La Sovranità dell‘Individuo
Saggio sulla libertà in America - Parte 1 / Parte 2 / Parte 3
(Luigi Corvaglia, 2000
/ dal sito http://www.scaruffi.com )

II. Fra Utopia e Distopia: Libertà e nuove tecnologie

Una nuova vita vi attende nelle colonie Extra-Mondo.
L’occasione per ricominciare in un Eldorado di buone occasioni e avventure, un nuovo clima, divertimenti ricreativi…
Messaggio pubblicitario dall’alto, in Blade Runner

 

2.1 – L’ultima frontiera: il Cyberspazio

"Think For Yourself, Question Autority" (TFYQA), ovvero "pensa col tuo cervello, metti in discussione l’autorità" è lo slogan individualista di Timothy Leary, lo psicologo che con tali atteggiamenti riuscì a farsi scacciare energicamente dalla più prestigiosa delle università d’America, la compassata Harvard, ma la "nuova frontiera" invocata da John Fitzgerald Kennedy a dimostrazione di quanto siano imprescindibili gli ideali western per caratterizzare la psiche americana, assume qui dei connotati culturali quantomeno alternativi. La "sovranità individuale" rivendicata infatti dal movimento psichedelico ( letteralmente, di "allargamento delle coscienza"), si affianca alla contemporanea lotta per i diritti civili ma si inserisce nella scia già tracciata dalla beat generation nella denuncia del conformismo massificante e totalitario prodotto dai media e invitando alla riscoperta di sé mediante l’utilizzo di sostanze allucinogene. Sull’onda psichedelica si assiste ad un ritorno allo sperimentalismo comunitario ed ecologista. Il poeta anarchico Alan Hoffman ne fu uno dei protagonisti. Nello stesso momento l’università di Berkley diveniva il centro di una contestazione studentesca libertaria a cui il Maggio francese darà una svolta marxista.

Negli anni ’80 la parola d’ordine di un altro presidente, George Bush, non ricorda più l’intento di un pioniere di colonizzare nuovi spazi, bensì quelli di uno sceriffo di mantenere la calma in città. E’ la formula del "nuovo ordine mondiale" dietro il cui paravento non pochi vedono profilarsi l’angosciosa visione totalitaria dello sceriffo globale ("non voglio guai nella mia città"). Chi meglio di altri è riuscito a rendere tale (pre)visione è il filone (contro)culturale definito cyberpunk. Sono gli "hackers", i maghi del computer, individualisti tecnologici dell’età dell’informazione, i nuovi lonely riders, i "cowboys della consolle". Non è un caso che, negli anni ’80, Timothy Leary si sia riciclato come guru dei computers ("L’LSD degli anni novanta"). Una breve analisi del movimento degli hackers ci fornirà le basi per valutare ancora una volta la coesistenza di due visioni di libertà (e quindi di due anarchismi) che solo uno studioso distratto può fare l’errore di confondere. La storia inizia con la più anarchica delle intuizioni scientifiche: la rete telematica. Internet sembra la realizzazione del sogno di Pierre Proudhon di un mondo in cui " il centro è ovunque e la periferia in nessun posto". Già il padre della cibernetica, Norbert Wiener, molto prima che internet divenisse una realtà, era convinto che tramite una rete di flussi informatici si sarebbe potuto realizzare una società senza stato e senza politica in cui le funzioni di controllo sarebbero state affidate alle macchine. Simili aspettative quasi messianiche sono espresse dall’uomo di punta del MIT di Boston, Nicholas Negroponte, vero apostolo della rete, che prospetta una "democrazia elettronica" che renderebbe finalmente possibile la famosa "democrazia diretta" tanto cara ad anarchici e radicali. Negli ultimi anni è stato tutto un vociare entusiastico sulle possibilità liberatorie della rete. Se il movimento psichedelico aveva inteso la libertà come il superamento di una frontiera mentale, "psichica", il fenomeno telematico porta la metafora western ad un livello di astrazione ancora più alto eppur pragmaticamente molto più concreto con l’utilizzo del concetto di Cyberspazio, neologismo che lo scrittore William Gibson ha utilizzato per definire un’altra dimensione a-spaziale, il mondo elettronico delle connessioni d’informazione, intangibile ma reale, l’universo concettuale, il mondo di internet. Il cyberspazio come ultima frontiera. L’espressione più pura di questa visione libertaria della rete è quella rappresentata dall’intellettuale di punta del mensile di culto degli hackers Wired, Kevin Kelly. Questi predica l’Out of Control, ovvero la revisione aggiornata ai tempi dell’informazione della "mano invisibile" di Adam Smith. Per la prima volta nella storia, secondo Kelly, diventa concretamente realizzabile l’ideale del "mercato perfetto". La rete, infatti, permette a chiunque di mettersi in contatto con chiunque altro, senza mediazione alcuna:

Chiunque potrà cercare attraverso Internet la merce al costo più basso: ci saranno software in grado di fare il confronto tra i vari prodotti: Si creeranno associazioni di consumatori che commenteranno la qualità delle diverse merci. Spesso, nel mercato di oggi, venditori e compratori non si incontrano: Esistono aziende con ottimi prodotti che non riescono a contattare i clienti giusti (…) Chi vuole vendere deve solo descrivere le sue merci, la loro disponibilità ed il prezzo. E chi vuole acquistare può usare le potenzialità di ricerca automatica. Ecco il "capitalismo senza attriti" che salta i parassitismi delle reti verticali di distribuzione per diventare democratico e orizzontale.

Questa visione, è evidente, rappresenta in maniera esemplare quella che si è chiamata "tendenza adamitica" della psiche americana. Questa è infatti il brodo di coltura ottimista e radicalmente individualista ed antiautoritario in cui si sviluppa l’anarchismo americano. E’ altresì evidente, però, come questa lettura combaci soprattutto con l’ideologia anarcocapitalista, piuttosto che con quella del mainstream anarchico statunitense. In effetti, il "Cato Istitute", la fondazione del Libertarian Party, ha sempre mostrato grande entusiasmo per l’utilizzo della rete come laboratorio della società-mercato. Uno degli aspetti più graditi è che una delle più interessanti realizzazioni collegate al commercio elettronico (e-commerce), la "moneta digitale", permette trasferimenti di denaro in modo assolutamente anonimo (oltre che immateriale) . In altri termini, la rete permette l’evasione fiscale ("mai più un dollaro allo stato") e perfino la fine del monopolio statale sulla moneta circolante in quanto ogni banca può emettere la propria moneta digitale per gli acquisti on-line, esattamente come avveniva per le banconote nell’economia del selvaggio West. E rieccoci alla frontiera!

A rendere ancora più evidente l’alto grado di congenialità della rete telematica con l’utopia anarcocapitalista è l’elaborazione che due economisti americani, James Dale Davidson e William Rees_Mogg, producono del concetto di "individuo sovrano". Egli è essenzialmente un produttore di idee free-lance, un capitano di ventura che non esprime fedeltà alla propria nazione-stato ma che "svolgerà la propria opera senza badare troppo ai confini tra uno stato e l’altro" . E. Pedemonte, un apologeta dell’anarcocapitalismo, spiega meglio il concetto:

Il nuovo cittadino sovranazionale, negli anni dopo il Duemila, sarà sempre meno cittadino nel senso in cui lo intendiamo oggi, e sempre più cliente dei diversi Stati. Tutti coloro che faranno parte dell’élite intellettuale e saranno in grado di vendere la propria forza lavoro a livello internazionale potranno mettere in vendita la propria sovranità al miglior offerente: gli Stati dovranno commercializzare i propri servizi, non potranno più imporre tasse per superiori scelte di carattere nazionale e patriottico; non sarà più possibile tassare i più abbienti solo per una questione di solidarietà sociale; il nuovo assetto internazionale vedrà fuggire questi lavoratori verso lidi più attraenti, ove collocheranno il proprio domicilio, allettati da migliori condizioni fiscali e da servizi più efficienti.

