che sono tanto più aridi quanto più un allievo
ne ha bisogno. Perché possa aversi uno scambio di capacità
occorrono dunque denaro, crediti o altri incentivi tangibili, anche
quando lo scambio in se dovesse produrre una propria moneta. Un
sistema di assortimento degli eguali non richiede invece simili
incentivi, ma soltanto una rete di comunicazione.
I nastri, i sistemi di reperimento meccanico, l'istruzione programmata
e la riproduzione di forme e suoni tendono a ridurre per molte tecniche
la necessità di ricorrere a insegnanti in carne e ossa; questi
sistemi aumentano l'efficienza degli insegnanti e il numero delle
capacità che una persona può acquisire durante la
sua vita. Parallelamente, si sviluppa il bisogno di incontrare persone
con cui godersi le soddisfazioni della nuova capacità appena
acquisita. Una studentessa che alla vigilia delle vacanze ha preso
lingua greca, sarebbe felice al ritorno di discutere in greco sulla
politica di Creta. Un messicano che vive a New York vorrebbe trovare
altri lettori del giornale Siempre, o di Los Agachados
che è il fumetto più popolare. Un altro invece amerebbe
incontrare persone come lui desiderose di approfondire l'opera di
James Baldwin o di Bolìvar.
Il funzionamento di una rete per l'assortimento degli eguali sarebbe
semplice. Lutente dovrebbe fornire nome e indirizzo e descrivere
l'attività per la quale cerca un partner. Un computer gli
farebbe pervenire i nomi e gli indirizzi di tutti coloro che hanno
presentato la stessa richiesta. È stupefacente che un servizio
così elementare non sia mai stato usato su vasta scala per
attività d'interesse pubblico.
Nella forma più rudimentale, le comunicazioni tra cliente
e computer potrebbero avvenire a giro di posta. Nelle grandi città,
dei terminali di telescriventi potrebbero fornire risposte immediate.
Lunico modo per ottenere dal computer un nome e indirizzo
sarebbe quello di indicare l'attività per la quale si cerca
un partner. Le persone che si servissero del sistema sarebbero quindi
note soltanto ai loro partner potenziali.
Un complemento del computer potrebbero essere una rete di albi murali
e inserzioni sui quotidiani, segnalanti le attività per le
quali il computer non fosse in grado di fornire un partner. Non
ci sarebbe bisogno di dare il nome; i lettori interessati introdurrebbero
allora il proprio nel sistema. Una rete di questo tipo, sovvenzionata
con fondi pubblici, potrebbe essere il solo modo per dare concretezza
alla libertà di riunione e per educare la gente all'esercizio
di questa attività civica assolutamente fondamentale.
Il diritto alla libertà di riunione è da tempo riconosciuto
sul piano politico e accettato sul piano culturale. Ma dobbiamo
renderci conto che esso è limitato dalle leggi che rendono
obbligatorie certe forme di riunione. È il caso, soprattutto,
delle istituzioni che arruolano forzosamente in base all'età,
alla classe o al sesso, e che assorbono grandi quantità di
tempo. Un esempio è l'esercito. Un altro, ancor più
scandaloso, la scuola. Descolarizzare significa abolire il potere
di una persona di costringere un'altra a partecipare a una riunione.
Significa anche riconoscere che ogni individuo, di qualunque età
e sesso, ha il diritto di indire una riunione. Questo diritto è
stato drasticamente limitato dalla istituzionalizzazione delle riunioni.
In origine meeting l'equivalente inglese di riunione
- indicava la conseguenza dell'atto individuale di incontrarsi con
altri; oggi designa il prodotto istituzionale di una qualche organizzazione.
La capacità delle istituzioni-servizi di acquisire clienti
ha superato di gran lunga la possibilità per gli individui
di farsi sentire indipendentemente dai media istituzionali, i quali
danno retta agli individui solo quando costituiscono una notizia
vendibile. La rete per l'assorti mento degli eguali dovrebbe essere
a disposizione di quanti vogliano radunare gente con la stessa facilità
con cui un tempo la campana del villaggio convocava in assemblea
la popolazione. Gli edifici scolastici - che sembra difficile convertire
ad altri usi - potrebbero spesso servire a questo.
Può darsi infatti che tra non molto il sistema scolastico
si trovi a dover affrontare un problema che si è, già
posto alle chiese: che fare dello spazio superfluo rimasto vuoto
per la defezione dei fedeli? Le scuole, come i templi, sono difficili
da vendere. Un modo per far si che continuino a essere utilizzate
sarebbe cedere lo spazio agli abitanti del quartiere. Ognuno potrebbe
dichiarare ciò che intende fare in un'aula e quando, e un
albo murale porterebbe a conoscenza degli interessati i programmi
disponibili. Laccesso alle classi sarebbe gratuito,
o pagabile con buoni-studio. Si potrebbe anche pagare l'insegnante
in base al numero di allievi che sapesse attrarre per ogni periodo
di due ore intere. Immagino che le figure preminenti di questo sistema
sarebbero i giovani leader e i grandi educatori. Allo stesso metodo
si potrebbe ricorrere anche per l'istruzione superiore, assegnando
agli studenti dei buoni-studio, che dessero loro il diritto di consultare
privatamente l'insegnante di loro scelta per dieci ore all'anno,
mentre per il resto dei loro studi essi dipenderebbero dalla biblioteca,
dalla rete per l'assortimento degli eguali e dall'apprendimento
pratico.
Dobbiamo ovviamente ammettere la possibilità che di questi
mezzi pubblici per favorire incontri si abusi a fini di sfruttamento
o immorali, così come è accaduto col telefono e le
poste. Anch'essi dunque, come quelle reti, hanno bisogno di qualche
salvaguardia. Ho proposto altrove 1 un sistema d'incontri che consenta
solo l'uso di informazioni pertinenti scritte, più il nome
e l'indirizzo del richiedente. Un sistema del genere dovrebbe virtualmente
garantire dagli abusi anche il più ingenuo. Altri accorgimenti
potrebbero permettere di aggiungere indicazioni di libri, film,
programmi televisivi o altri temi tratti da un particolare catalogo.
Ma le preoccupazioni sui rischi del sistema non dovrebbero farci
perdere di vista i suoi ben più grandi vantaggi. Alcuni che
condividono il mio interesse per la libertà di parola e di
riunione obietteranno che l'assortimento degli eguali è un
mezzo artificiale per mettere assieme delle persone e non verrebbe
mai usato dai poveri, cioè da quelli che ne hanno più
bisogno. C'è chi si turba sinceramente dinanzi alla proposta
di facilitare incontri ad hoc che non affondino le loro radici nella
vita di una comunità locale. E c'è chi si ribella
alla proposta di usare un computer per classificare e assortire
gli interessi indicati dagli utenti. Non è possibile, dicono,
mettere assieme della gente in un modo così impersonale.
Un'indagine comune deve essere radicata in una storia di esperienze
condivise a molti livelli e deve sgorgare da queste esperienze:
per esempio, dallo sviluppo delle istituzioni di quartiere.
