Étienne de La Boétie |
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Discorso
sulla Servitù Volontaria |
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Titolo
originale dellopera "Discours
de la Servitude Volontaire" -
Traduzione di Vincenzo Papa
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Saggio
introduttivo Unambigua utopia repubblicana e note
al testo di Enrico Voccia |
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È penoso ricordare quanti espedienti abbiano utilizzato i
tiranni nel passato per consolidare la loro tirannia; di quanti
mezzucci si servivano, trovando sempre il popolino fatto apposta
per loro, che si lasciava prendere nella rete per quanto male
la tendessero; e che si lasciava ingannare così facilmente
da essere più sottomesso quanto più lo prendevano in giro.
Che dire poi di unaltra bella favola che i popoli antichi
presero per oro colato? Essi credettero fermamente che il
pollice di Pirro, re degli Epiroti,
[59]
facesse miracoli e guarisse i malati alla milza; e ingigantirono
la favola, sostenendo che quel dito, dopo la cremazione del
cadavere, si fosse ritrovato tra le ceneri, intatto nonostante
il fuoco. Eppure è così che il popolo sciocco fabbrica da
sé le menzogne, e poi ci crede. Molti lo hanno scritto, ma
in modo che è facile vedere che lhanno raccolto dalle
voci di città e dalle chiacchiere del popolino. Vespasiano,
[60]
di ritorno dalla Assiria e passando per Alessandria per
recarsi a Roma ad impadronirsi dellimpero, fece meraviglie:
raddrizzava gli zoppi, rendeva vedenti i ciechi, e tante altre
belle cose nelle quali chi non riusciva a vedere il trucco,
era a mio avviso più cieco di quelli che guariva.
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I tiranni stessi trovavano molto strano che gli uomini
potessero sopportare uno che faceva loro del male; essi volevano
farsi scudo della religione, e se possibile, prendere a prestito
qualche prova della divinità a sostegno della loro vita malvagia.
Dunque Salmoneo,
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se si crede alla sibilla di Virgilio nel suo inferno,
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per essersi preso gioco del popolo così ed aver voluto
spacciarsi per Giove, sconta ora le sue pene nellinferno
più profondo, Soffrendo crudeli tormenti
per voler imitare
I tuoni del cielo, e i fuochi di Giove, Sopra quattro corsieri, quegli andava traballando, Montato in groppa, con in pugno una grande fiaccola brillante. Tra i popoli greci ed in pieno mercato, Nella città di Elide in alto aveva camminato E facendo il suo affronto così usurpava Lonore che, senza dubbio, apparteneva agli dei. Il folle, che la tempesta e linimitabile fulmine Contraffaceva, col bronzo e con una spaventosa corsa Di cavalli dal piede di corno, il Padre onnipotente; Lanciò, non una fiaccola, non una luce E col duro colpo di una orribile tempesta, Se costui che faceva solo lo sciocco, e viene a questora
trattato laggiù come si conviene, credo che quelli che hanno
abusato della religione, per essere cattivi, vi si trovano
ancora meglio. I nostri seminarono in Francia non so che genere di rospi,
di fiordalisi, lampolla e lorifiamma.
[65]
Cose che, comunque sia, non voglio mettere in dubbio,
poiché né noi né i nostri antenati abbiamo avuto sin qui loccasione
di dubitarne. Infatti, abbiamo sempre avuto dei re tanto buoni
in tempo di pace quanto valorosi in guerra, che sebbene nascano
re, sembra che non siano stati fatti come gli altri dalla
natura, ma scelti da Dio onnipotente, prima della nascita,
per il governo e la salvezza di questo regno.