Viene qui fuori in tutta la sua eloquenza l’idea di libertà propagandata dall’anarcocapitalismo. L’aspetto però più preoccupante della cosa e ciò che denota le aporie della visione libertarian, è che, comunque, i due economisti di cui sopra hanno ben chiara l’ineluttabilità del fatto che questa situazione porterà alla disgregazione sociale e che si verrà a creare un vuoto in quanto le esigenze soddisfatte dagli stati-nazione non potranno sparire di colpo. Essi, dunque, si rivolgono al passato, ma non più a quello glorioso della frontiera, bensì a quello oscuro del medioevo: come un tempo gli ordini militari e religiosi potevano gestire il potere politico ed economico senza che ciò significasse anche la sovranità territoriale, così si possono ipotizzare delle nuove corporazioni economiche capaci di gestire la cosa pubblica. Un mondo libero gestito dalle multinazionali? E’ lo stesso discorso di Rotherband e soci e delinea uno scenario molto simile a quello della narrativa cyberpunk. Questo filone letterario – e poi cinematrografico, politico, ecc. - ipotizza appunto un futuro mondo governato dalle grandi imprese le cui immagini pubblicitarie troneggiano su squallide ed inquinate megalopoli terzomondiste (come la Los Angeles del 2019 nel Blade Runner di Ridley Scott) in cui non esistono i vincoli sociali e sciama una immane quantità di drop-outs, di esclusi dal banchetto dell’anarchia di mercato. La gran massa degli "sconnessi", di quelli che non hanno accesso alla rete ed alle tecnologie delle grandi corporations vengono spesso mostrate in movimento in branchi come orde animali di briganti metropolitani. Si evince da questa rappresentazione una chiara critica nei confronti di una pratica economica e sociale dell’attuale trend di sviluppo. Nelle opere di Gibson, Sterling e compagnia, è infatti chiaro come l’universo privo di elementi naturali che essi presentano sia il frutto di un "ecocidio" la cui causa è da ricercarsi nell’ iper-utilitarismo, nello sfruttamento delle tecniche produttive del tardo-capitalismo. I protagonisti dei romanzi cyberpunk sono quasi sempre dei drop-out o comunque individui isolati che lottano contro potenti corporazioni transnazionali o organizzazioni militari autoritarie. E’ chiara quindi la marca di puro libertarismo yankee, lo spirito genuinamente antiautoritario di questi autori. Gli esiti della libertà di mercato telematica producono invece quella anarchia negativa che, si è detto, è ben vista dagli individualisti di destra della tradizione provinciale americana. I protagonisti delle novelle cyber rappresentano, d’altro canto, l’altra faccia della libertà a stelle e strisce, l’istanza di libertà dell’individuo che si difende da questo falso anarchismo.

I giovani hackers dei giorni nostri sono l’espressione concreta ed attiva della cultura cyberpunk quando, in un’ottica che potremmo definire "situazionista", si insinuano nelle pieghe del sistema tecnologico-informatico-militar-amministrativo per produrre sabotaggi, ingrippamenti, scherzi, ricatti ed additare il re nella sua nudità. La buona maggioranza degli hackers si definiscono "anarchici".

2.2 – Blade Runner ed il fascismo cibernetico

Spetta ad un urbanista, il francese Paul Virilio, il merito di aver denunciato l’instaurazione, a mezzo internet, di un "regime di voyeurismo universale" assolutamente funzionale al sistema americano, un processo di globalizzazione totalizzante che sancisce il trionfo di quel modello che produce egoismo, "distrugge le società complesse e tende all’antisociale", insomma l’arma finale del’imperialismo americano.

Lo sconfortante scenario cyberpunk è il futuro prospettatoci come allettante dai fautori della libertà ai tempi dell’informazione. Che non si tratti di irreali ed improbabili incubi fantascientifici ci è testimoniato da un posto nel mondo che è stato unanimemente definito la "capitale dell’iper-realtà" (ad esempio, Umberto Eco e Jean Baudrillard): Los Angeles.

La megalopoli californiana è la punta avanzata, l’avanguardia di questo progetto. Lasciamola descrivere a chi, conoscendola bene (ci vive e vi insegna urbanistica), Mike Davis, non si fa troppi scrupoli a lanciarsi in un paragone che potrebbe sembrarci inizialmente azzardato:

Ogni città americana ha le sue insegne e il suo motto, alcune hanno mascotte municipali, colori, canzoni, uccelli, alberi, persino pietre. Los Angeles soltanto ha adottato un Incubo ufficiale (…)

Blade Runner – l’alter ego distrofico di Los Angeles.

