Étienne de La Boétie
Vuoi l'intero pezzo? scarica
Discorso sulla Servitù Volontaria
Titolo originale dell’opera "Discours de la Servitude Volontaire" - Traduzione di Vincenzo Papa
Saggio introduttivo “Un’ambigua utopia repubblicana” e note al testo di Enrico Voccia
Parte 1 | 2 | 3 | 4

Come spiegare questo comportamento da parte di Montaigne? Le ipotesi possibili sono solamente due. La prima ipotesi, che sembrerebbe la più naturale ed immediata, è che egli fosse venuto a conoscenza del solo fatto delle varie pubblicazioni clandestine del testo col titolo mutato, senza che avesse avuto occasione di mettere materialmente le mani su una delle copie. La cosa sembra però plausibile solo ad una prima occhiata: le copie manoscritte del Discorso sulla Servitù Volontaria come sappiamo erano state molteplici, e la loro diffusione incontrollata già durante la vita dell’autore. Occorrerebbe pertanto presumere che non solo Montaigne, ma nessuno dei tanti che avevano letto il testo manoscritto avesse avuto l’opportunità di avere tra le mani una copia de Le Reveille-Matin des Français et de leurs voisins... o delle Mémoires de l’Estat de France sous Charles Neufiesme... contenenti il testo di La Boétie. [13] Queste avevano in effetti conosciuto una diffusione notevolissima: dal 1574 al 1579 il Discorso sulla Servitù Volontaria vedrà la media di più un’edizione all’anno. Sembra perciò strano che all’orecchio di Montaigne non fossero giunte le voci di tali interpolazioni e che lui non avesse provveduto a sfruttarle in difesa della memoria dell’amico scomparso.

La seconda ipotesi spiega la cosa supponendo che l’autore per lo meno di alcune delle interpolazioni del Discorso sulla Servitù Volontaria fosse stato proprio Montaigne. [14] Il grande amico di La Boétie non poteva infatti non notare la citazione della Franciade, specie nel momento in cui andava affermando che l’opera non era mai stata rivista dai tempi della composizione giovanile e si lamentava di una sua edizione clandestina da parte dei gruppi di opposizione alla monarchia francese! Avrebbe allora taciuto, accettando l’ipotesi che fosse perfettamente a conoscenza di tali interpolazioni al testo, per il semplice fatto che era stato lui ad operarne una larga parte o, quantomeno, ipotizzando in lui una qualcerta “complicità” in tali correzioni...

É possibile allora che le varie pubblicazioni clandestine del Discorso sulla Servitù Volontaria siano state il vero modo con cui Montaigne ha tardivamente adempiuto al suo compito di esecutore testamentario? É possibile, in altri termini, che egli — o per lo meno il suo entourage – sia stato in qualche modo all’origine dell’arrivo del testo di La Boétie nelle mani della pubblicistica di opposizione alla monarchia francese? E fino a che punto potrebbe essersi spinta una tale “complicità” nelle sue varie edizioni clandestine?

Ci stiamo muovendo in un campo in cui le evidenze oggettive sono per la maggior parte disperse e risultano del tutto irrintracciabili, come il suono dell’albero caduto che il vescovo Berkeley non udì. Eppure ciò che ci resta – l’ambiguo comportamento di Montaigne e le sue altrettanto ambigue affermazioni presenti negli Essais – ci spinge in quella direzione. Ed allora ci ritornano in mente le parole, filorepubblicane anche queste in maniera ambigua, con cui Montaigne descrive le posizioni politiche dell’amico scomparso: “E so anche che, se avesse dovuto scegliere, avrebbe di gran lunga preferito essere nato a Venezia che a Sarlac; ed a ragione.” [15]

 “In nome della libertà, contro i tiranni”

Abbiamo quindi (probabilmente) a che fare con un testo dalla composizione assai complessa, nel quale, a partire dall’originaria stesura più o meno giovanile da parte di Étienne de La Boétie, si sono sovrapposte tutta una serie di interpolazioni e/o rifacimenti da parte di Montaigne, del suo entourage [16] e dei primi editori clandestini. Nelle sue varie redazioni il testo godrà di una notevole fortuna durante tutto il XVI secolo e, dopo una breve eclissi nel secolo successivo, ricomparirà come testo di opposizione all’ancien régime durante il secolo dei lumi, conoscendo poi le sue prime edizioni non clandestine durante gli eventi legati alla Rivoluzione Francese. [17] I primi due terzi del XIX secolo vedranno ulteriori e numerose edizioni dell’opera, utilizzata come pamphlet filorepubblicano contro la politica restauratrice negli avvenimenti politico/sociali susseguenti il Congresso di Vienna, [18] ma il vero e proprio “successo editoriale” del testo di La Boétie si avrà con la nascita della Prima Associazione Internazionale dei Lavoratori. Reinterpretato in chiave socialista e libertaria, il testo, a partire dal secondo terzo del XIX secolo e fino ai giorni nostri, conoscerà numerosissime edizioni e verrà tradotto in quasi tutte le lingue d’Europa e persino in esperanto. [19]

Il motivo di una tale vitalità dell’opera di la Boétie può spiegarsi solo con quella che che è forse la sua caratteristica peculiare. Scritto in un periodo storico ben determinato, il Discorso sulla Servitù Volontaria è però strutturato in maniera tale da mantenere la sua validità in ogni tempo ed in ogni luogo: in questo senso, nel suo tentativo di evidenziare il fondamento del potere tirannico in quanto tale, è opera filosofica nel senso più profondo e specifico del termine.