[66]
E quandanche così non fosse, non vorrei per questo
scendere in campo per contestare la verità delle nostre storie,
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né esaminarle tanto minuziosamente, per non distruggere
quei bei temi, in cui potrà cimentarsi la nostra poesia francese,
rinnovata del tutto, sembra, dal nostro Ronsard, dal nostro
Baïf, dal nostro Du Bellay, che in questo hanno talmente fatto
progredire la nostra lingua, che oso sperare che presto né
i Greci né i Latini ci saranno superiori, se non per essere
stati i primi. E certamente farei gran torto alle nostre rime,
(poiché uso volentieri questo termine, e non mi dispiace perché,
sebbene molti labbiano reso meccanico, tuttavia vedo
molte persone che lavorano per nobilitarlo ancora e restituirgli
lonore antico), ma dicevo, le farei gran torto togliendole
quei bei racconti di re Clodoveo, ai quali mi pare già di
vedere, con quanto piacere e con quanta facilità si eserciterà
la vena del nostro Ronsard, nella sua Franciade.
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Ne comprendo la qualità, ne riconosco lo spirito acuto,
so la grazia delluomo: trarrà profitto dallorifiamma
quanto i Romani dalle loro ancelle e
gli scudi caduti dal cielo, come
dice Virgilio.
[69]
Trarrà profitto dalla nostra ampolla
[70]
quanto gli Ateniesi dal paniere di Erittone.
[71]
Farà parlare delle nostre armi altrettanto bene che essi
del loro olivo che conservano ancora nella torre di Minerva.
Sarei certamente irriguardoso a voler smentire i nostri libri
e saccheggiare così le terre dei nostri poeti. Ma per tornare
all argomento da cui non so come mi ero allontanato,
non è mai successo che i tiranni, per garantirsi, non si siano
sforzati di abituare il popolo, non solo alla obbedienza ed
alla servitù verso di loro, ma anche alla devozione. Dunque
ciò che ho detto finora per abituare le persone alla servitù
volontaria, serve ai tiranni solo per il popolino e la plebaglia. Ma ora vengo a un punto, che è a mio avviso la risorsa ed
il segreto del dominio, il sostegno ed il fondamento della
tirannia. Chi pensa che le alabarde, le guardie ed i posti
di sentinella salvaguardino i tiranni, a mio avviso si sbaglia
di grosso; e se ne servono, credo, più per laspetto
formale e di spauracchio che perché ci facciano affidamento.
Gli alabardieri impediscono di entrare nel palazzo ai poveracci
senza mezzi, non agli uomini ben armati e pronti allazione.
È facile verificare che ci sono stati meno imperatori romani
che siano sfuggiti a qualche pericolo grazie al soccorso delle
loro guardie, di quanti siano stati uccisi dai loro stessi
pretoriani. Non sono le truppe di cavalleria, non sono i battaglioni
di fanteria, non sono le armi che difendono il tiranno. Non
lo si crederà immediatamente, ma certamente è vero: sono sempre
quattro o cinque che sostengono il tiranno, quattro o cinque
che mantengono lintero paese in schiavitù. È sempre
successo che cinque o sei hanno avuto la fiducia del tiranno,
che si siano avvicinati da sé, oppure chiamati da lui, per
essere i complici delle sue crudeltà, i compagni dei suoi
piaceri, i ruffiani delle sue voluttà, e partecipi ai bottini
delle sue scorrerie. Questi sei orientano così bene il loro
capo, che a causa dellassociazione, egli deve essere
disonesto, non solamente per le sue malefatte, ma anche per
le loro. Questi sei ne hanno seicento che profittano sotto
di loro, e fanno con questi seicento quello che fanno col
tiranno. Questi seicento ne tengono seimila sotto di loro,
che hanno elevato nella gerarchia, ai quali fanno dare o il
governo delle provincie, o la gestione del denaro pubblico,
affinché appoggino la loro avarizia e crudeltà e che le mettano
in atto al momento opportuno; e daltro canto facendo
tanto male non possono resistere, né sfuggire alle leggi ed
alla pena, senza la loro protezione. Da ciò derivano grandi
conseguenze, e chi vorrà divertirsi a sbrogliare la matassa,
vedrà che, non seimila, ma centomila, milioni, si tengono