Davis ci dice che la Los Angeles "gibsoniana" è già per metà costruita. La "grande pianura senza soluzione di continuità fatta di bungalow in decadimento, e di bassi villini stile ranch, che si sgretola socialmente e fisicamente nel 21esimo secolo" è un mostro urbanistico ed architettonico ma soprattutto sociale. Isole fortificate di benessere galleggiano in un mare di "sconnessi" gibsoniani privi di ogni diritto. La criminalità è alle stelle in questo inferno urbano, più simile a Shangai e a città del Messico che a Tokyo, in cui le enormi distese di sudiciume sono tagliate dalle rumorose autostrade urbane che la attraversano dall’oceano al deserto. Scrive Scaruffi, un attento osservatore della realtà americana, che "Los Angeles è una bolgia infernale di segni negativi, un’enciclopedia della decadenza urbana". Di più: Davis ci dice che l’origine della distopia è politica:

L’ossessione corrente per la sicurezza personale e per l’isolamento sociale è superata soltanto dal terrore della classe media per la tassazione progressiva. Di fronte a una disoccupazione e ad una percentuale di senza tetto mai vista dal 1938, un consenso bipartito chiede con insistenza che il bilancio pubblico sia in pareggio e che i diritti sociali siano ridotti. Rifiutandoci di fare alcun ulteriore investimento pubblico per rimediare alle condizioni sociali di base, siamo costretti invece a realizzare investimenti privati crescenti sulla sicurezza fisica. La retorica della riforma urbana persiste, ma la sostanza è estinta. "Ricostruire Los Angeles" significa semplicemente imbottire il bunker.

Questa ossessione dei privilegiati per la sicurezza personale è arrivata a produrre un metafisico scenario da fantascienza. Già nel 1965, dopo la rivolta di Watts, il comitato dei 25, ovvero le 25 compagnie proprietarie di downtown, il centro cittadino, per paura di una invasione dei neri, ne fece una sorta di medioevale cittadella fortificata con camminamenti il cui accesso è controllato dal sistema di sicurezza dei singoli grattacieli. L’angosciante situazione è, in primo luogo, che "il margine tra architettura e applicazione della legge si è eroso" e che "il dipartimento di polizia è divenuto protagonista centrale nel processo di progettazione del centro cittadino" , in secondo luogo, che il controllo video delle aree del centro arriva ai parcheggi, ai marciapiedi, alle piazze, ecc. costituendo uno scanscape, uno spazio di controllo totale che resuscita il panoptikon di Jeremy Bentham. Ma il controllo va ben oltre, con la costituzione dei "distretti per il controllo sociale", la creazione di quartieri per il contenimento dei perdenti nella corsa al successo, accanto alle aree residenziali ipersorvegliate. Esistono infatti i "parchi liberi dalle gangs", le "zone libere dalla droga", perfino un sobborgo "libero dai pedofili" ("Giù le mani! I nostri ragazzi sono fotografati e hanno impronte digitali registrate per la loro stessa protezione", si legge all’ingresso). Scrive Davis:

… tecnologie emergenti possono dare ai conservatori, e probabilmente anche ai neoliberali, una vera opportunità di sperimentare le proposte economizzatrici di "imprigionamento di comunità", come alternativa ai costosi programmi di costruzioni di prigioni. Guidati dall’ideologo dell’ Heritage Institute Charles Murray – la cui polemica contro la spesa sociale per i poveri, Losing Ground (1984) fu il più potente manifesto dell’era di Reagan – i teorici conservatori stanno esplorando la praticabilità della "città carceraria" descritta nell’immaginazione fantascientifica del tipo Fuga da New York.

Scaruffi parla di "feudalesimo tecnocratico", una situazione in cui "un arcipelago di bianchi privilegiati regnano, grazie all’alta tecnologia, su un oceano di bianchi e non bianchi ridotti in povertà e schiavitù" . L’innovazione più importante nella politica urbana del dipartimento di polizia, il famigerato LAPD, è comunque il progetto Neighborood Watch, ovvero l’istituzione delle ronde di quartiere costituite dai cittadini:

Sebbene la retorica risuoni dei valori del pioniere estratta dai western alla John Ford, la pratica reale di Neighborood Watch e dei programmi Community Policing evocano più spesso i modelli della ex Germania Est o della Corea del Sud, dove gli informatori della polizia di ogni isolato indagano sui loro vicini e spiano i forestieri sospetti.

Ecco la libertà degli ultra-liberisti. Liberismo economico e fascismo cibernetico.