Capisco queste obiezioni, ma credo che non colgano il punto fondamentale
del mio discorso, oltre che del loro. In primo luogo, il ritorno
alla vita di quartiere come centro primario dell'espressione creativa
potrebbe di fatto ostacolare la restaurazione dei quartieri come
unità politiche. Concentrando le richieste sul quartiere
si potrebbe infatti trascurare un importante aspetto liberatorio
della vita urbana: la possibilità per una persona di partecipare
simultaneamente a diversi gruppi di eguali. Inoltre, ed è
molto importante, individui che non hanno mai vissuto assieme in
una comunità fisica possono in certi casi aver molte più
esperienze da mettere in comune che non gente che si frequenta sin
dall'infanzia. Le grandi religioni hanno sempre riconosciuto l'importanza
di questi incontri in terre lontane, e per mezzo di essi i fedeli
hanno sempre trovato la libertà: i pellegrinaggi, il monachesimo,
lo scambio di aiuti fra i templi e i santuari riflettono appunto
questa consapevolezza. Lassortimento degli eguali potrebbe
contribuire in misura significante a rendere esplicite le molte
comunità potenziali ma represse della città.
Certo le comunità locali sono preziose, ma sono anche una
realtà che va scomparendo man mano che gli uomini lasciano
alle istituzioni-servizi il compito di definire i loro giri di rapporti
sociali. Milton Kotler in un libro recente ha dimostrato che l'imperialismo
del centro città svuota il quartiere della sua
importanza politica. Il tentativo protezionistico di far risorgere
il quartiere come unità culturale non fa che rafforzare questo
imperialismo burocratico. Lungi dal sottrarre artificialmente gli
uomini ai loro contesti locali per inserirli in raggruppamenti astratti,
l'assortimento degli eguali dovrebbe favorire la restaurazione di
una vita locale nelle città dove ora essa sta scomparendo.
Un uomo che ritrova l'iniziativa per invitare i suoi simili a conversazioni
significanti può benissimo smettere di accettare d'essere
separato da loro a causa del protocollo d'ufficio o dell'etichetta
dei quartieri residenziali. Una volta constatato che per far qualcosa
assieme basta decidere di volerlo fare, può anche accadere
che la gente chieda una maggiore apertura delle proprie comunità
locali a uno scambio politico creativo.
Dobbiamo riconoscere che la vita urbana tende a diventare immensamente
costosa, nella misura in cui gli abitanti delle città devono
imparare a contare per la soddisfazione di ogni loro bisogno su
complessi servizi istituzionali. Mantenere tutto questo a un livello
sia pur minimo di sopportabilità è estremamente dispendioso.
L' assortimento degli eguali potrebbe essere un primo passo per
porre fine alla dipendenza dei cittadini dai servizi civici burocratici.
Sarebbe anche un passo importante verso la scoperta di nuovi criteri
sui quali basare la pubblica fiducia. In una società scolarizzata,
nel decidere di chi possiamo o non possiamo fidarci, siamo arrivati
a dare sempre più credito al giudizio professionale degli
educa tori sui risultati della propria opera: andiamo cioè
dal medico, dall'avvocato o dallo psicologo perché crediamo
che chiunque abbia ricevuto la dose richiesta di trattamento didattico
specializzato da altri colleghi meriti la nostra fiducia.
In una società descolarizzata, i professionisti non potrebbero
più pretendere la fiducia dei loro clienti in base alloro
pedigree scolastico, o proteggere il loro prestigio facendo semplicemente
il nome di altri professionisti che hanno approvato i loro studi.
Anziché riporre fiducia nei professionisti, un cliente potenziale
dovrebbe in qualunque momento poter consultare altre persone che
si sono già servite di un determinato professionista e chiedere
loro se ne sono rimaste soddisfatte, mediante un'altra rete per
incontri tra eguali facilmente realizzabile con un computer o con
vari altri mezzi. Queste reti potrebbero essere concepite come dei
servizi pubblici, destinati a permettere agli studenti di scegliersi
i loro insegnanti e ai pazienti di scegliersi i propri guaritori.
Educatori professionisti
Man mano che i cittadini avranno nuove possibilità di scelta
e nuove occasioni per imparare, dovrebbe aumentare il loro desiderio
di cercarsi qualcuno che li guidi. C'è da ritenere che sentiranno
sempre più profondamente sia la gioia della propria indipendenza
sia la necessità di una guida. Liberati dalle altrui manipolazioni,
dovrebbero imparare a trarre profitto dal sapere che gli altri hanno
acquisito in tutta una vita. Un'istruzione descolarizzata dovrebbe
non soffocare, ma intensificare la ricerca di uomini provvisti di
sapienza pratica e disposti ad aiutare il novizio nella sua avventura
educativa. Quando i docenti delle varie discipline non pretenderanno
più di essere degli informatori o modelli di rango superiore,
la loro pretesa di possedere una sapienza superiore comincerà
ad apparire autentica. Aumentando la richiesta di maestri, dovrebbe
aumentare anche l'offerta. Con la scomparsa del professore di scuola
si avrà una situazione che dovrebbe favorire la,
vocazione dell'educatore indipendente. Questa può sembrare
una contraddizione in termini tanto i concetti di scuola e di insegnante
sono divenuti complementari; eppure è esattamente a questo
risultato che tenderebbe lo sviluppo dei primi tre tipi di scambi
didattici - e ciò che la loro piena utilizzazione richiederebbe
- perché i genitori e gli altri educatori naturali
hanno bisogno di una guida, i discenti hanno bisogno di assistenza
e le reti hanno bisogno di gente che le faccia funzionare. Ai genitori
occorre una guida per poter indirizzare i propri figli sul cammino
che conduce a un apprendimento indipendente e responsabile; ai discenti
occorre una direzione esperta quando incontrano un terreno accidentato.
Sono due bisogni ben distinti: il primo è un bisogno di pedagogia,
il secondo di una direzione intellettuale in tutti gli altri campi
del sapere. Il primo esige una conoscenza dell'apprendimento umano
e delle risorse didattiche, il secondo una sapienza basata sull'esperienza
d'ogni tipo di ricerca. Entrambe queste esperienze sono indispensabili
per uno sforzo educativo efficace. La scuola mescola le due funzioni
in un unico ruolo, col risultato di rendere sospetto, se non addirittura
indecoroso, l'esercizio indipendente di una sola di esse.
In pratica, bisognerebbe distinguere tre tipi di competenze didattiche:
quella di creare e far funzionare le centrali o reti educative presentate
in queste pagine; quella di guidare studenti e genitori all'uso
delle reti; e quella di agire come primus inter pares nell'affrontare
ardui viaggi di esplorazione intellettuale. Soltanto le prime due
possono essere concepite come rami di una professione indipendente:
i funzionari didattici e i consulenti pedagogici. Per progettare
e far funzionare le reti che ho descritto non occorrerebbe molta
gente, ma ci vorrebbero persone capaci di capire a fondo i problemi
didattici e amministrativi, in una prospettiva molto diversa e anzi
addirittura opposta a quella delle scuole.
Una categoria professionale di educatori indipendenti di questo
tipo, mentre accoglierebbe molte persone che le scuole escludono,
ne escluderebbe molte che le scuole invece abilitano. La costituzione
e il funzionamento delle reti didattiche richiederebbero sì
progettisti e gestori, ma non nella quantità e del tipo di
cui ha bisogno oggi l'amministrazione scolastica. Nelle reti da
me descritte, infatti, il mantenimento della disciplina studentesca,
le relazioni pubbliche, l'assunzione, il controllo e il licenziamento
degli insegnanti non troverebbero posto ne avrebbero un equivalente.