legati al tiranno con quella corda, servendosi di essa come
Giove in Omero, che si vanta, tirando la catena, di ricondurre
verso sé tutti gli dei. Da ciò deriva la crudeltà del Senato
sotto Giulio,
[72]
la fondazione di nuovi Stati, la creazione di uffici;
non certo, a conti fatti, riforma della giustizia, ma sostegno
della tirannia. Insomma che ci si arrivi attraverso favori
o sotto favori, guadagni e ritorni che si hanno sotto i tiranni,
si trovano alla fina quasi tante persone per cui la tirannia
sembra redditizia, quante quelle cui la libertà sarebbe gradita. Proprio come i medici dicono che quando nel nostro corpo
cè qualcosa di guasto, se in unaltra parte non
cè nulla che non va, questa finisce per cedere alla
parte infetta: allo stesso modo, dal momento che un re si
è dichiarato tiranno, tutti i malvagi, tutta la feccia del
regno, non parlo di quel gran numero di ladri e furfanti bollati,
che in una repubblica possono fare ben poco, nel bene e nel
male, ma quelli che sono posseduti da una ardente ambizione
e da una notevole avidità, si ammassano attorno a lui e lo
sostengono per prendere parte al bottino, ed essere, sotto
il gran tiranno, tirannelli anch essi. Così fanno i
grandi ladri ed i famosi corsari: gli uni scoprono il territorio,
gli altri pedinano a cavallo i viaggiatori per derubarli;
gli uni tendono imboscate, gli altri sono in agguato; alcuni
massacrano, altri spogliano, e sebbene vi siano tra loro delle
egemonie, e gli uni siano solo servi e gli altri capi della
banda, alla fin fine non ce ne è uno che non partecipi se
non al bottino, almeno alla sua ricerca. Si dice bene che
dei pirati della Sicilia
[73]
non solo si adunarono in numero tale che si dovette spedire
contro di loro Pompeo il grande,
[74]
ma attirarono persino dalla loro parte diverse belle
e popolose città, nei cui porti si mettevano al sicuro, al
ritorno dalle scorrerie, e in cambio davano loro qualche ricompensa
per loccultamento del bottino. Così il tiranno rende servi i sudditi gli uni per mezzo degli
altri, ed è salvaguardato da coloro dai quali dovrebbe guardarsi,
se valessero qualcosa; secondo il detto che per spaccare del
legno, occorrono dei cunei dello stesso legno. Ecco i suoi
difensori, le sue guardie, i suoi alabardieri. Non che a loro
stessi non capiti di subire qualche volta da lui, ma questi
esseri perduti e abbandonati da Dio e dagli uomini sono contenti
di sopportare il male per farne, non a colui che gliene fa,
ma a chi lo sopporta come loro, e non ne può più. Tuttavia, vedendo queste persone che servono il tiranno per
trarre profitto dalla sua tirannia e dalla servitù del popolo,
mi assale spesso lo stupore per la loro disonestà, e talvolta
la pietà per la loro stupidità: poiché, a dire il vero, che
altro vuol dire lavvicinarsi al tiranno se non allontanarsi
dalla propria libertà, e per così dire, stringere a due mani
ed abbracciare la servitù? Che mettano un po da parte
la loro ambizione e che si liberino un po della loro
avarizia, e poi si osservino e che si esaminino, e vedranno
chiaramente che i campagnoli, i contadini, che ogni volta
che possono calpestano sotto i loro piedi, e trattano peggio
che forzati e schiavi, vedranno, dico, che costoro, pur così
maltrattati, sono tuttavia in confronto a loro fortunati e
in una certa misura liberi. Il contadino e lartigiano,
per quanto siano asserviti, facendo quello che gli hanno detto
di fare se ne liberano. Ma il tiranno vede gli altri che gli sono accanto, che implorano
e mendicano il suo favore: non devono solamente fare ciò che
dice, ma pensare ciò che vuole, e spesso per soddisfarlo,
che precorrano persino i suoi pensieri. Non basta che gli
obbediscano, devono addirittura compiacerlo; occorre che si
facciano in quattro, che si tormentino, che si ammazzino di
fatica per i suoi affari e poi che si compiacciano del suo
piacere, che rinuncino al loro gusto per il suo, che forzino
il loro temperamento, che si spoglino del loro carattere.
