La Sovranità dell‘Individuo
Saggio sulla libertà in America - Parte 1 / Parte 2 / Parte 3
(Luigi Corvaglia, 2000
/ dal sito http://www.scaruffi.com )

III - Anarchismo e Psicologia in America: Libertà e nuovo umanesimo

3.1 I due volti dell’utopismo. Da Walden a Walden II

Poliziotto vuol solo dire papà e mamma scritti più in grande.
P. Goodman

Michail Bakunin, oltre centocinquant’anni fa, aveva previsto che l’intelligencija scientifica avrebbe contribuito all’instaurarsi dei poteri coercitivi. I servizi della scienza al potere si esplicano in due modi: 1. Fornendogli i mezzi della coercizione (si veda la precedente descrizione di Los Angeles e sull’utilizzo della rete) , 2. Giustificando "scientificamente" l’utilizzo di tale coercizione. Noam Chomsky si è occupato di questo secondo aspetto in uno splendido saggio su J. F. Skinner. Quest’ultimo è stato il massimo esponente della scuola psicologica definita "comportamentismo". Questa scuola, in ragione del suo pragmatismo e della sua operazionalità tipica delle scienze della natura più che di quelle dell’uomo è solitamente interpretata come la psicologia "americana" per eccellenza. Nata come reazione alla psicoanalisi, troppo speculativa e non passibile di indagine e sperimentazione, il comportamentismo si definisce come una psicologia "scientifica" e sperimentale basata sull’osservazione di ciò che è visibile (il comportamento) lasciando da parte ciò che è coperto e quindi solo intuibile (il pensiero). I risultati della ricerca comportamentale sono quantificabili e riproducibili come quelli della fisica. Ne viene fuori una psicologia "senza psiche". Dai suoi esperimenti di "condizionamento operante" con gatti, topi e piccioni, Skinner trasse l’idea che con appositi "rinforzi" , ovvero "conseguenti postivi del comportamento"- cioè i premi -, e "stimoli avversivi", ovvero "conseguenti negativi del comportamento"- cioè le punizioni - , fosse possibile condizionare empiricamente ogni tipo di comportamento. E’ la visione moderna (?) del piacere e del dolore che l’ideologo del liberalismo Jeremy Bentham considerava i due "soli signori" dell’uomo. Lungi dal limitarsi a ciò, Skinner si spinse oltre scrivendo un romanzo utopistico (?) e facendo il verso a David Thoureau (!). Quest’ultimo aveva vissuto la sua utopia nell’isolamento arcadico di Walden, località di campagna vicino a Concord dove potè sfuggire alle norme comunitarie; Skinner ha spudoratamente intitolato il suo romanzo Walden Two. Vi si ipotizza una "società perfetta" in cui tutti individui sono "condizionati" . Egli, inoltre, è convinto che "il controllo della popolazione nel suo insieme dev’essere delegato a specialisti: poliziotti, preti, imprenditori, insegnanti, terapeuti, ecc., che dispongono di rinforzi specializzati e di contingenze di rinforzo codificate". Il controllo, in altri termini, è benefico perché rende il mondo più sicuro. Queste concezioni sono anche espresse in un saggio che è l’oggetto della critica di Chomsky. Egli è molto critico circa gli "scienziati del comportamento che non sanno distinguere un piccione da un poeta" e circa la tecnologia del comportamento il cui dichiarato fine è di "progettare un mondo in cui il comportamento probabilmente soggetto a punizione dovrebbe presentarsi raramente o addirittura mai" . Skinner è esplicito:

Uno stato che trasformi tutti i suoi cittadini in spie, o una religione che promuova il concetto di un Dio onniscente, eliminano ogni possibilità di sottrarsi alla punizione e dànno quindi efficacia estrema al sistema punitivo. La gente si comporta bene benchè non vi sia una supervisione percepibile"