Così pure la preparazione dei programmi dei corsi, la scelta
dei libri di testo, la manutenzione dei terreni e delle attrezzature
o la supervisione delle gare sportive tra le varie scuole. E nemmeno
la custodia dei ragazzi, la preparazione delle lezioni e la compilazione
dei registri, attività che oggi occupano tanta parte del
tempo degli insegnanti, figurerebbero tra i compiti degli addetti
alle reti didattiche. Invece la gestione delle trame dell'apprendimento
richiederebbe alcune capacità e doti che oggi si richiedono
al personale di un museo, di una biblioteca, di un'agenzia di collocamento,
o al maitre d'hotel.
Oggi ai funzionari scolastici tocca sorvegliare insegnanti e studenti
per dare soddisfazione ad altra gente: consiglieri d'amministrazione,
parlamentari, dirigenti di grandi aziende. I creatori e i gestori
delle reti dovrebbero invece dar prova del proprio ingegno sottraendo
se stessi, e gli altri, al controllo di terzi e facilitando gli
incontri tra studenti, dimostratori, consulenti e oggetti didattici.
Molte persone che oggi si sentono attratte dall'insegnamento sono
profondamente autoritarie e non potrebbero mai assumersi questo
compito: creare delle centrali d'istruzione significa infatti facilitare
alla gente, e soprattutto ai giovani, il perseguimento di obiettivi
che potrebbero anche contraddire gli ideali del direttore
del traffico che rende possibile tale perseguimento.
Costituendosi le reti da me descritte, toccherebbe a ogni studente
la scelta del proprio itinerario didattico che solo retrospettivamente
assumerebbe le caratteristiche di un programma riconoscibile come
tale. Lo studente intelligente cercherebbe però ogni tanto
un consiglio professionale: un aiuto per fissarsi un nuovo obiettivo,
lumi per capire le difficoltà incontrate, indicazioni per
scegliere tra vari metodi possibili. Già adesso i più
ammetterebbero che i servizi più importanti resi loro dagli
insegnanti sono stati appunto i consigli o suggerimenti di questo
tipo, forniti in incontri casuali o in qualcuno dei periodici colloqui
di routine. In un mondo non scolarizzato anche i pedagoghi riacquisterebbero
la loro autentica funzione, e riuscirebbero a fare ciò che
oggi presumono di proporsi gli insegnanti frustrati. Mentre gli
amministratori delle reti si dedicherebbero soprattutto alla costruzione
e manutenzione delle vie d'accesso alle risorse, il pedagogo aiuterebbe
lo studente a trovare il cammino atto a portarlo il più rapidamente
possibile alla sua meta. Se uno studente volesse imparare il cantone
se parlato da un suo vicino cinese, il pedagogo sarebbe li per giudicare
i loro progressi e per aiutarli a scegliere il manuale e il metodo
più adatti alle loro capacità, alloro carattere e
al tempo che possono dedicare a questo studio. All'aspirante meccanico
aeronautico potrebbe consigliare i luoghi migliori in cui fare il
suo apprendistato. A chi si stesse preparando per una discussione
sulla storia dellAfrica potrebbe dare indicazioni bibliografiche.
Come l'amministratore della rete, anche il consulente pedagogico
andrebbe considerato un educatore di professione; per servirsi dell'uno
e dell'altro si potrebbero utilizzare buoni-studio.
La funzione dell'iniziatore didattico o maestro o vera
guida è un po' più difficile da definire di quella
dell'amministratore o del pedagogo. Questo perché è
difficile definire il concetto stesso di guida. In pratica, un individuo
è una guida se gli altri seguono le sue iniziative e ne diventano
discepoli nel corso delle sue progressive scoperte. Spesso ciò
implica una visione profetica di criteri di giudizio completamente
nuovi - molto comprensibile al giorno d'oggi - per cui ciò
che adesso è sbagliato risulterà essere
giusto. In una società che, grazie all'assortimento
degli eguali, onorasse il diritto di indire assemblee, le possibilità
di prendere iniziative didattiche su un determinato argomento sarebbero
vaste quanto quelle di accedere all'apprendimento; ma naturalmente
c'è una grande differenza tra chi è in grado di indire
una riunione per discutere fruttuosamente di questo libro e chi
sa guidare gli altri a un'esplorazione sistematica delle sue implicazioni.
Per essere una guida, inoltre, non serve aver ragione. Come fa osservare
Thomas Kuhn, in un periodo nel quale i paradigmi mutano continuamente,
quasi tutte le guide più rispettate rischiano, alla luce
del senno di poi, di apparire in torto. La funzione di guida intellettuale
dipende piuttosto da una disciplina e da un'immaginazione intellettuale
superiori e dalla disponibilità ad associarsi con altri nell'esercitarle.
Un discente, per esempio, può pensare che esista un'analogia
tra il movimento antischiavistico degli Stati Uniti o la rivoluzione
cubana e ciò che sta ora accadendo a Harlem. Leducatore,
se è anche uno storico, può mostrargli come cogliere
i punti deboli di una simile analogia. Può ripercorrere a
suo beneficio il proprio cammino di storico. Può invitare
il discente a partecipare alla sua ricerca. In tutti questi casi
inizierà il suo allievo a una consapevolezza critica che
è rarissima nella scuola e che non è acquistabile
con il denaro o con altri favori.
Questo rapporto tra maestro e discepolo non esiste soltanto nelle
discipline intellettuali, ma ha i suoi equivalenti nelle arti, nella
fisica, nella religione, nella psicoanalisi e nella pedagogia. Funziona
inoltre per l'alpinismo, per la lavorazione dell'argento e la politica,
per l'ebanisteria e la direzione del personale. Ciò che caratterizza
tutti i rapporti autentici tra maestro e allievo è la consapevolezza
comune a entrambi che si tratta d'una relazione letteralmente senza
prezzo e che, in maniere molto diverse, costituisce un privilegio
per tutti e due.
I ciarlatani, i demagoghi, i propagandisti zelanti, i maestri corrotti,
i preti simoniaci, gli imbroglioni, gli operatori di miracoli e
i messia si sono rivelati capaci di assumere funzioni di guida e
ci mostrano in tal modo i rischi insiti nella dipendenza del discepolo
dal suo maestro. Per difendersi da questi falsi insegnanti le diverse
società hanno preso provvedimenti diversi: gli indiani si
affidavano alla divisione in caste, gli ebrei d'oriente al discepolato
spirituale dei rabbini, il cristianesimo dei grandi periodi a una
vita esemplare di virtù monastica, quello di altre epoche
all'ordinamento gerarchico. La nostra società si rimette
ai diplomi rilasciati dalle scuole. È dubbio che questo metodo
assicuri un vaglio migliore, ma, se anche lo si sostenesse, si potrebbe
sempre controbattere che lo fa a spese del rapporto personale maestro-discepolo,
che quasi scompare.