Devono prestare attenzione alle sue parole, alla sua voce,
ai suoi segni ed ai suoi occhi. Non devono avere né occhio
né piede né mano che non sia in guardia per spiare le sue
volontà e per scoprire i suoi pensieri. Questo sarebbe vivere
felici? Questo si chiama vivere? Ci può essere al mondo niente
di meno sopportabile di questo, non dico per un uomo coraggioso,
non dico per uno di buoni natali, ma semplicemente per uno
che possegga il senso comune, o anche solo le fattezze di
un uomo? Quale condizione può essere più miserabile di quella
di vivere così, in cui non si ha niente per sé, dipendendo
da altri per la propria gioia, la propria libertà, il proprio
corpo e la propria vita? Ma essi vogliono servire per possedere beni: come se potessero
guadagnare qualcosa per sé, dato che non possono dire neanche
di appartenere a sé stessi. E come se qualcuno potesse avere
niente di proprio sotto un tiranno, vogliono fare in modo
che i beni siano loro e non si ricordano che sono loro che
gli danno la forza per togliere tutto a tutti, e di non lasciar
nulla che si possa dire appartenga a qualcuno. Vedono che
niente rende gli uomini soggetti alla sua crudeltà quanto
le sostanze; che non esiste nessun crimine verso di lui degno
di morte come la proprietà; che ama solo le ricchezze e si
sbarazza dei ricchi; ed essi si vanno a presentare, come davanti
al macellaio, per offrirsi così grassi e messi a nuovo da
fargliene venire voglia. I suoi favoriti non dovrebbero tanto
ricordare coloro che, accanto ai tiranni, hanno guadagnato
molte ricchezze quanto di quelli che, avendone accumulato
per qualche tempo, hanno poi perduto i beni e la vita; non
deve venir loro in mente quanti hanno guadagnato ricchezze,
ma quanto pochi di loro le hanno conservate. Si ripercorrano tutte le storie antiche, si considerino quelle
di cui abbiamo memoria, e si vedrà con chiarezza quanto è
grande il numero di coloro che, avendo guadagnato con mezzi
disonesti la confidenza dei principi, avendo utilizzato la
loro malvagità o abusato della loro ingenuità, alla fine sono
stati annientati da quegli stessi che avevano trovato tanta
facilità nellinnalzarli, e che hanno mostrato altrettanta
incostanza per abbatterli. Certamente nel novero così esteso
di persone che si sono mai trovate vicine a tanti cattivi
sovrani, poche, o nessuna, non hanno saggiato qualche volta
su se stessi la crudeltà del tiranno che avevano precedentemente
aizzato contro gli altri, e che hanno alla fine arricchito
loro stessi con le loro spoglie. Anche le persone dabbene, se qualche volta se ne trova qualcuna
amata dal tiranno, o perché nelle sue grazie, o perché risplende
in lei la virtù e lintegrità, che persino ai più cattivi
ispira un certo rispetto di sé quando la si vede da vicino,
ma le persone dabbene, io dico, non ci potrebbero resistere;
occorre che sentano il male comune e che a loro spese provino
cosè la tirannia. Un Seneca,
[75]
un Burro,
[76]
un Trasea,
[77]
questa terna di brave persone, due dei quali furono avvicinati
dalla cattiva sorte al tiranno che mise loro in mano la gestione
dei suoi affari, entrambe stimati da lui, entrambe amati.
Per di più uno laveva allevato e considerava come pegno
della sua amicizia leducazione della sua infanzia. Ma
questi tre testimoniano a sufficienza con la loro morte crudele,
quanta poca garanzia vi sia nel favore di un cattivo padrone.
E, a dire il vero, quale amicizia si può sperare da colui
che ha il cuore così duro da odiare i suoi sudditi, che non
fanno che obbedirgli? E da colui il quale, per non sapere
neanche amare, impoverisce se stesso e distrugge il suo dominio? Ora, se si vuol dire che questi sono caduti in quegli inconvenienti
per aver vissuto rettamente, si osservi attentamente attorno
allo stesso, e si vedrà che quelli che arrivarono nella sua
grazia e vi si mantennero con mezzi disonesti non durarono
più a lungo. Chi ha sentito parlare di un amore così disponibile,
di un affetto così ostinato? Chi ha mai visto un uomo così
ostinatamente accanito verso una donna quanto lui verso Poppea?