Questa sarebbe la condizione ideale perché, "ovviamente" la libertà "cresce al diminuire dei controlli visibili". E’ una idea un po’ bislacca di libertà e rappresenta il perfetto compimento del "liberalismo realizzato" in terra d’America. L’utilitarismo benthamiano praticato, la ricerca della felicità jeffersoniana rivisitata e degradata in termini di convenienza: rinforzi differenziati a seconda della "abilità nell’obbedire alle leggi", salari differenziali e simili amenità non rappresentano affatto un’utopia, - semmai una distopia – ma il perfetto compimento della società già in atto in USA e tendente a dilagare nell’universo mondo. Altro è utopia, il sogno del "non ancora", non l’estremizzazione del presente. Si è detto all’inizio del paragrafo che la psicologia comportamentista è classicamente "americana" e, all’inizio del saggio, che ad essere tipicamente americana è l’utopia e l’ottimismo nelle capacità individuali. Le due cose sembrerebbero in contraddizione ma non è così. Dovrebbe essere ora chiaro che si tratta di due americhe che della libertà hanno due diverse concezioni. Una America conformista e condizionata che si pensa libera ed una minoritaria e sotterranea cerca la libertà reale dell’individuo. L’America si descrive e si caratterizza soprattutto in questa contrapposizione. Delle due, però, quella coerente con le intenzioni fondanti del paese non è quella skinneriana. Quest’ultima è solo la vincente.

3.2 La promozione dell’individuo: la psicologia umanistica

Esalen passa quasi inosservata al viaggiatore che si trovi a passare sulla costa di Big Sur, in California. La piccola comunità nata nel bel mezzo del flower power degli anni ’60 è segnalata da una piccola freccia di legno. Eppure questo gruppetto di case di legno a strapiombo sull’oceano è il più importante "centro per lo sviluppo del potenziale umano" degli Stati Uniti, quindi del mondo. Esalen è la quintessenza di quanto è stato definito "adamismo" americano e rappresenta l’altro capo di quel filo rosso che era partito dal trascendentalismo di Emerson per arrivare ai giorni nostri intatto, nonostante tutto. Ad Esalen operò per anni Fritz Perls, un tedesco, ex psicoanalista dalle frequentazioni anarchiche, che dopo aver girovagato senza fortuna per mezzo mondo a propagandare la sua idea umanistica di psicoterapia, trovò finalmente in California la terra promessa e venne incoronato, a settantacinque anni, "Re degli Hippies". Né l’idea di una psicologia umanistica, né la sua derivazione europea erano una novità. Le basi epistemologiche della cosiddetta Psicologia Umanistica sono le concezioni fenomenologiche tedesche e l’esistenzialismo francese, ma solo in America era possibile trovare il fertile terreno dell’individualismo ottimista, del "self reliance" emersoniano, dell’ ottimismo antropologico, del rigetto del vecchio e della regola che permise ad alcuni autori di gettare le basi di una "terza via" della psicologia, le altre essendo la psicoanalisi ed il comportamentismo. Quale l’idea di fondo? E’ presto detto: l’uomo non è poi male e, lavorandoci su, ognuno può sviluppare tutto il suo potenziale. Capostipite del movimento fu lo psicologo Abraham Maslow. Questi ritiene che studiando solo la patologia, la psicologia si sia ristretta ad indagare solo una piccola parte dell’uomo, e quella più meschina. L’uomo è invece un progetto individuale che tende al fine della "autorealizzazione". Nelle sue parole:

L’uomo manifesta nella sua stessa natura una spinta verso un Essere sempre più pieno, un’attuazione sempre più perfetta della propria umanità, esattamente nello stesso modo naturalistico, scientifico, in cui si può dire che una ghianda "spinga" per essere una quercia, o che si può osservare una tigre "spingere" verso l’essere appunto una tigre, o un cavallo verso l’essere, appunto, equino.

Il fine del progetto sarà quindi quello di essere "pienamente umano", come dice Carl Rogers, forse il più importante degli psicologi umanisti. Ogni uomo, in altri termini, dovrebbe divenire consapevole delle proprie potenzialità, ovvero delle sue caratteristiche fondamentali possedute in potenza, per "divenire ciò che realmente è" sviluppandole al massimo grado, al di là dei condizionamenti sociali. In tal caso si avrà una "congruenza" fra l’esperienza dell’organismo ed il Sé. Altrimenti si assisterà ad una incongruenza che porterà alla creazione di un Sé di convenienza, un "falso Sé". L’autorealizzazione è in cima alla piramide dei bisogni umani. A contrastarla ci sono le regole ed i valori societari condivisi, alcuni dei quali lo stesso Rogers elenca criticamente, citandone le "fonti":