L’opera viene scritta – dal solo Étienne de La Boétie o come opera collettiva poco importa – agli inizi del XVI secolo, mentre le strutture politiche tardomedievali si vanno dissolvendo sotto l’avvento sempre più evidente delle monarchie nazionali centralizzate. La Boétie innanzitutto, ma anche ognuno dei suoi possibili coautori – Montaigne e gli stessi scrittori protestanti d’opposizione – sono immersi pienamente in questo nuovo clima e, come in tutti i momenti storici di passaggio da un sistema politico all’altro, l’effetto di straniamento [20] è assai forte. In momenti come questi le strutture politico/sociali perdono il loro carattere di “naturalità” ed è più facile che vengano alla luce nella riflessione le strutture profonde della socialità: le categorie del politico.

L’analisi di La Boétie è dedicata, in apparenza, ad un tema specifico: la critica al potere tirannico, attraverso l’evidenziazione dei meccanismi strutturali e consensuali che sorreggono tale forma di potere politico.

(...) vorrei solo comprendere come è possibile che tanti uomini, tanti paesi, tante città e nazioni tollerino talvolta un solo tiranno, che non ha altro potere che quello che gli danno; che ha il potere di nuocere loro solo finché essi possono sopportarlo; che non potrebbe far loro alcun male, se non quando essi preferiscono sopportarlo piuttosto che contraddirlo. È davvero sorprendente, e tuttavia così comune che c’è più da dispiacersi che da stupirsi nel vedere milioni e milioni di uomini servire miserevolmente, col collo sotto il giogo, non costretti da una forza più grande, ma perché sembra siano ammaliati e affascinati dal nome solo di uno, di cui non dovrebbero temere la potenza, visto che è solo, né amare le qualità, visto che nei loro confronti è inumano e selvaggio.

Come è possibile insomma – si chiede La Boétie – che gli uomini acconsentano ad un potere sfacciatamente contrario ad ogni loro possibile interesse e spesso addirittura ampiamente nocivo ad essi? Come possono gli uomini innamorarsi delle loro catene? Questa domanda permette lo sviluppo di un interrogazione più generale sulle strutture del dominio, che porta l’autore ad allargare in maniera estrema il concetto di “tirannia”. “Tiranno” è, nella concezione di La Boétie, qualcosa di più che il monarca centralizzatore del XVI secolo e/o i suoi equivalenti funzionali del passato dell’umanità. L’“Uno” di cui si parla nel Discorso sulla Servitù Volontaria non è infatti necessariamente una singola persona, anche se ai tempi di La Boétie tale figura politica coincideva spesso con quella del monarca; essa è piuttosto la funzione politica svolta da chi – singolo o persona giuridica collettiva – riesce ad imporre agli altri la legge della propria volontà individuale. E, da questo punto di vista, conta ben poco il meccanismo politico con il quale il tiranno giunge a governare.

Vi sono tre tipi di tiranni: gli uni ottengono il regno attraverso l’elezione del popolo, gli altri con la forza delle armi, e gli altri ancora per successione ereditaria. Chi lo ha acquisito per diritto di guerra si comporta in modo tale da far capire che si trova, diciamo così, in terra di conquista. Coloro che nascono sovrani non sono di solito molto migliori (...) Chi ha ricevuto il potere dello Stato dal popolo dovrebbe essere, forse, più sopportabile e lo sarebbe, penso, sennonché appena si vede innalzato al di sopra degli altri (...) è strano di quanto superi gli altri tiranni in ogni genere di vizio e perfino di crudeltà (...) A dire il vero, quindi, esiste tra loro qualche differenza, ma non ne vedo affatto una possibilità di scelta; e per quanto i metodi per arrivare al potere siano diversi, il modo di regnare è quasi sempre simile (...).

Esiste quindi per La Boétie una struttura profonda, indipendente dal tempo, dallo spazio e dalle contingenze storiche, in base alla quale si innescano le dinamiche che portano al paradossale fenomeno della “servitù volontaria”: difatti il grande amico di Montaigne può esemplificare la propria analisi con esempi tratti dalla storia antica così come dalla medievale e da quella a lui contemporanea, dalla storia della civiltà europea come da quella africana ed asiatica. Il tentativo di comprendere il fenomeno della tirannia porta così ad allargare l’analisi ai meccanismi universali di formazione del consenso al potere e dell’aggregazione delle oligarchie politiche.