Nella pratica sarà sempre difficile distinguere tra l'istruttore
professionale e la guida didattica sopra descritta, e nulla in realtà
esclude che l'incontro con certe guide possa avvenire scoprendo
un maestro nell'istruttore professionale che inizia
gli studenti alla sua disciplina. D'altro canto ciò che distingue
il rapporto autentico tra maestro e discepolo è il suo carattere
gratuito. Aristotele ne parla come di una specie di amicizia
morale, che non si fonda su patti stabiliti: si fa un dono, o qualunque
altra cosa, come lo si farebbe a un amico. Tommaso d'Aquino
dice, di questo tipo d'insegnamentO, che non può non essere
un atto d'amore e di carità. È sempre un lusso per
l'insegnante e una forma di svago (schole in greco) per lui e per
il suo allievo: un'attività piena di significato per tutti
e due, ma che non si propone ulteriori obiettivi.
È ovvio, persino nella nostra società, che per un'autentica
guida intellettuale si deve contare sulle persone dotate desiderose
di prestarla; ma oggi non si può farne una linea politica.
Dobbiamo prima costruire una società dove gli atti personali
riacquistino un valore superiore a quello della fabbricazione delle
cose o della manipolazione della gente. In una società del
genere un insegnamento esplorativo, inventivo, creativo verrebbe
logicamente considerato una delle forme più desiderabili
di una serena disoccupazione. Non dobbiamo però
attendete l'avvento dell'utopia. Già oggi una delle conseguenze
più importanti della descolarizzazione e della creazione
di attrezzature per l'assortimento degli eguali sarebbe la possibilità
offerta ai maestri di prendere l'iniziativa per riunire
discepoli congeniali. Inoltre, come già abbiamo visto, i
potenziali discepoli avrebbero ampie possibilità di scambiarsi
informazioni o di scegliersi un maestro.
Le scuole non sono le sole istituzioni che snaturino le professioni
incasellandole in determinati ruoli. Gli ospedali rendono sempre
più impossibile il curarsi in casa, e poi giustificano l'ospedalizzazione
come un vantaggio per il malato. Nello stesso tempo, per il medico,
la legittimità e la possibilità di lavorare vengono
a dipendere in misura sempre maggiore dal suo ingresso nei ruoli
di un ospedale, anche se la sua dipendenza è tuttora meno
totale di quella degli insegnanti rispetto alla scuola. Lo stesso
può dirsi dei tribunali, che sovraffollano i loro calendari
man mano che nuove forme di transazione assurgono a solennità
giuridica, e ritardano in tal modo l'applicazione della giustizia.
O ancora delle chiese, che riescono a fare di una vocazione libera
una professione forzata. Il risultato, in ognuno di questi casi,
è sempre lo stesso: un servizio carente a costi più
elevati e maggiori entrate per i membri della professione fieno
preparati.
Sarà difficile riformare le professioni più antiche
fin quando monopolizzeranno i livelli più alti di reddito
e di prestigio. Riformare quella dell'insegnante dovrebbe essere
invece più facile, e non soltanto perché ha origini
più recenti. La professione didattica rivendica oggi un monopolio
globale: pretende la competenza esclusiva a formare non soltanto
i propri apprendisti ma anche quelli delle altre professioni. Questa
sovraespansione la rende vulnerabile da qualunque professione che
reclami il diritto di preparare i propri apprendisti. Inoltre gli
insegnanti sono pagati malissimo e risentono tutta la frustrazione
derivante dal rigido controllo del sistema scolastico. I più
intraprendenti e dotati fra loro, se si specializzassero come dimostratori,
amministratori di reti o consulenti pedagogici, troverebbero probabilmente
un lavoro più congeniale, una maggiore indipendenza e anche
guadagni più alti.
Infine, l'attuale dipendenza dello studente dal professore può
essere infranta più facilmente di quella, per esempio, del
degente in ospedale dal suo medico. Se la scuola cessasse di essere
obbligatoria, agli insegnanti che ripongono la propria soddisfazione
nellesercizio dellautorità pedagogica in aula
rimarrebbero soltanto gli allievi che si sentissero attratti dai
loro metodi. Lo smantellamento della nostra attuale struttura professionale
potrebbe cominciare con l'emarginazione del professore. Lo smantellamento
dell'istituzione scolastica è ormai inevitabile, e si verificherà
molto prima di quanto si pensi. Non si può più infatti
rimandarlo di molto, e non è neanche necessario dare una
forte spinta a provocarlo perché questo viene già
fatto. Piuttosto sarebbe opportuno cercare di orientarlo in una
direzione promettente, dal momento che potrebbe ancora attuarsi
in due maniere diametralmente opposte.
Da un lato potremmo assistere a un allargamento del mandato del
pedagogo e a un conseguente accrescimento del suo controllo sulla
società, anche fuori della scuola. Con le migliori intenzioni
e con la semplice estensione della retorica oggi in uso nella scuola,
lattuale crisi scolastica potrebbe fornire agli educatori
un pretesto per servirsi di tutte le reti della società contemporanea
al fine di incanalare verso di noi i loro messaggi, s'intende per
il nostro bene. La descolarizzazione, che è comunque inarrestabile,
significherebbe in tal caso l'avvento di un mondo nuovo
huxleyano, dominato dai ben intenzionati gestori dell'istruzione
programmata.
Da un altro lato, la crescente consapevolezza dei governi, oltre
che degli imprenditori, dei contribuenti, dei pedagoghi illuminati
e degli amministratori scolastici, che l'organizzazione degli studi
finalizzata al conseguimento di un diploma è divenuta dannosa,
potrebbe offrire a grandi masse di gente una straordinaria possibilità:
quella di preservare il diritto di accedere su un piede di eguaglianza
agli strumenti che permettono sia di apprendere sia di rendere partecipi
gli altri di ciò che si conosce o si crede. Ma per questo
bisognerebbe che la rivoluzione dell'istruzione fosse guidata da
certi obiettivi:
1. Liberare l'accesso alle cose, sopprimendo il controllo che oggi
persone e istituzioni esercitano sui loro valori didattici.
2. Liberare la trasmissione delle capacità, riconoscendo
a chi ne faccia richiesta la libertà di insegnarle o esercitarle.
3. Liberare le risorse critiche e creative della gente, restituendo
ai singoli la possibilità di indire e tenere riunioni, possibilità
che oggi è sempre più monopolizzata da istituzioni
che pretendono di parlare in nome di tutti.
4. Liberare l'individuo dall'obbligo di adattare le proprie aspettative
ai servizi offerti da una professione costituita, fornendogli la
possibilità di attingere dall'esperienza dei suoi eguali
e di affidarsi all'insegnante, alla guida, al consulente o al guaritore
da lui stesso scelto. La descolarizzazione della società
farà inevitabilmente sbiadire le distinzioni tra economia,
istruzione e politica sulle quali si fondano oggi la stabilità
dell'ordine mondiale e quella delle singole nazioni.
La revisione delle istituzioni didattiche ci porta a rivedere anche
la nostra concezione dell'uomo. La creatura che serve alla scuola
come cliente non ha ne l'autonomia ne la spinta per maturare per
conto proprio. Possiamo riconoscere nella scolarizzazione universale
il punto culminante di un'impresa prometeica, e parlare della soluzione
alternativa come di un mondo nel quale possa vivere l'uomo epimeteico.