La personalità si adatta ai valori soprattutto tramite la propria auto-mutilazione repressiva, divenendo quindi l’uomo "ciò che non è". E’ interessante leggere una pagina rogersiana per confrontarla con la visione skinneriana:

Si dice spesso che se un individuo dovesse essere quello che veramente è realizzerebbe la bestia che è in lui. Un discorso simile mi diverte e mi fa pensare che potremmo guardare più attentamente alle bestie. Il leone è spesso il simbolo della "bestia da preda". Ma che cosa si può dire di lui? A meno che non sia stato molto modificato dal contatto con l’uomo, egli ha molte delle qualità che ho descritto. Uccide quando ha fame, è vero, ma non continua in un violento e selvaggio contegno di uccisore, né si nutre senza bisogno. Mantiene la sua armonia meglio di molti di noi. E’ bisognoso di aiuto e dipendente quando è cucciolo, ma progredisce , da questo stadio, verso l’indipendenza. Non si aggrappa alla dipendenza. E’ egoista ed egocentrico nell’infanzia, ma nell’età adulta mostra un grado ragionevole di cooperatività nutrendo, prendendosi cura e proteggendo i suoi piccoli. Soddisfa i propri desideri sessuali, ma ciò non significa che cerchi selvagge orge sensuali. Le tendenze e gli impulsi coesistono, in lui, in piena armonia. Egli è, essenzialmente, un membro costruttivo e degno di fiducia della specie "felix leo".

Questa pagina è significativa per molti versi. Innanzitutto perché rappresenta il totale ribaltamento del paradigma freudiano in quanto per il viennese la perdita dei freni inibitori comportava il mettere in libertà un "perverso polimorfo". In secondo luogo perché, in fondo, il paradigma freudiano qui rigettato è in realtà un paradigma hobbesiano. Lo stato di guerra di tutti contro tutti che Hobbes vede come lo stato di natura presuppone un uomo guidato dall’istinto di sopraffazione e ciò comporta la necessità del governo che difenda l’uomo dai suoi stessi istinti. Visione che è condivisa dalla lettura skinneriana. La visione umanistica, d’altro canto, è fedele ad una immagine benigna dell’uomo, così come già Eric Fromm, altro transfuga tedesco negli USA, aveva espresso in quel libro di strabiliante successo che fu L’Arte di Amare e che influenzò gran parte della cultura americana di quegli anni. Fromm non considerava gli impulsi aggressivi ("necrofili") come naturali ma come una espressione di patologia. Fra Fromm e Rogers , fu il primo quello che ha tratto un impegno politico da questa lettura vedendo la causa della storpiatura delle naturali tendenze "biofile" nella strutturazione capitalistica della società. Fu sempre Fromm quello che preconizzò la necessità di fondare un "socialismo comunitario umanistico". Dei due, però, era Fromm l’europeo, l’uomo che aveva una cultura filosofica accademica, che voleva coniugare Marx e Freud, mentre Rogers, in modo molto più americano, non ha mai fatto grandi dichiarazioni politiche né espresso alte elucubrazioni filosofiche. Il suo è un radicalismo puramente culturale nello stile yankee. Il suo self reliance, la sua sovranità individuale si inquadra perfettamente nel solco tracciato dal trascendentalisti e dagli individualisti classici. Quando gli si faceva l’obiezione che se ognuno avesse fatto di testa propria si otterrebbe l’ "anarchia" sociale, Rogers rispondeva che "Tutti hanno fondamentalmente le stesse esigenze, compresa la necessità di essere accettati dal prossimo", pertanto i loro valori avranno "un alto grado di comunanza", quindi non ci si troverebbe mai nella condizione hobbesiana. Similmente Rogers era convinto che le sue scoperte in merito alla tecnica di comunicazione e di aiuto contenessero "la chiave per risolvere i conflitti internazionali". In Rogers, insomma, si ritrova tutto l’armamentario concettuale classico dell’ american dreamer, dell’uomo che vede nelle pressioni culturali comunitarie l’oppressione alla singolarità dell’individuo agente, singolarità che va "promossa" mediante l’espansione di tutte le sue potenzialità. E’ la self reliance trascendentalista, è l’adamitismo classico, è la riscoperta di sé del movimento psichedelico. La psicologia umanistica, in altre parole, è radicale pur non avendo mai fatto proclami politici, radicale ed "individualista" nel senso americano. Si tratta di una visione benigna e benevola, aperta della persona umana che solo nella libertà esprime e ritrova se stessa. Jefferson avrebbe approvato. Senz’altro anche uno dei giganti del pensiero anarchico storico, Petr Kropotkin, avrebbe ritrovato il suo pensare negli scritti umanisti. Egli aveva infatti definito l’individualità, istanza da difendere, come "la piena espansione di ciò che è originale nell’uomo". E’ insomma qui palpabile la sovrapponibilità delle visioni dell’utopismo liberale dei padri fondatori con l’anarchismo classico di matrice europea. La "promozione dell’individuo" è il nucleo centrale. Tutto il movimento comunitario degli anni ’60 condivideva questa visione.