Questa lunga dissertazione su L.A. vede la sua ragion d’essere, oltre che nell’ulteriore smascheramento della libertà americana – il "liberalismo realizzato" -, nella paradigmaticità dell’esempio delle radici di un futuro già iniziato e che ha le caratteristiche di un medioevo prossimo venturo; ma non solo, in quanto quella che Los Angeles prospetta prima all’ America e poi al mondo è l’immagine del risultato delle politiche anarcocapitaliste già attive e vitali negli USA tramite il cavallo di Troia repubblicano e si fa ulteriore disvelamento dell’ideologia che si cela dietro i proclami di libertà di certi economisti. Questi desiderano che il pianeta, ora soprattutto tramite il valido aiuto del "mercato perfetto" out of control garantito dalla rete telematica, subisca un processo di losangelizzazione. Gli anarco-pirati del cyberspazio noti come hackers ritengono invece che il mercato libero necessiti proprio di control , ovvero di controllo popolare, e di abolizione dei monopoli. L’etica hacker ritiene che 1. Tutta l’informazione deve essere libera, 2. Bisogna dubitare dell’autorità, 3. Bisogna promuovere il decentramento (laddove l’ "agglomerato" della letteratura cyberpunk è fortemente centralmente controllato come la L.A. dei giorni nostri), 4. Che, in definitiva, i computer devono essere usati per cambiare la vita in meglio, essendo ciò nelle loro potenzialità, una volta tolti dalle esclusive mani del potere . Questa visione non è meno liberale o meno in linea con la Dichiarazione d’ Indipendenza di quella anarcocapitalista, anzi, tutt’altro. Ciò dovrebbe fungere da definitivo suggello alla querelle che ha come argomento il concetto che l’anarchismo americano non sarebbe in antitesi al sistema – se inteso nel suo senso reale lo è eccome – e che il liberalismo anarchico americano sarebbe necessariamente filocapitalista – Chomsky e i cyberpunk dimostrano il contrario - e, soprattutto, che quella attuale degli USA sarebbe la strutturazione che naturalmente discenderebbe dallo spirito della rivoluzione del 1776.

2.3 – Zone Temporaneamente Autonome

Pochi avranno sentito la notizia – e ancor meno vi avranno fatto caso – della morte a soli trentasette anni di XXXX, alcolizzato e povero in canna, agli inizi dell’anno 2000 in uno squallido motel. Egli era l’inventore di uno dei software più diffusi nel mondo, il winzip per la "compressione" dei dati. Tutti invece conoscono Bill Gates, l’ex enfant prodige padre padrone di Microsoft, oltre che l’uomo più ricco del mondo. Ebbene, questi due individui erano entrambi parte di quel nugolo di giovanissimi maghi del computer che infestavano i garage-laboratorio della Sylicon Valley prima dell’avvento del personal computer. Il primo, apparteneva al nucleo populista degli hackers che al grido di "computer for the people" predicava un individualismo libertario difensivo nei confronti del potere autoritario dell’ intellighentia tecnocratica e del capitale. Circa il secondo, invece, si racconta un episodio risalente alla sua adolescenza quando, insieme al suo socio Paul Allen (attuale numero due di Microsoft) ebbe ad esprimere delle rimostranze quando alcuni "compagni", in ossequio al principio "information wants to be free", avevano distribuito gratuitamente un software di loro ideazione. Si tratta qui di un altro genere di individualismo, quello che porta alla creazione del potere. Il primo si riallaccia realmente al filone culturale dell’anarchismo storico statunitense, il secondo rappresenta la cultura statunitense attualmente dominante e che molti vorrebbero vedere come la sua naturale conseguenza. Per comprendere la fallacia di un simile discorso basta fare lo sforzo di immaginare Gates come un anarchico per rendersi conto della improponibilità della teoria. Eppure è questi il maggior teorico e propagandista del’ "friction free capitalism", il capitalismo senza attriti di pura marca anarchica (di quale tipo, però, si è visto) in base al quale la libertà è garantita dal libero mercato. E’ ancora Gates l’uomo condannato dall’anti-trust statunitense per aver contravvenuto alle leggi del mercato…