Ma se possiamo specificare che l'alternativa agli imbuti scolastici
è un mondo reso trasparente da trame di autentica comunicazione,
e se si può precisare con estrema concretezza come esse potrebbero
funzionare, per quanto concerne la natura epimeteica dell'uomo possiamo
soltanto aspettare che riemerga, non programmarla o produrla.
VII - RINASCITA DELLUOMO EPIMETEICO
La nostra società assomiglia a quella macchina insuperabile
che ho visto una volta a New York in un negozio di giocattoli. Era
uno scrigno metallico, che, premendo un pulsante, si apriva per
mostrare una mano meccanica le cui dita cromate si protendevano
verso il coperchio, lo abbassavano e lo chiudevano a chiave dall'interno.
Trattandosi di una scatola, ti saresti aspettato che si potesse
estrarne qualcosa, e invece conteneva soltanto un meccanismo per
chiudere il coperchio. Questo bizzarro congegno è il contrario
esatto della scatola di Pandora.
La Pandora originaria, Colei che tutto dona era, una
dea della terra nella Grecia matriarcale della preistoria. Essa
fece scappare tutti i mali dal suo vaso (pythos), ma chiuse il coperchio
prima che potesse fuggirne anche la speranza. La storia dell'uomo
moderno comincia con la degradazione del mito di Pandora e termina
con lo scrigno che si chiude da solo. È la storia dello sforzo
prometeico per creare istituzioni che blocchino l'azione dei mali
scatenati. È la storia dell'affievolirsi della speranza e
gel sorgere delle aspettative.
Per capire ciò che questo vuol dire dobbiamo riscoprire la
differenza tra speranza e aspettativa. Speranza, nell'accezione
più pregnante, indica una fede ottimistica nella bontà
della natura, mentre aspettativa, nel senso in cui utilizzerò
questo termine, è contare su risultati programmati e controllati
dall'uomo. La speranza concentra il desiderio su una persona dalla
quale attendiamo un dono. L'aspettativa attende soddisfazione da
un processo prevedibile, il quale produrrà ciò che
è nostro diritto pretendere. Oggi l'ethos prometeico ha messo
in ombra la speranza. La sopravvivenza della specie umana dipende
dalla sua riscoperta come forza sociale.
La Pandora originaria venne mandata sulla terra con un vaso che
conteneva tutti i mali, e in più, come unico bene, la speranza.
Era in questo mondo di speranza che viveva l'uomo primitivo. Egli
confidava, per sopravvivere, nella munificenza della natura, nelle
elargizioni degli dèi e negli istinti della sua tribù.
I greci dell'epoca classica cominciarono a sostituire alla speranza
le aspettative. Nella loro versione del mito, Pandora liberava sia
i mali che i beni; ma essi la ricordavano soprattutto perché
aveva sguinzagliato i mali nel mondo. E, cosa particolarmente significativa,
dimenticavano che Colei che tutto dona era anche la
guardiana della speranza.
I greci raccontavano anche la storia di due fratelli, Prometeo e
Epimeteo. Il primo consigliò all'altro di star lontano da
Pandora; ma l'altro non gli diede retta e la sposò. Nella
Grecia classica il nome Epimeteo, che significa colui
che capisce a posteriori, era considerato un sinonimo di sciocco
o di ottuso. All'epoca in cui Esiodo rinarrò
questa storia nella sua forma classica, i greci erano divenuti dei
patriarchi moralisti e misogini, terrorizzati al solo pensiero della
prima donna. Essi costruirono una società razionale e autoritaria.
Escogitarono istituzioni con le quali contavano di tener testa ai
mali scatenati. Scoprirono il loro potere di plasmare il mondo e
di fargli produrre servizi che impararono anche ad aspettarsi. Vollero
che le proprie necessità e le future esigenze dei loro figli
fossero conformate alle loro opere. Divennero legislatori, architetti
e scrittori, crearono costituzioni, città e opere d'arte
perché servissero da modelli alla loro progenie. Mentre l'uomo
primitivo aveva adoperato una partecipazione mitica ai sacri riti
per iniziare gli individui alle tradizioni della società,
i greci dell'età classica riconoscevano come veri uomini
solo quei cittadini che si lasciavano adattare dalla paideia (educazione)
alle istituzioni create dai loro avi. Levoluzione del mito
rispecchia il passaggio da un mondo in cui si interpretavano i sogni
a un mondo in cui si facevano oracoli. Da tempo immemorabile la
dea Terra veniva adorata sulle pendici del monte Parnaso, che era
il centro e l'ombelico del mondo. Là, a Delfi (da delphys,
utero), Gaia, sorella di Caos e di Eros, dormiva in una grotta.
Suo figlio, il drago Pitone, ne sorvegliava i sogni bagnati dalla
rugiada e dal chiaro pi luna, finche non arrivò dall'oriente
Apollo, il dio del Sole e l'archi tetto di Troia, che trucidò
il drago e s'impadronì della grotta. I suoi sacerdoti si
presero il tempio. Assunta una vergine del luogo, la mettevano a
sedere su un tripode sopra il fumante ombelico della Terra e la
intontivano con i fumi, quindi trascrivevano le sue frasi estatiche
negli esametri di profezie formulate in modo da avverarsi in qualunque
caso. Gli uomini di tutto il Peloponneso portavano al santuario
di Apollo i loro problemi. Ne consultavano l'oracolo anche per le
scelte sociali, come i provvedimenti da prendere per fermare una
pestilenza o una carestia, per dare a Sparta la costituzione migliore
o per stabilire i luoghi più adatti a costruire città
che si sarebbero poi chiamate Bisanzio e Calcedonia. La freccia
infallibile divenne il simbolo di Apollo e tutto ciò che
aveva a che fare con lui diventò utile e importante.
Già Platone, quando descrisse nella RepubblIca lo stato ideale
escludeva la musica popolare. Nelle città sarebbero state
permesse soltanto la cetra e la lira di Apollo perché soltanto
la loro armonia crea il canto della necessità e quello
della libertà, il canto dello sventurato e quello del fortunato,
il canto del coraggio e quello della temperanza, che s'addicono
ai cittadini. I quali cittadini erano invece presi da timor
panico davanti al flauto di Pan e al suo potere di destare gli istinti:
soltanto i pastori possono suonare le canne [di Pan] e solo
nelle campagne..
Luomo si assunse la responsabilità delle leggi sotto
cui voleva vivere e quella di modellare l'ambiente a propria immagine.
Liniziazione primitiva alla vita mitica attraverso la Madre
Terra si trasformò nell'educazione (paideia) del cittadino
capace di sentirsi a proprio agio nel foro.
Per il primitivo il mondo era governato dal fato, dai fatti e dalla
necessità. Sottraendo il fuoco agli dèi, Prometeo
tramutò i fatti in problemi, revocò in dubbio la necessità
e sfidò il fato. Luomo classico formò un contesto
civilizzato per una prospettiva umana. Era conscio di potere, sì,
sfidare il fato, la natura e l'ambiente, ma solo a proprio rischio.
Luomo contemporaneo va oltre: tenta di creare il mondo a propria
immagine, di costruire un ambiente prodotto totalmente dall'uomo,
e poi s'accorge che può farlo solo a patto di rifare continuamente
se stesso per adattarsi ad esso. Dobbiamo ora guardare in faccia
la realtà: è l'uomo stesso che è in gioco.