Qui, si badi bene, non si intende affatto argomentare che la psicologia umanistica sia una psicologia anarchica, bensì sottolineare che la congenialità di questa corrente di pensiero col radicalismo liberale che, si è detto, è tutt’uno con l’immaginario anarchico americano, deriva dal fatto di essere l’una la diretta figlia dell’altro. In altri termini, è il patrimonio genetico di fiducia e ottimismo nelle possibilità dell’uomo quello che la cultura radical-umanistica ha ereditato dal libertarismo puro della vergine America. Non stupisce quindi che accanto a Pearls, fra i fondatori della pratica nota come psicoterapia della Gestalt vi fosse uno dei pensatori anarchici più in vista d’America: lo scrittore Paul Goodman. Questi è stato il più feroce critico del "Sistema Organizzato", questo surrogato della civiltà caratterizzato del feticismo tecnologico incentrato sulla produzione che sgretola le individualità nella "sociolatria". Goodman è il più lampante esempio della continuità col pensiero dei padri fondatori. La sua idea di anarchismo è quella di una disposizione al nuovo, verso la libertà, la sostituzione dello sclerotismo con la creatività, della rivoluzione con la "difesa e l’ allargamento degli spazi di libertà già esistenti". Ciò significa "riprendere allo Stato la parte del potere che ci è stata illeggittimamente tolta a favore di interessi ed obiettivi contro-natura". Egli, insomma, è pensatore fortemente ancorato all’esperienza americana che si rifà alla Riforma protestante ad al liberalismo di Jefferson e, proprio per questo, combatte l’America dei poteri costituiti incoraggiando "un aumento di quelle precise azioni e atti per cui le persone sono di fatto sbattute in galera". Siamo quindi ancora dalle parti del Civil Disobedience di Thoureau. Egli è convinto che "anarchici" è il termine con cui bisogna riferirsi oggi ai veri liberali e che l’ "anarchismo" consista in

un continuo misurarsi con una nuova situazione, una vigilanza continua per garantire che le libertà passate non vadano perdute, che non si trasformino nel loro opposto, proprio come la libera impresa si è tradotta nella schiavitù del salario e nel capitalismo monopolistico; l’autonomia del potere giudiziario nel monopolio dei tribunali, dei poliziotti e degli avvocati; e l’autonomia didattica negli apparati scolastici.

Goodman è, con Chomsky, il massimo demistificatore dell’idea della unicità di pensiero capitalista e liberale. Esalen è la controparte di Walden Two.