Per concludere quindi il discorso circa le possibilità liberatorie della rete, è utile riferirsi al più interessante dei pensatori anarchici, ma non solo, prodotto dagli USA dei giorni nostri. Si tratta di un singolare personaggio noto come Hakim Bey, il cui vero nome, Peter Lamborn Wilson, è stato a lungo tempo occultato, il quale vive in un alberghetto del New Jersey tenendosi in contatto col mondo tramite la rete telematica. Pur non apparendo mai in pubblico, questi è autore di un testo di culto: TAZ. Temporary Autonomous Zones . Egli parte da una similitudine; i pirati ed i corsari del XVIII secolo avevano infatti creato una rete informativa che attraversava il globo e, all’interno di questa rete utilizzata per sporchi traffici, esistevano dei rifugi nascosti ed ignoti ai più, delle isole in cui le navi pirata potevano trovare rifugio e rifornimento. Alcune di queste isole ospitavano intere comunità di individui che vivevano fuori dalle regole del resto del mondo. Bey inventa a tal proposito la fortunata definizione di "utopie pirata" per definire queste enclave ad autonomia temporanea, ovvero autonome fino a che non venivano scoperte. Ancora oggi esistono zone controculturali ad autonomia temporanea, TAZ per brevità, e la rete telematica dei giorni nostri, proprio in virtù della mancanza e della impossibilità di una precisa "cartografia" cyberspaziale, permette l’esistenza di alcune di esse, essendo nell’universo esteso ormai geograficamente impossibili. In altre parole, la forza è nella invisibilità. Questo ribalta la concezione di Kelly. Non è la rete e la sua globalizzazione a garantire la libertà ma i suoi anfratti locali.

Col passare del tempo, poi, Bey ha ulteriormente ridimensionato anche queste limitate aspettative libertarie della rete - nella quale all’inizio aveva visto anche la possibilità di sfruttamento come sistema alternativo di socializzazione – per rivedere la sua lettura e affiancarsi quindi a Virilio nel denunciarne l’ingannevole apparenza liberatoria:

Il Cyberspazio è uno spazio senza corporeità, è uno spazio concettuale. Non c’è olfatto, non c’è gusto, non c’è tatto e non c’è sesso. Se ciascuna di queste cose in qualche misura esiste nel Cyberspazio si tratta solo di simulacri di queste cose e non le cose stesse. La sola cosa che può essere Internet per una TAZ è uno strumento, a volte un’arma per raggiungere la libertà.

L’antagonismo, a questo punto, non è né dentro né fuori la rete, non si tratta, come per i neo-marxisti, di ri-territorializzare il conflitto dentro lo spazio unificato del mercato globale. L’opposizione può arrivare solo da un oltremondo rispetto al capitale globale. In altri termini, laddove il capitale si smaterializza e svanisce nel virtuale della new economy, per cui tutto ciò che resta fuori diviene "residuale", stupida realtà concreta, "non connessa", è proprio "ciò che resta fuori" l’oltremondo antagonista di cui riappropriarsi. Non si tratta di "prendere il potere" ma di difendere "la vita e l’immaginazione" rimasti fuori dal cyberspazio nel sempre più marginale mondo reale. La lotta è per "la liberazione dell’immaginazione dall’impero dell’immagine, dalla sua arrogante onnipresenza e singolarità". Hakim Bey ci chiama quindi ad una guerra santa della carne contro il capitale virtuale in una sorta di federalismo "neoproudhoniano", ovvero "federalismo delle differenze" che "porta strani compagni di letto". Fra questi compagni di letto, persino lo stato!:

In una situazione in cui il denaro è "libero" di muoversi attraverso i confini in dispregio di tutta l’economia politica, come nell’internazionalismo "neoliberista" del mercato libero, lo stato si trova abbandonato dal denaro, e ridefinito quale zona di scarsità, piuttosto che di ricchezza.

Si può pertanto perfino ipotizzare di "ri-immaginare lo stato come tipo istituzionale di ‘costume e diritto’, che la società potrebbe impugnare (paradossalmente) contro una forma di potere ancora più definitiva: quella del ‘puro capitalismo’ ". Vediamo qui coincidere la visione di Bey con quella precedentemente considerata di Chomsky.

Tutto ciò ci mostra quanta differenza nel sentire e quante diverse pratiche si celino dietro l’etichetta di "anarchismo" e, ancora una volta, come non sia possibile liquidare l’anarchismo statunitense come filo-capitalista e non pericoloso per il sistema.

Parte 1 / Parte 2 / Parte 3