Vivere oggi a New York significa avere una particolarissima visione
di ciò che è e di ciò che può essere,
senza la quale vivere a New York sarebbe impossibile. Nelle sue
strade un bambino non tocca mai niente che non sia stato scientificamente
elaborato, fabbricato, pianificato e venduto a qualcuno. Persino
gli alberi sono lì perché la Ripartizione giardini
ha deciso di metterceli. Le barzellette che egli ascolta alla televisione
sono state programmate a caro prezzo. I rifiuti con i quali gioca
nelle vie di Harlem sono resti di confezioni concepite per altre
persone. Persino i desideri e le paure sono plasmati dalle istituzioni.
Il potere e la violenza hanno una precisa articolazione e gestione:
da una parte le bande, dall'altra la polizia. La stessa istruzione
consiste nel consumare materie, che sono il risultato di programmi
studiati, pianificati e imposti sul mercato. Tutto ciò che
c'è di buono è il prodotto di qualche istituzione
specializzata. Sarebbe assurdo chiedere qualcosa che nessuna istituzione
può produrre. Il ragazzo nuovaiorchese non può aspettarsi
niente che sia al di fuori dei possibili sviluppi del processo istituzionale.
Persino la sua fantasia è stimolata a produrre fantascienza.
La sorpresa poetica del non programmato gli si presenta solo quando
incontra lo sporco, lo sbaglio clamoroso, il guasto:
la buccia d'arancia nella cunetta, la pozzanghera per la strada,
lo sconvolgimento dell'ordine o di un programma, l'avaria di una
macchina sono gli unici spunti che possono dare il via alla fantasia
creativa. Bigiare diventa la sola esperienza poetica
a portata di mano. poiché non c'è nulla di desiderabile
che non sia stato programmato, il ragazzo di città ne arguisce
che sapremo sempre inventare un'istituzione per ogni nostro bisogno.
Riconosce al processo, come un dato di fatto incontestabile, il
potere di creare valore. Che si tratti d'incontrare un compagno,
d'integrare un quartiere o d'imparare a leggere, l'obiettivo verrà
sempre definito in modo tale che la sua realizzazione sia organizzabile
tecnicamente. Luomo il quale sa che tutto quanto è
richiesto viene prodotto, ben presto finisce per aspettarsi che
niente di ciò che viene prodotto possa non essere richiesto.
Se si può progettare un veicolo lunare, altrettanto è
concepibile la richiesta di andare sulla luna. Non andare dove si
può andare sarebbe sovversivo. Smaschererebbe la follia del
principio che ogni richiesta soddisfatta comporti la scoperta di
una richiesta ancor maggiore che chiede di essere soddisfatta a
sua volta. Una rivelazione del genere arresterebbe il progresso.
Non produrre ciò che è possibile metterebbe in luce
che la legge delle aspettative crescenti è un
eufemismo per indicare un abisso di frustrazione sempre più
profondo, che è il vero motore di una società fondata
sulla coproduzione di servizi e di accresciuta domanda.
Lo stato d'animo dell'abitante della città moderna figura
nella tradizione mitica solo nelle immagini dell'inferno. Sisifo,
che per qualche tempo era riuscito a mettete in catene Thanatos
(la morte), deve far rotolare un pesante masso su per una collina
sino in cima all'Ade, e ogni volta che sta per arrivare alla meta
il masso gli sfugge di mano. Tantalo che, invitato a pranzo dagli
dèi, rubò loro in quella occasione la ricetta segreta
dell'ambrosia che guariva ogni male e conferiva l'immortalità,
soffre in eterno la fame e la sete, immerso in un fiume le cui acque
si ritraggono dalle sue labbra e sotto i rami di un albero i cui
frutti gli sfuggono. Un mondo di richieste sempre crescenti non
è semplicemente un male, lo si può soltanto definire
un inferno.
Luomo ha conquistato il potere frustrante di chiedere qualunque
cosa perché non riesce a immaginare niente che non possa
essergli fornito da un'istituzione. Circondato da strumenti onnipotenti,
è ridotto a essere uno strumento dei propri strumenti. Ogni
istituzione nata per esorcizzare uno dei mali primitivi è
diventata per lui uno scrigno a perfetta tenuta e a chiusura automatica.
Luomo è intrappolato nelle scatole da lui costruite
per racchiudervi i mali che Pandora si lasciò scappare.
Loffuscamento della realtà ad opera dello smog prodotto
dai nostri strumenti ci ha avviluppati tutti. Ci troviamo all'improvviso
nel buio di una trappola fabbricata da noi stessi.
Anche la realtà è arrivata a dipendere dalle decisioni
umane. Lo stesso presidente che ordinò l'inefficace invasione
della Cambogia avrebbe potuto benissimo ordinare l'impiego efficacissimo
dell'atomo. Il pulsante di Hiroshima può oggi
tagliare l'ombelico della Terra. L'uomo ha il potere di far sì
che Caos travolga sia Eros sia Gaia. Questo suo nuovo potere ci
ricorda costantemente che le nostre istituzioni non soltanto si
creano i propri fini, ma possono anche porre fine a se stesse e
a noi.
La loro assurdità è evidente se si prende ad esempio
l'istituzione militare: le armi moderne sono in grado di. difendere
la libertà, la civiltà e la vita solamente annientandole;
la sicurezza, nel linguaggIo dei militari, è la capacità
di toglier di mezzo la Terra.
Non meno palese è l'assurdità di fondo delle istituzioni
non militari. Non hanno pulsanti che possano scatenare la loro potenza
distruttiva, ma non ne hanno neanche bisogno. Tengono già
ben saldo nelle loro mani il coperchio del mondo. Creano bisogni
più rapidamente che soddisfazioni e nel tentativo di appagare
i bisogni che esse stesse suscitano, consumano la Terra. Questo
vale per l'agricoltura e per l'industria, ma anche per la medicina
e l'istruzione. Lagricoltura moderna avvelena ed esaurisce
il suolo. La rivoluzione verde è in grado, con
le nuove sementi, di triplicare la produzione per ettaro, ma solo
aumentando, in misura proporzionalmente ancor maggiore, limpiego
di fertilizzanti, insetticidi, acqua e energia. La fabbricazione
di questi prodotti, come di tutti gli altri, inquina gli oceani
e l'atmosfera e degrada risorse insostituibili. Se la combustione
continuasse ad aumentare con l'attuale ritmo, finiremmo presto per
consumare l'ossigeno dell'atmosfera con una rapidità superiore
a quella della sua rigenerazione. E non abbiamo motivo di credere
che la fissione o la fusione possano sostituire la combustione senza
rischi eguali o maggiori. Gli stregoni rimpiazzano le levatrici
e promettono di trasformare l'uomo in qualche altra cosa: programmato
geneticamente, purificato farmacologicamente e capace di restar
malato più a lungo. Lideale contemporaneo è
un mondo totalmente asettico, dove ogni contatto tra gli uomini,
o tra gli uomini e il loro ambiente, sia frutto di previsioni e
manipolazioni. La scuola è diventata il processo programmato
che attrezza l'uomo per un mondo programmato, il principale strumento
per chiudere l'uomo nella sua stessa trappola; il suo fine dichiarato
è di portare ognuno a un livello adeguato per poter svolgere
una parte in questo gioco mondiale. Inesorabilmente, coltiviamo,
curiamo, produciamo e scolarizziamo il mondo per farlo morire.