3.3 Dalla psicologia umanistica alla New Age

Nuovo umanesimo, quindi. Promozione dell’individuo, piena espansione di sé. Questo è il leit-motiv liberale classico (Von Humboldt), anarchico (Kropotkin), Hippy e Yppie (Leary), neo-umanistico (Maslow, Rogers, Goodman, ecc.). E’ una vena unica che, sotterranea, non si è mai interrotta e si è mantenuta in vita grazie alle voci predicanti nel deserto dei radicali americani. Si pensi, ad esempio, alla lezione di uno degli intellettuali più importanti della storia del pensiero americano, John Dewey (che strano, un altro psicologo!). Egli ha sottolineato la necessità di riappropriarsi degli aspetti utopici del liberalismo intendendolo in principal modo nel suo radicale senso di etica della relatività e non di libera lotta economica e propagandando la scuola attiva e partecipata che non porti al dogmatismo ma abitui alla riflessione. E’ l’ennesimo esempio di intellettuale tutt’altro che "alternativo" e marginale che cavalca l’utopia. Eppure – ormai s’è capito – questa visione ha sempre un’altra faccia in opposizione che bisogna attentamente valutare affinchè non si cada in fraintendimenti. Si corre il rischio di inserire nel gran calderone delle filosofie e di terapie psicologiche umanistiche anche alcune semplificazioni – in buona e in cattiva fede – che infestano la società americana, da sempre alla ricerca di una felicità plug-and-play, il cui approdo non si può certo definire libertario. Si consideri la Chiesa di Scientology fondata dal mediocre scrittore di fantascienza L. Ron Hubbard. Associazione pressochè esoterica, Scientology si vende quale un "ponte verso la libertà totale". Questo ponte è un percorso di ventisette livelli, molti dei quali segreti, che gli iniziati percorrono sotto la guida degli avanzati secondo la tecnica hubbardiana di Dianetics. Trattasi di una disciplina psicologica pseudo-umanistica il cui fine sarebbe lo sviluppo del potenziale umano attraverso il passaggio - a caro prezzo economico e sociale - dei vari livelli del "ponte". Vi aderirono inizialmente, sull’onda dell’entusiasmo umanistico ed "adamitico", perfino lo stesso Fritz Perls e lo scrittore beat William Borroughs. Attualmente la setta – che a questo si riduce – si presenta come un immenso impero multimiliardario e multinazionale noto per l’utilizzo di mezzi di coercizione fisica e psichica per i quali - e per azioni di spionaggio - subisce processi quasi in ogni paese del mondo. La caratteristica che desta comunque maggiore preoccupazione è che l’ambizione del movimento è di dar luogo ad una democrazia scientologica su scala planetaria. " A chiunque si opponesse verrebbe negato lo status di cittadino, affinchè non possa nuocere; inoltre gli sarebbe vietato di sposarsi ed avere figli". L’instaurazione di questo nuovo ordine etico che conferisce "libertà totale" in cambio di "totale disciplina" è proseguita, oltre che con una azione di proselitismo, anche attraverso una sistematica e progressiva opera di infiltrazione nell’economia e negli apparati statali."

Si pensi, ancora, alla New Age, filosofia sincretica di incongruente matrice pseudo-umanistica ed orientaleggiante. Vi confluiscono le più diverse culture planetarie, da quelle orientali (induismo, buddismo, yoga, tao) a quelle pellerossa pueblo e navajo, a quelle occidentali (psicologia umanistica, fisica quanto-probabilistica), il tutto inquadrato in una cornice astrologica con una spruzzatina di alchimia ed ufologia. L’idea di fondo è che l’umanità stia entrando, dopo duemila anni terribili sotto il segno dei pesci, in una "nuova era" di pace e prosperità sotto il segno dell’acquario. La New Age, recupera e ritinteggia alcuni elementi della cultura hippy degli anni ’60. L’ecologia ed un ritorno alla natura ne sono una fondamentale caratteristica in un’ottica olistica di congiunzione del micro-cosmo col macro-cosmo. Vi si trovano la cultura della salute dell’uomo da raggiungersi con l’omeopatia, con cristalli o pietre "magnetiche" in una comunione totale con Gaia, la madre terra. Il testo fondamentale del movimento è La profezia di Celestino di James Redfield. Vi è espressa l’idea del viaggio iniziatico costituito dalle "nove illuminazioni" che permettono di raggiungere un grado elevato di consapevolezza attraverso "la distanza da sé". Ciò sarebbe la premessa per un punto d’arrivo dell’umanità assolutamente risolutivo dei problemi del mondo. Non si è quindi molto distanti da Dianetics. La New Age è il contraltare della visione skinneriana, irrazionalismo antiscientifico contro razionalismo (pseudo)scientifico. Messa in questi termini la New Age non appare come un movimento preoccupante ma solo come un insieme di freaks rintronati, di innocui salutisti e teneri vegetariani, post-hippies che professano una neo-romantica fuga dalla civiltà e aspettano gli ufo per ascoltare i messaggi positivi dei "fratelli del cosmo". In realtà la New Age è un fenomeno pericoloso. Michel Lacroix, studioso del movimento, scrive:

Facendo della fusione con Gaia il principio fondamentale del nuovo ordine umano, la New Age dà un definitivo indirizzo planetario alla politica e propone la creazione di istituzioni su scale egualmente planetaria. Da notare come tutte queste idee siano condivise dai leader delle varie sette. Il loro progetto tende a creare una sorta di nuovo governo mondiale, composto da personalità appartenenti a sette pervenute ad un grado di coscienza più elevato. Qualcosa del genere lo troviamo in World Goodwill (Buona Volontà Mondiale) , che ha formulato un programma che combina l’idea di un governo mondiale con l’annuncio di un prossimo ritorno di cristo sulla terra. La New Age sogna un’aristocrazia spirituale diretta da società segrete, una sorta di sinarchia planetaria.

La New Age, quindi, ha una vocazione totalitaria il cui fine non si discosta poi molto da quello di Scientology, per quanto si possa immaginare che i profeti del New Age siano "in buona fede" e quelli di Scientology non lo siano mai stati. Non è questo il punto. Il fatto importante è che delle filosofie che affermano di basarsi sulla umanistica "promozione dell’individuo" giungano a questi approdi.

Considerazioni conclusive: Jefferson truffato, Jefferson truffatore

America…. Un disegno per l’intero genere umano,
l’ultimo e il più grande di tutti i sogni umani – oppure niente.

F. Scott K. Fitzgerald

Quando descrisse la società americana come una orchestra in cui a tutti era consentito un assolo, de Toqueville forse non aveva completamente colto la realtà o forse la realtà storica non gli aveva ancora offerto la metafora più calzante. L’ "individualismo" congiunto alla socialità, o meglio, di base alla socialità, è meglio espresso dall’idea di una band alle prese con la realtà espressiva che è uno dei maggiori contributi dell’America al mondo: il jazz. In un combo jazz, non solo non esiste un direttore d’orchestra ma, su un canovaccio comune, tutti gli strumentisti improvvisano contemporaneamente senza bisogno di attendere il momento del "solo". Ciò non distrugge l’armonia ma la arricchisce. La "ricchezza nella differenza" è l’ idea dei padri fondatori. Eppure l’ uso che si è fatto del concetto di

individualism di Jefferson è assolutamente incoerente con le premesse illuministiche che guidarono il firmatario della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America. La "sovranità individuale" di Warren è invece perfettamente in linea con l’ideale fondante di libertà. Sia il primo che il secondo – così come molti altri "individualisti" storici – vengono ora considerati fra i precursori dell’attuale american way of life e, soprattutto, di molte fra le più incongruenti ed improbabili vie di fuga di tale modus vivendi, dal capitalismo selvaggio, al localismo egoista, al giustizialismo reazionario. Ma l’anarchismo negativo dell’uomo che si fa giustizia da se, la cui libertà consiste esclusivamente nella possibilità di armarsi e nel diritto di non pagare le tasse è una storpiatura degli ideali della dichiarazione jeffersoniana. Questa non è né un’orchestra né una jazz band, ma solo una cacofonia in cui ognuno cerca di fare più rumore degli altri. La libertà, invece, del radicalismo libertario americano rappresenta la faccia in opposizione di questa medaglia, quella che vede l’individualismo come l’unica base sicura della comunità. Scrisse Benjamin Tucker che "il più perfetto socialismo è possibile soltanto sulla base della realizzazione del più perfetto individualismo". L’individualismo come difesa e salvaguardia delle caratteristiche e della singolarità dell’individuo contro i poteri forti, soprattutto economici. Questo è l’anarchismo americano.

Esiste poi una gran massa di individui che dalle loro indistinte villette, nei loro indistinti vialetti, emettono un unico e monotono, indistinto suono.

Questo nostro excursus nel concetto di libertà in America ci porta a concludere che da un’unica radice, l’illuminismo, sono venute fuori varie piante e che queste a loro volta siano spesso circondate da parassiti ed erbe infestanti. Eppure solo una grave miopia può far confondere una pianta con l’altra, le erbe infestanti con la pianta. La miopia o la cattiva fede. Miopi, in mancanza di prove a sostegno di altre ipotesi, si possono definire la maggior parte degli osservatori del fenomeno libertario statunitense. E’ infatti assolutamente impraticabile ogni tentativo di omologare l’anarchismo americano come filocapitalista e, soprattutto, ritenere l’attuale strutturazione degli Stati Uniti come la diretta filiazione degli ideali libertari dei padri fondatori, i quali si ritrovano invece integralmente nella cultura anarchica e tutt’altro che capitalista dei radicali americani. Certo, chi ha il coraggio di definirsi anarchico e capitalista esiste, ma si presenta alle elezioni con i repubblicani…..