Ora, lei fu in seguito avvelenata da lui stesso. Agrippina,
sua madre, aveva ucciso suo marito Claudio, per fargli posto
al trono. Per favorirlo, non aveva mai avuto difficoltà a
fare e sopportare qualsiasi cosa: dunque il suo stesso figlio,
il suo allievo, limperatore fatto con le sue mani, dopo
vari tentativi falliti, alla fine le tolse la vita. E tutti
allora dissero che aveva fin troppo meritato quella punizione,
se fosse stato da altre mani che quelle di colui al quale
lei aveva dato la vita. Chi fu mai più accondiscendente, più
semplice, o per meglio dire, più tonto dellimperatore
Claudio? Chi fu mai più invaghito di una donna che lui di
Messalina?
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Eppure, la mise infine tra le mani del boia. Lingenuità caratterizza sempre i tiranni, se ne hanno,
nel non sapere fare il bene, ma non so come alla fine, quando
si tratta di praticare la crudeltà, anche verso coloro che
gli sono vicini, la loro intelligenza, per quanto poca ne
abbiano, si risveglia. Molto famoso è il motto di spirito
di quellaltro che, vedendo la gola scoperta della moglie,
che amava tantissimo, e senza la quale sembrava non avrebbe
saputo vivere, gliela carezzò con queste parole: Questo
bel collo sarà presto tagliato, se lo ordino.
[79]
Ecco perché la maggior parte degli antichi tiranni erano
di solito uccisi dai loro favoriti, che, avendo conosciuto
la natura della tirannia, non potevano essere tanto sicuri
della volontà del tiranno quanto diffidavano della sua potenza.
Così fu ucciso Domiziano da Stefano, Commodo da uno dei suoi
stessi amici, Antonino da Macrino, e così quasi tutti gli
altri.
[80]
È per questo che il tiranno non è mai amato né ama. Lamicizia
è una cosa sacra, e si stabilisce solo fra brave persone,
e con una stima reciproca. Essa si coltiva non tanto con i
favori quanto con la vita retta. Quello che rende un amico
certo dellaltro, è la conoscenza che ha della sua integrità:
le garanzie che ne ha, sono la sua bontà naturale, la fede
e la costanza. Non può esservi amicizia laddove cè la
crudeltà, laddove cè la slealtà, laddove cè lingiustizia.
E fra i disonesti, quando si associano, cè un complotto,
non una compagnia; non si amano vicendevolmente, ma si temono
lun laltro; non sono amici, ma sono complici. Ma anche se non ci fossero questi ostacoli sarebbe comunque
difficile trovare in un tiranno un amore sicuro, perché essendo
al di sopra di tutti, e non avendo compagni, è già al di là
dei confini dellamicizia, che ha il suo vero terreno
di coltura nelleguaglianza, che non vuole mai contravvenire
alla regola, anzi è sempre uguale. Ecco perché tra i ladri
cè davvero (così si dice) una certa fiducia nella spartizione
del bottino: perché sono pari e compagni, e se non si amano,
almeno si temono lun laltro e non vogliono diminuire
la loro forza disunendosi. Ma i favoriti del tiranno non possono
avere alcuna garanzia, dal momento che ha imparato da loro
che egli può tutto, e che non cè né diritto né dovere
che lo obblighi, dato che la sua condizione gli fa considerare
il suo arbitrio come la ragione, non gli fa avere nessun compagno,
ma essere il padrone di tutti. Dunque è davvero penoso che,
pur vedendo tanti esempi lampanti, vedendo il pericolo così
presente, nessuno voglia imparare dalle altrui disgrazie e
che, di tante persone che si avvicinano così volentieri ai
tiranni, non ce nè uno che abbia laccortezza ed
il coraggio di dir loro quello che disse nella favola, la
volpe al leone, che faceva il malato: Verrei volentieri
a farti visita nella tua tana, ma vedo troppe tracce di animali
che vanno avanti verso di te, e non ne vedo una che ritorni
indietro.