Lassurdità dell'istituzione militare è evidente.
È più difficile rendersi conto di quella delle istituzioni
non militari, che è ancora più spaventosa proprio
perché inesorabile è il suo operare. Noi sappiamo
quale pulsante non bisogna premere per evitare un olocausto atomico:
non esiste invece pulsante che impedisca un'Armageddon ecologica.
Nell'antichità classica l'uomo aveva scoperto che il mondo
poteva essere foggiato secondo i suoi piani, e partendo da questa
intuizione aveva capito che esso era intrinsecamente precario, tragico
e comico. Sviluppandosi le istituzioni democratiche si affermò
il principio che nel quadro di esse ci si poteva fidare delluomo.
Le aspettative riposte nel debito processo e la fiducia nella natura
umana si equilibravano reciprocamente. Sorsero le professioni tradizionali
e con esse le istituzioni necessarie al loro esercizio.
Laffidamento al processo istituzionale ha però finito
furtivamente per sostituire la fiducia nella buona volontà
dell'individuo. Il mondo ha perduto, la sua dimensione umana per
ritrovare linesorabilità dei fatti e la fatalità
che caratterizzavano le epoche primitive. Ma mentre il caos dei
barbari trovava costantemente un suo ordine nel nome di dèi
misteriosi e antropomorfici, oggi solo la pianificazione umana può
fornire una ragione del fatto che il mondo è quello che è.
L'uomo è diventato il trastullo di scienziati, ingegneri
e pianificatori. Vediamo in funzione questa logica in noi e negli
altri. Conosco un villaggio messicano dove passano ogni giorno
non più d'una dozzina di automobili. Qui un messicano
stava giocando a domino sulla nuova strada lastricata davanti
a casa sua, dove probabilmente soleva giocare e sedersi fin da bambino.
Passò velocissima un'auto e lo uccise. Il turista che mi
raccontò l'episodio era profondamente turbato, e tuttavia
disse: Se l'è tirato addosso.
A prima vista la sua osservazione non è molto diversa
da quella di un primitivo quando racconta la morte di un tizio che
ha violato un tabù e di conseguenza è morto. Ma le
due osservazioni hanno un significato opposto. Il primitivo
può incolpare qualche forza trascendente, ottusa e implacabile,
mentre il turista è dominato dalla logica inesorabile della
macchina. Il primitivo ignora la responsabilità, il turista
la conosce ma la nega. Nell'uno e nell'altro sono assenti il tono
classico del dramma, l'atmosfera della tragedia, la logica dello
sforzo e della ribellione personale. Il primitivo non ne ha preso
coscienza e il turista l'ha persa. Il mito del boscimano e quello
dell'americano sono fatti di forze inerti, inumane. Non comportano,
ne l'uno ne l'altro, la ribellione tragica. Per il boscimano l'evento
procede dalle leggi della magia, per l'americano da quelle della
scienza. Levento lo pone sotto l'influsso delle leggi della
meccanica, che secondo lui governano gli accadimenti fisici, sociali
e psicologici.
Lo stato d'animo dei giorni in cui viviamo è propizio a una
svolta fondamentale nella ricerca di un futuro che sia aperto alla
speranza. Gli obiettivi delle istituzioni contraddicono infatti
continuamente i loro prodotti. Il piano contro la povertà
fa aumentare il numero dei poveri, la guerra in Asia quello dei
Vietcong, l'assistenza tecnica il sottosviluppo. Gli ambulatori
per il controllo delle nascite elevano i tassi di sopravvivenza
ed espandono la popolazione; le scuole producono un maggior numero
di evasori; e mettere un freno a un tipo d'inquinamento significa
di solito accentuarne un altro.
La massa dei consumatori comincia ad accorgersi che quanto più
può comprare, tante più delusioni le tocca ingoiare.
Sino a non molto tempo fa sembrava logico dare la colpa di questa
epidemia di disfunzioni al ritardo della scoperta scientifica rispetto
alle richieste della tecnologia, oppure alla malvagità dei
nemici etnici, ideologici o di classe. Ora Je aspettative di un
nuovo millennio scientifico come quelle di una guerra che ponesse
fine a tutte le guerre sono tramontate.
Il consumatore esperto non ha modo di ritornare a una ingenua fiducia
nelle tecnologie magiche. Troppe persone hanno avuto brutte esperienze
con computer nevrotici, infezioni prese in ospedale e ingorghi ovunque
ci sia traffico, per le strade, sulle rotte aeree o nei telefoni.
Ancora dieci anni fa la saggezza convenzionale preannunciava un
mondo migliore basato sul progresso della ricerca scientifica; adesso
gli scienziati spaventano i bambini. I lanci sulla luna costituiscono
un'affascinante dimostrazione che si possono eliminare quasi completamente
gli errori umani nel funzionamento dei sistemi complessi, e tuttavia
ciò non placa la nostra paura che l'impossibilità
umana di consumare secondo le istruzioni possa sfuggire a ogni controllo.
Neanche il riformatore sociale può tornare agli assunti degli
anni quaranta. È svanita la speranza di superare il problema
della giusta distribuzione dei beni creando un'abbondanza dei beni
stessi. Il costo minimo dei prodotti che possono soddisfare i gusti
moderni è salito alle stelle, e ciò che rende moderno
un gusto è il fatto di passar di moda prima ancora di essere
soddisfatto.
I limiti delle risorse del pianeta sono divenuti evidenti. Nessun
balzo in avanti della scienza o della tecnologia potrebbe procurare
a ogni abitante del mondo i beni e i servizi oggi a disposizione
dei poveri dei paesi ricchi. Per raggiungere questa meta, anche
con la più leggera delle tecnologie alternative,
occorrerebbe infatti, per esempio, estrarre ferro, stagno, rame
e piombo, in quantità cento volte superiore all'attuale.
Infine, insegnanti, medici e assistenti sociali s'accorgono che
le loro prestazioni professionali, pur così diverse, hanno
almeno un aspetto in comune: creano cioè ulteriori richieste
degli interventi istituzionali da loro forniti, prevenendo e superando
le loro possibilità di fornire servizi istituzionalizzati.
Non semplicemente qualche parte, ma la logica stessa della saggezza
convenzionale comincia a essere revocata in dubbio. Persino le leggi
dell'economia non sembrano più tanto convincenti, fuori degli
stretti parametri che si riferiscono all'area sociale e geografica
dove è concentrata la massima parte del denaro. Il quale
denaro è effettivamente il mezzo di scambio più a
buon mercato, ma solo in un'economia strettamente legata a un'efficienza
che si misuri in termini monetari. Sia i paesi capitalisti sia quelli
comunisti, nelle loro forme diverse, misurano l'efficienza secondo
i rapporti tra costi e profitti espressi in dollari. Il capitalismo,
per asserire la propria superiorità, ostenta un tenore di
vita più alto. Il comunismo vanta invece un più elevato
tasso di sviluppo come indice del suo futuro trionfo. Ma sotto entrambe
le ideologie il costo totale dell'aumento dell'efficienza cresce
in progressione geometrica. Le maggiori istituzioni si battono accanitamente
per impadronirsi di risorse che non sono elencate in nessun inventario:
l'aria, l'oceano, il silenzio, il sole, la salute. E attirano l'attenzione
del pubblico sulla scarsità di queste risorse solo quando
sono ormai quasi irrimediabilmente degradate. La natura diventa
ovunque venefica, la società disumana, mentre si viola la
vita interiore e si soffocano le vocazioni personali.