Si può pertanto affermare che l’America ha tradito Jefferson. D’altro canto si potrebbe tranquillamente affermare anche che Jefferson ha truffato l’America. Si prenda il caso della New Age o di Scientology. L’aspetto più paradossale è che una cultura basata sul culto della libertà individuale ed una filosofia che prevede la "promozione dell’individuo" possano indurre nell’individuo stesso una tale sottomissione alle pressioni del gruppo e dei guru. Eppure qui non vale il discorso della inversione del concetto, lo stravolgimento dei valori che si era vista per lo pseudo-anarchismo negativo ed egoista.

Qui non si assiste ad una inversione, non c’è alcuno stravolgimento della tendenza adamitica ed antiautoritaria, semmai una ulteriore sottolineatura. Il "fedele" di Scientology o l’appassionato di New Age condividono la stessa fiducia nelle possibilità di miglioramento di sé, di potenziamento individuale, di una "felicità" dietro l’angolo. Il problema è che essi cadono in questo fideismo proprio per l’eccessiva fiducia in questi valori! Il motivo di questa fiducia è in quella che è la ragione di tutto quanto c’è di positivo e di tutto quanto c’è di negativo nell’esperienza americana, ovvero il cosiddetto "inganno Jefferson". La fortunata definizione è di Anne Taylor Fleming. L’autore della Dichiarazione d’Indipendenza è visto da questa autrice come colpevole di aver considerato la "felicità" un diritto inalienabile del cittadino americano. Il risultato di questa idealistica visione è che il cittadino la cerca sul serio. Chi – la maggioranza – non la trova, continua a sperare di trovarla per pura americana, commovente fiducia nel futuro. Questo giustifica l’utopismo e lo sperimentalismo di questo popolo che tanto ha portato al mondo in termini di progresso. L’aspetto invece preoccupante è che, a causa di questa aspettativa, l’ homo americanus è incapace di sopportare degnamente l’infelicità. Una banalissima e giustificata tristezza viene inequivocabilmente letta come "patologica" ed insopportabile. Ciò ha senz’altro a che fare la mania tutta americana per le psicoterapie e con l’utilizzo spregiudicato ed allegro che si fa in quel paese di antidepressivi (si pensi al fenomeno culturale che è stato il "bye bye blues", l’antidepressivo divenuto uno status symbol negli anni ’80). Ebbene, a tutto ciò è senz’altro da collegare anche la facilità con cui gli abitanti del nuovo mondo si gettano fiduciosamente fra le braccia dei più improbabili culti. L’americano è costituzionalmente predisposto a seguire chiunque – predicatore televisivo, demagogo, guru, psico-imbonitore, extraterrestre - gli prometta felicità istantanea, ovvero, secondo l’espressione americana, "plug and play" (inserisci la spina e funziona). Anche l’allargamento delle coscienze predicato dalla controcultura degli anni ’60 non prevedeva lunghi training di meditazione ma la "pragmatica" scorciatoia degli allucinogeni. Oggi la stessa fiducia la si riversa su Internet.

Si può quindi dire che Jefferson ha truffato l’America? In realtà né lui né gli altri padri fondatori (Adams, Washington, ecc.) hanno truffato qualcuno o sono stati truffati da alcuno. Essi hanno solo posto le basi culturali per una mentalità che non incasella l’utopia nello schedario dei vaneggiamenti intendendola come luogo del "mai" bensì in quello delle speranze, interpretandola come quello del "non ancora". Il libertarismo né è il principale derivato ma i figli deformi dell’individualismo spuntano in continuazione da questi semi pretendendo di confondersi con la stessa pianta e rivolgendosi spesso contro essa stessa per soffocarla. D’accordo, ma l’importante è ricordare che "una sorveglianza costante è il prezzo della libertà". Lo ha detto Jefferson.

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