[81]
Questi miserabili vedono luccicare i tesori del tiranno e
osservano sbalorditi i raggi della sua ostentazione; e, attratti
da questa luce, si avvicinano e non si accorgono di mettersi
nella fiamma che inevitabilmente li consumerà: così il satiro
indiscreto (come dicono le favole antiche), vedendo luccicare
il fuoco scoperto da Prometeo, lo trovò così bello che andò
a baciarlo e si bruciò. Così pure la farfalla, nella speranza
di godere di un certo piacere, si mette nel fuoco, perché
riluce, e prova laltra qualità, quella di bruciare,
come dice il poeta toscano.
[82]
Ma concediamo pure a questi graziosi favoriti che sfuggano
alle mani di colui che servono, non si salverebbero mai dal
re che viene dopo. Se questi è buono, bisogna rendere conto
e riconoscere almeno allora la ragione; se è disonesto e simile
al loro padrone, non sarà possibile che non abbia i suoi favoriti,
i quali di solito non si accontentano di prendere il posto
degli altri, ma ne vogliono il più delle volte i beni e le
vite. Come può accadere dunque che si trovi qualcuno che,
con un pericolo così grande e con così poca sicurezza, voglia
prendere questo posto disgraziato per servire con una tale
difficoltà un signore così pericoloso? Che tormento, che martirio
è questo, mio Dio? Esistere giorno e notte solo per pensare
a piacere ad un uomo solo, e tuttavia aver timore di lui più
di ogni altro al mondo; avere sempre locchio vigile,
lorecchio in ascolto, per intuire da dove verrà il colpo,
per scoprire le imboscate, per avvertire la rovina dei suoi
compagni, per scoprire chi lo tradisce, ridere con tutti e
tuttavia temere tutti; non avere nessun nemico aperto né amico
certo; sempre con il viso sorridente e il cuore paralizzato;
non poter essere lieto e non osare essere triste! Ma è un piacere considerare quello che ricevono in cambio
di questo gran tormento, ed il bene che possono aspettarsi
dal sacrificio della loro miserabile vita. Di norma il popolo,
non accusa il tiranno per il male che subisce, ma quelli che
lo governano. Di costoro, i popoli, le nazioni, tutto il mondo
a gara, perfino i contadini e i paesani, sanno i nomi, scoprono
i loro vizi, addossano su di loro mille oltraggi, mille bassezze,
mille maledizioni; tutti i loro discorsi, tutti i loro voti
sono contro questi. Ad essi addebitano tutte le disgrazie,
tutte le pesti, tutte le loro carestie. E se talvolta gli
fanno in apparenza certi onori, nello stesso istante li maledicono
nel loro cuore, e provano orrore per loro più che per le bestie
feroci. Ecco la gloria, ecco lonore che ricevono dal
loro servizio verso la gente, che se potesse fare in mille
pezzi il loro corpo, non sarebbe ancora soddisfatta né sollevata
almeno in parte dalla sua pena. Ma anche dopo che sono morti,
i posteri si danno da fare perché il nome di quei mangiapopoli
sia annerito dallinchiostro di mille penne, e la loro
reputazione fatta a pezzi in mille libri, e perfino le ossa,
per così dire, trascinate dalla posterità, che le punisce
anche dopo la loro morte della loro vita malvagia. Impariamo dunque una buona volta a fare il bene. Leviamo gli occhi al cielo, sia per nostro onore, sia per lamore stesso della virtù, sia, per parlare secondo verità, per lamore e lonore di Dio onnipotente, che è sicuro testimone delle nostre opere e giudice giusto delle nostre colpe. Da parte mia penso proprio, e non mi sbaglio, che non ci sia nulla di così contrario a Dio, tanto buono e liberale, come la tirannia, che egli riservi laggiù delle pene particolari per i tiranni ed i loro complici. |
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