Una società che istituzionalizza i valori identifica la produzione
di beni e servizi con la richiesta dei medesimi. Nel prezzo del
prodotto è compreso il condizionamento che ti porta ad aver
bisogno di quel prodotto. La scuola è l'agenzia pubblicitaria
che ti fa credere di aver bisogno della società così
com'è. In una società del genere il valore marginale
è diventato qualcosa che si autotrascende incessantemente.
Esso costringe i pochi grandi consumatori a contendersi il potere
di esaurire le risorse della terra, di riempirsi le pance già
gonfie, di disciplinare i piccoli consumatori e di impedire le attività
di coloro che ancora trovano soddisfazione nell arrangiarsi
con ciò che hanno. L'ethòs dell'insaziabilità
è dunque alla radice della devastazione fisica, della polarizzazione
sociale e della passività psicologica.
Una volta che i valori sono stati istituzionalizzati in processi
programmati e meccanizzati, i membri della società moderna
credono che il vivere bene consista nell'avere istituzioni che definiscano
i valori di cui essi e la loro società ritengono d'aver bisogno.
Il valore istituzionale può essere definito come il livello
di produzione di una istituzione. Il valore corrispondente di un
uomo si misura secondo la sua capacità di consumare e degradare
questi prodotti istituzionali, e di creare in tal modo una nuova
- e anche maggiore - richiesta. Il valore dell'uomo istituzionalizzato
dipende dalle sue capacità di inceneritore. Per usare un'immagine:
egli è diventato lidolo delle sue opere. Luomo
definisce ormai sè stesso come la fornace che brucia i valori
prodotti dai suoi stessi utensili. E questa sua capacità
non ha limiti. Il suo è l'atto di Prometeo portato all'estremo.
L'esaurimento e linquinamento delle risorse della terra sono,
soprattutto, l'effetto di una corruzione dell'immagine che l'uomo
si fa di se stesso, di una regressione della sua coscienza. Qualcuno
preferirebbe parlare di una mutazione della coscienza collettiva,
che porta a vedere nell'uomo un organismo dipendente non dalla natura
o da altri individui, ma dalle istituzioni. Questa istituzionalizzazione
dei valori essenziali, questa fede che un processo di trattamento
programmato finisca col dare i risultati desiderati da chi lo subisce,
questo ethos consumistico sono al centro dell'illusione prometeica.
Gli sforzi per arrivare a un nuovo equilibrio nell'ambiente globale
dipendono dalla disistituzionalizzazione dei valori.
Il dubbio che nel concetto di homo faber vi sia qualcosa di strutturalmente
sbagliato si va sempre più diffondendo in una minoranza sparsa
in tutti i paesi, comunisti, capitalisti e sottosviluppati.
Questo dubbio è la caratteristica comune di una nuova elite.
Appartengono a essa individui di ogni classe, reddito, fede e civiltà.
Essi sono giunti a diffidare dei miti della maggioranza: delle utopie
scientifiche, del diabolismo ideologico e dell'aspettativa del giorno
in cui beni e servizi saranno distribuiti con una certa eguaglianza.
Hanno in comune con la maggioranza la sensazione d'essere in trappola
e, ancora, la consapevolezza che quasi tutte le nuove scelte politiche
adottate con vasto consenso approdano regolarmente a risultati che
sono clamorosamente opposti ai loro fini dichiarati. Ma mentre la
maggioranza prometeica degli aspiranti esploratori spaziali continua
a non affrontare il problema strutturale, la minoranza emergente
critica il deus ex machina scientifico, la panacea ideologica e
la caccia ai diavoli e alle streghe, e comincia a dar forma al proprio
sospetto che le nostre continue illusioni ci leghino alle istituzioni
contemporanee come le catene legavano Prometeo alla roccia. Una
fiducia piena di speranza e lironia classica (eironeia) devono
allearsi per denunciare l'inganno prometeico.
Si ritiene di solito che Prometeo significhi il preveggente
o anche colui che fa avanzare la stella polare. Egli
sottrasse abilmente agli dèi il monopolio del fuoco, insegnò
agli uomini a servirsene per forgiare il ferro, divenne il dio dei
tecnologi e finì legato a ferree catene.
La Pizia di Delfi è stata ora sostituita da un computer che
troneggia sui pannelli e perfora schede. Gli esametri dell'oracolo
hanno lasciato il posto a istruzioni in codici di sedici bit. Luomo
timoniere ha ceduto la barra alla macchina cibernetica. Sta per
comparire la macchina definitiva che guiderà i nostri destini.
I bambini fantasticano di volare con le loro astronavi lontano da
una terra al crepuscolo.
Dalla prospettiva delluomo giunto sulla luna, Prometeo potrebbe
riconoscere nell'azzurra e splendente
Gaia il pianeta della speranza e l'arca dell'umanità. Una
nuova consapevolezza dei limiti della Terra e una nuova nostalgia
possono oggi aprire gli occhi agli uomini e portarli a condividere
la scelta di Epimeteo che sposando Pandora sposò la Terra.
A questo punto il mito greco diventa una profezia carica di speranze,
perché ci dice che il figlio di Prometeo era Deucalione,
il timoniere dell'arca che, come Noè, resistette al diluvio
e diventò padre di una nuova umanità, che egli fece
con la terra unitamente a Pirra, figlia di Epimeteo e di Pandora.
Incominciamo così a capire che in realtà il pythos
che Pandora ricevette dagli dèi è il contrario di
una scatola: è il nostro vascello, la nostra arca.
Abbiamo ora bisogno di un nome per chi crede più nella speranza
che nelle aspettative. Abbiamo bisogno di un nome per chi ama più
la gente dei prodotti, per chi crede che
Non ci sono uomini poco interessanti.
Sono i loro destini storie di pianeti.
Tutto, nel singolo destino, è singolare,
e non c'è un altro pianeta che gli somigli.
Abbiamo bisogno di un nome per chi ama la terra sulla quale tutti
possono incontrarsi.
Ma se qualcuno è vissuto inosservato
- e di questo s'è fatto un amico -
tra gli uomini è stato interessante
anche col suo passare inosservato.
Abbiamo bisogno di un nome anche per chi collabora con il proprio
fratello prometeico ad accendere il fuoco e a foggiare il ferro,
ma lo fa per accrescere la propria capacità di assistere,
curare e aiutare gli altri, sapendo che
Ognuno
ha un mondo misterioso
tutto suo
e in esso c' è lattimo più bello
e l'ora più angosciosa,
solo che noi non ne sappiamo niente.
Propongo che questi fratelli e sorelle pieni di speranza vengano chiamati
uomini epimeteici. |